LECTIO DIVINA, A. Cilia – Elledici 2010
Luca 1,39:
– «Maria si alzò».
Col verbo della risurrezione si apre il brano, ad esprimere la forza dirompente della presenza di Dio nella vita delle sue creature. Quando lui entra a casa nostra, dentro al cuore, tutto risorge, tutto si risveglia. È successo così anche a Maria, dopo la visita dell’angelo, dopo il sì che lei ha detto a Dio. Maria, dunque, risorge. Come è detto, per es., di Rebecca, che si alzò e iniziò il suo lungo viaggio per andare a incontrare Isacco, per essere presa in sposa da lui
(Gn 24,61); oppure come è detto della suocera di Pietro, che si alzò da letto, presa per mano da Gesù, liberata dalla febbre, grazie al tocco di lui, il Salvatore (Lc 4,39). In Maria siamo anche noi; pronti per il viaggio verso l’abbraccio d’amore, pronti per la guarigione più profonda, della vita e del cuore.
– «Andò in fretta».
Ma come partire? Come muoverci e quale strada percorrere? Il Vangelo, nella sua assoluta semplicità, ci offre segni sicuri, indicazioni grazie alle quali non possiamo smarrirci. Prima di tutto occorre che anche noi «andiamo». Ma questo verbo greco, scelto da Luca, vuole esprimere non solo un semplice «camminare», «marciare», ma anche «passare», «attraversare», anche «entrare». È questo il percorso che ci sta davanti, non dobbiamo averne paura. Maria, addirittura, lo percorre «in fretta», cioè piena di zelo, di desiderio, spinta dall’amore. È bello notare che questa stessa espressione viene usata per descrivere il rito della prima Pasqua, quando la Scrittura ci dice che gli Israeliti la mangiarono «in fretta», con i sandali ai piedi e i fianchi cinti, pronti a partire (Es 12,11). Questo viaggio è davvero la Pasqua di Maria, il suo passare attraverso la storia, la vita di noi, suoi fratelli e sorelle, per giungere al Padre. E passando, lei raccoglie anche noi, ci porta con sé, fino all’abbraccio di Dio.
– «In una città di Giuda».
Qui ritroviamo tutte le coordinate del viaggio: Maria parte dalla Galilea (Lc 1,26) e arriva in Giudea. Sale sui monti, eppure scende, perché il percorso tracciato va dal nord della Palestina al sud. Misterioso scambio di valori! Nel cammino con il Signore chi scende sale più in alto; chi si abbassa è esaltato. Non ci faccia più paura, dunque, la discesa, la fatica di abbassarci, perché proprio così noi siamo risollevati veramente!
Lc 1,40
– «Entrata nella casa».
E questo è l’ultimo movimento, la più bella conquista: Maria entra. Come già fece l’angelo del Signore per lei (Lc 1,28), così ora Maria ripete quel gesto d’amore, si dona all’incontro, all’abbraccio. Ogni nostro superamento e attraversamento deve condurci a questo punto finale: l’ingresso nella casa, nella vita dell’altro, l’incontro, l’abbraccio. Solo così diventiamo veramente uomini e donne.
– «Salutò Elisabetta».
Il termine greco che esprime il saluto, porta con sé il significato di «tirar fuori», «estrarre» e poi «gettare», «tirare». Azione a volte tanto difficile per noi, più portati a rimanere protetti al di dentro, sempre con quella fatica di donarci ai fratelli. Maria, invece, non teme, perché Lei ama e allora offre sempre qualcosa di sé. Apre il tesoro del cuore, della vita e dona…
Lc 1,41
– «Il bambino sussultò nel suo grembo».
Luca usa questo verbo solo in un’altra occasione, quando lo mette sulle labbra di Gesù, che invita i suoi discepoli, disprezzati e umiliati in questo mondo, a rallegrarsi ed esultare (Lc 6,23). E non si tratta di una gioia qualunque, appena abbozzata, che passa dopo un attimo; è una gioia profonda, intima, duratura, che porta a saltare, o meglio, a danzare. Sì, è proprio così: quando arriva il Signore, quando lui entra nella nostra vita, la felicità si fa incontenibile
e allora parte la danza. Ed è bello vedere che tutto questo avviene nel grembo, luogo sacro, nascosto, intimo; là, dove nessuno sguardo può arrivare, se non quello di Dio, che conosce bene le nostre profondità, perché è proprio laggiù che lui ci ha plasmati, intessendo con le sue dita i fili preziosi della nostra vita (cf Sal 139,13.15). Accogliere Maria, che scende fino alla nostra città, che entra in casa nostra e ci dona il suo saluto, significa, anche per noi, poter partecipare di questa gioia nuova, di questa danza della vita, con il Signore.
Lc1,43
– «A che cosa devo?».
Elisabetta è sorpresa; si sente visitata da una grazia, da una misericordia cha la superano. Lei, ormai vecchia, eppure ancora portatrice di vita, ora percepisce anche il dono sovrabbondante della Presenza di Dio. Le sue parole sono semplicissime, disarmanti, capaci di mettere a nudo la verità del cuore; dice così: «Ma da dove a me questo?». Vuole sapere l’origine, il principio di un dono tanto grande; chiede dove sia la fonte di un amore così, che l’ha visitata eancora la visita. Forse anche lei vorrebbe mettersi in viaggio…
Lc 1,46
– «L’anima mia magnifica».
Maria, che finora non aveva parlato, lasciando spazio e voce al Figlio che portava con sé, adesso comincia il suo canto, offre le note di un grazie, che dura nei secoli. Modello di ogni nostro canto, di ogni preghiera e ogni lode; quando parliamo con Dio, dovremmo ricordare queste parole, che il vangelo mette sulla labbra di lei, la Madre di Dio. Parte dall’anima, dal cuore, dal più profondo di sé. Non ha paura di presentarsi al Signore così, con la parte più vera, più sua; non si nasconde, non rimane a distanza. Lei parla solo da anima ad anima, perché è lì che la persona è veramente se stessa, lì che l’esistenza trova il suo senso. L’anima è quella parte dell’uomo che vive di Dio, che lo cerca, che ha sete di lui (Sal 62,2.9); è la sposa, che ama il suo sposo (Ct 1,7; 3,1.2.3.4).
Lc 1,47
– «Il mio spirito esulta in Dio».
E poi c’è lo spirito; ancora la parte di noi più profonda, il respiro, la vita. Gesù stesso, nel suo rapporto col Padre, consegna a lui, alle sue mani, tutto di sé, lo spirito, appunto (Lc 23,46). E così anche Stefano, nel momento in cui non gli rimane più altro, se non quell’unico soffio vitale (At 7,59), deposto con cura sul cuore di Dio. Infatti, come dice Maria, lo spirito esulta (appoggiato) sopra il suo Dio.
Lc 1,48
– «Ha guardato l’umiltà della sua serva».
Questo sguardo di Dio raccoglie in sé tutte le altre azioni che lui, onnipotente, santo (v. 49), Salvatore (v. 47), misericordioso (vv. 50 e 54) compie per gli uomini. Nulla è più grande di questo. Il Signore non guarda le apparenze, ma il cuore (1 Sam 16,7); non sceglie ciò che è grande, ma il piccolo, il debole, il disprezzato, il nulla (cf 1Cor 1,26-29). Maria ci svela il segreto dell’umiltà, dell’abbassamento, ci apre la strada per essere anche noi raccolti fra le braccia del Padre. È molto importante cercare di comprendere meglio cosa significhi questa parola, quale grazia essa porti con sé. «Umiltà», «umile», nella lingua greca, viene dalla radice «scavare» ed è connesso con «seppellire», «tomba, sepolcro»; quindi capiamo subito che l’invito, per noi, è quello di scendere in profondità, di scavare, anche se costa fatica, dolore. Se poi allarghiamo lo sguardo ai significati del termine ebraico equivalente, scopriamo che la parola «umile», «misero », viene da una radice con doppio significato: da una parte «l’essere afflitto e povero», ma dall’altra il «rispondere» e anche il «cantare». Allora capiamo quale sia veramente il segreto di questo canto messo sulle labbra di Maria, affidato ora anche a noi. La vera umiltà è la nostra risposta al
Signore, quella che nasce dall’ascolto profondo delle cose che lui dice a noi, delle cose che lui fa per noi.
Lc 1,56
– «Rimase con lei».
Maria ascolta e rimane. Pur mettendosi in viaggio, nei lunghi percorsi di strade da attraversare, lei rimane in ascolto. E così diventa capace di «rimanere con». È stupenda questa unione di verbo e preposizione, perché rivela tutta una vita. Dall’incontro con Dio all’incontro con l’uomo Maria è per noi madre e maestra, sorella e compagna di viaggio. Capace di stare con Dio fino alle conseguenze più estreme, fino al suo «Eccomi», al sì di tutta una vita, ma anche
capace di stare, di rimanere con l’uomo, «con lei», come dice il Vangelo. Da donna a donna, da compagna a compagna. Così fa anche con noi, lei, la Madre di Dio Madre dell’uomo.
– «Circa tre mesi».
Un tempo importante, lungo abbastanza. Come i tre mesi di Mosè appena nato, nascosto a casa di sua madre, prima di essere affidato alla figlia del faraone (Es 2,2). O come i tre mesi dell’arca di Dio nella casa di Obed-Edom, prima di essere inviata a Gerusalemme (2 Sam 6,11). Tre mesi e tutta una vita, tutto un cammino di conoscenza, di amore, di intimità che guarisce. Il Signore fa così anche per noi; rimane abbastanza, ci nutre, lascia dentro di noi l’indelebile di un amore infinito, che non può mai passare.
– «Tornò a casa sua».
Il brano si chiude con un altro verbo bellissimo, scelto con cura e finezza da Luca, per esprimere, sì, un ritorno fisico verso casa, ma anche un cambiamento interiore. La radice da cui il verbo deriva, significa «arrotolare» e quindi richiama l’immagine dei rotoli della Torah letti ogni sabato in sinagoga
(cf Lc 4,20). Maria ci appare, così, come rotolo santo, Parola scritta dal dito di Dio, letta e annunciata nei sabati della nostra esistenza, di settimana in settimana. E quando uno di noi, come lei, viene aperto così, così guardato e letto dagli occhi di Dio, non può che «cambiare», che «tornare trasformato
», non più quello di prima. E poi questo verbo vuol dire anche «restituire». Anche questo vive Maria: prima è donata, è spesa per amore dell’altro, poi viene resa, restituita al rapporto con Dio. Dalla terra essa ritorna al cielo, in anima e corpo, Assunta, ripresa in quell’abbraccio infinito che, al principio, ce l’aveva donata. E così siamo anche noi: prima donati ai fratelli, poi resi al rapporto con Dio. Anche noi dobbiamo tornare, trasformati, dopo l’incontro.
Alcune domande per aiutarci nella meditazione.
– «Maria si alzò»… sono pronto, anch’io a compiere questo movimento, prima interiore che esteriore? Alzarmi significa anche lasciare da parte ciò che stavo facendo,mollare la presa da quanto tenevo fra le mie mani, un po’ come fece Levi, il pubblicano (Lc 5,27-28). Me la sento, adesso, aiutato da Maria, in compagnia di lei, a tendere le mie mani verso il Signore, perché lui possa rialzarmi (At 3,7)?
– «Andò in fretta». Maria è spinta da una forza interiore, che dà gusto alla sua vita, alle cose che fa, alle decisioni che prende. Se mi guardo dentro, riesco a trovare una luce, un perché, un desiderio sincero, intenso, grazie al quale anche per me è bello partire? E poi, c’è una direzione certa nella mia vita, una meta davanti ai miei occhi?
– Maria scende verso sud, però sale, si eleva, cammina in alto. Meditando questo vangelo ho capito che uscire verso gli altri è salire, è crescere, anche se devo, forse, abbassarmi, adattarmi, farmi un po’ della misura dell’altro? E andando, porto nel grembo della mia vita, il mio dono d’amore?
Oppure sono sempre più vuoto, senza nulla di bello da poter condividere? C’è un «figlio», dentro di me, che possa dar gioia a chi incontro lungo il cammino?
– Oppure, se mi metto dalla parte di Elisabetta, mi sento visitato da Dio? Ho mai aperto la porta per Lui, che arrivava o già stava bussando? Ha mai sussultato il mio cuore, per il saluto, per la voce di Dio? E quelle parole stupite di Elisabetta sono mai state le mie? Ho detto mai: «A che debbo?»; o forse sono più abituato a pensare e ripetere: «Tu mi devi…».
– Me la sento, oggi, di cominciare a cantare anch’io con Maria? Non con le labbra, ripetendo parole di altri, ascoltate alla radio, in ipod formato mp3, ma parole del cuore, dell’anima e dello spirito. Cosa vorrei dire al Signore? Qual è la mia prima parola per Lui?
– Il Signore ha guardato alla piccolezza, alla povertà di Maria. Ho capito che qui sta il mistero, la bellezza più grande del rapporto con Dio. Ma viene da chiedermi se io mi sono mai sentito guardato da Lui, se ho mai incrociato il suo sguardo di Padre, di amico, magari come è successo a Pietro, quella notte, dopo che aveva rinnegato Gesù (Lc 22,61). Forse è proprio questa l’occasione per lasciarmi guardare così, anche se so di avere peccato, se mi sento lontano…
– Un’ultima cosa mi viene da chiedermi, in questa festa mariana. Se Maria se ne va, se lei ritorna al Signore, che l’aveva creata, preparata come dimora per il Figlio Gesù, io cosa faccio? La seguo, continuo a cercarla, a volerla con me, come Madre? Decido di fare il cammino dietro i suoi passi, di ritornare anch’io, insieme a lei, all’incontro con Dio e con i fratelli?