Più veri, più umani, più cristiani
Si riporta di seguito l'articolo pubblicato il 9 gennaio 2020 dal blog d'informazione SettimanaNews a cura di Francesco Cosentino.
Staglianò: Più veri, più umani, più cristiani
Il vescovo di Noto, Antonio Staglianò, ha scelto una teologia popolare – la Pop-Theology – per raccontare nel nostro tempo il Dio di Gesù Cristo.
Dietro il ricco patrimonio di segni, rituali, preghiere, manifestazioni religiose, c’è sempre il rischio del vuoto; corriamo sempre il pericolo, cioè, di abbellire esteriormente la fede che professiamo senza che essa ci apra davvero all’incontro con il Dio vivo e senza che la ferita bruciante di questo entrare in relazione con l’Eterno venga a incidere nella nostra vita e a trasformare la nostra umanità secondo quella di Cristo.
È allora che cadiamo nel “cattolicesimo convenzionale”, dove tutte le manifestazioni e i linguaggi esteriori restano cattolici ma, paradossalmente e drammaticamente, non sono più cristiani: si prega, ma senza la carità; si invoca Dio, ma senza vivere il comandamento dell’amore; si esibisce la fede all’esterno, senza che questa tocchi la vita. Si salva una forma, ma non c’è più una sostanza. Il rischio è forte, se anche papa Francesco ha affermato che «può esistere un cristianesimo senza Cristo».
pop-theologyQuella contro il “cattolicesimo convenzionale”, eresia ultima incoraggiata anche dall’individualismo e dall’intimismo religiosi, è da qualche tempo la “battaglia” che il vescovo di Noto, Antonio Staglianò, sta coraggiosamente portando avanti.
Esperto di teologia sistematica, con alle spalle una lunga e ricca carriera accademica e notevoli pubblicazioni di carattere scientifico, in questi ultimi anni Staglianò sta impiegando le sue migliori energie teologiche e pastorali per smascherare il pericolo di una religiosità ipocrita e formale, che svuota la fede cristiana del suo contenuto vitale e, perciò, non riesce più ad appassionare e attirare alla scoperta del Vangelo.
Una Pop-Theology per andare oltre il cattolicesimo convenzionale
Alle alte vette della speculazione teologica, il vescovo calabrese unisce da tempo una vera e propria arte narrativa che, con immaginazione e linguaggio poetico, riesce a raccontare, specialmente ai giovani, la bellezza del Vangelo.
L’umanità di Gesù, la sua profonda libertà, la radicalità delle sue scelte e soprattutto la forma più vera dell’amore che egli ci mostra nelle sue relazioni e sulla croce, sono veicolate attraverso la forma della narrazione, la poesia, le canzoni di Sanremo e quelle che oggi piacciono ai ragazzi. È nato così il progetto di una Pop-Theology, che si incarica di pensare criticamente il cattolicesimo convenzionale e di svecchiare la predicazione cristiana.
Nell’alveo di questo percorso, è uscito nel dicembre scorso il suo ultimo volume: Più veri, più umani, più cristiani. Il servizio al vangelo della Pop-Theology, edito da Elledici, con la prefazione del teologo siciliano Francesco Brancato.
Lo scopo del testo, che raccoglie undici messaggi inviati in un decennio di ministero episcopale, è chiaro fin dalle prime pagine: «animare la speranza che il cattolicesimo sappia meglio esprimere oggi il cristianesimo, secondo la verità su Dio che Gesù di Nazareth ha portato al mondo» (p. 11).
Raccontare il Dio di Gesù Cristo
I messaggi raccolti nel volume sono nati per i tempi di Avvento e di Natale e ad essi si aggiungono alcune omelie. Si tratta di una felice messa in atto della Pop-Theology, cioè di una teologia popolare capace di raccontare il Dio di Gesù Cristo e il suo vangelo attraverso i registri dell’immaginazione e della creatività; è questo un modo concreto, che investe non solo la letteratura religiosa ma uno stile di predicazione e di agire pastorale che il vescovo di Noto porta avanti, di incarnare il sogno di una “Chiesa in uscita” su cui papa Francesco da tempo ci incoraggia.
Se abbiamo bisogno di una Chiesa inquieta, che si lasci abitare dalle domande e dalle speranze degli uomini, che mostri incondizionatamente il suo volto lieto di madre accogliente, e che rinnovi le sue forme e i suoi linguaggi perché a tutti possa giungere la consolante gioia del vangelo, allora anche la teologia ha bisogno di “uscire” dal cerchio elitario e astratto in cui si è spesso rinchiusa, per recuperare il contatto con la realtà e la sua ultima finalità che è quella di servire l’annuncio del Vangelo.
La preoccupazione di Staglianò è anzitutto quella di raccontare in modo nuovo la novità perenne del vangelo di Gesù, che ci svela il volto del vero Dio; se questo esige, specialmente per incontrare i giovani, il coraggio di “uscire” dai recinti sacri e dai linguaggi consueti, per avviare iniziative di “teologia popolare” capace di narrare la fede attraverso i registri comunicativi dell’immaginazione e della musica, non bisogna avere paura. Al contrario, occorre osare, anche a costo di sbagliare o, magari – come succede allo stesso presule – essere un po’ “canzonato” per il fatto di utilizzare le canzoni nella predicazione.
Il vescovo calabrese ne è convinto: nelle nostre società globalizzate e anonime, che hanno secolarizzato la coscienza simbolica del vivere annientando il significato dei simboli religiosi, «urge un rinnovato investimento teologico nella trasmissione della fede» (p. 12), ma solo nella direzione di uno sforzo che si impegna a «calare le alte vette delle dottrine teologiche dentro un linguaggio popolare semplice e già incarnato» – perché sedimentato dentro la letteratura delle canzoni popolari. Questo approccio – secondo Staglianò – permetterebbe di avviare una verifica necessaria: «davvero i giovani sono lontani dal Dio di Gesù Cristo o non piuttosto da alcune false immagini di Dio che – anche nel cattolicesimo – sono state trasmesse?» (p. 13).
Un cristianesimo di “fuoco”, capace di incendiare
Scorrendo le pagine di questo bel testo, ci si imbatte in messaggi natalizi e omelie che hanno la capacità di raggiungere l’immaginario del destinatario e di aprirlo all’affascinante scoperta del mistero di Dio. Il linguaggio, le citazioni, le esortazioni che vi sono contenute con tono caldo, affettuoso ma al contempo provocatorio, cercano di spingere il credente fuori dalla rassicurante consolazione di un cattolicesimo tiepido che ci conserva in una zona di comfort senza che la vita sia incendiata dalla venuta del Cristo in mezzo a noi e si impegni concretamente nell’amore.
I messaggi e le omelie invitano al coraggio di entrare nel luogo benedetto dell’umanità di Gesù e di imparare in lui ad abitare il mondo, facendone uno spazio di fraternità, di giustizia, di solidarietà e di amore. Se quella di Gesù è la vera e piena umanità, ecco che il credente deve diventare, nella sua umanità e in mezzo al mondo, «trasparenza di Dio» (p. 38). Allo stesso tempo, le comunità cristiane devono lasciarsi trasformare dall’evento dell’Incarnazione, permettere a Dio di cambiare anche ciò che sembra impossibile e diventare operose nella carità. E ritorna, sferzante ma anche entusiasmante, il richiamo a un cristianesimo autentico, sulla scia di quanto papa Francesco ci esorta a vivere: «Non si può vivere la carità se non vivendola nei corpi. I pii sentimenti del cuore, i sogni notturni, le devote considerazioni sulla fame nel mondo sono nulla se non ci si com-muove, cioè ci si muove insieme nell’opera della carità» (p. 42).
E, in particolare parlando ai giovani, il vescovo di Noto rivolge loro un’appassionata narrazione del Natale attraverso l’immaginazione. O, per meglio dire, quella “contro-immaginazione” dei segni natalizi, a iniziare dal presepe e dalla grotta di Betlemme, che, in mezzo alla bruttezza del mondo e alla stortura delle false immagini di Dio, ci mostra che Dio «non è come lo avevamo pensato, come lo avevamo immaginato, come ce lo avevano trasmesso. L’Onnipotente Dio è un Bambino, il cielo è in una grotta; l’infinito nel piccolo; e, soprattutto, questo Dio non è un Dio guerriero che potrebbe farmi paura» (pp. 64-65). Dio è solo amore e non possiamo fare altro, anche noi, che portare il fuoco di questo amore nel mondo, perché riscaldi tutti «nel gelo umano di oggi e di sempre».
Il testo è da gustare più che da leggere. Vi si trova dentro il miracolo dell’immaginazione poetica, istintiva e musicale che – come scrive efficacemente l’autore – non è da disprezzare, perché essa sa raccontare l’immaginazione di Dio per gli esseri umani più di quanto spesso riescano a fare i filosofi e i sapienti. Detto da un “sapiente teologo” come Staglianò, c’è da crederci.
ANTONIO STAGLIANÒ, Più veri, più umani, più cristiani. Il servizio al vangelo della Pop-Theology, Editrice Elledici, Torino 2019, pp. 240, € 7,90, EAN 9788801066210.
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