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8. Canto Liturgico – XXIV C, 15 set ’19

Ecco a voi come canto di INIZIO o di COMUNIONE

UN CUORE NUOVO – Deiss/Ferrero/D’Andrea
(Nella Casa del Padre, n. 505 – Elledici)

Rit. Donaci, Signore, un cuore nuovo:
poni in noi, Signore, uno spirito nuovo.

1. Ecco, verranno giorni – così dice il Signore –
che concluderò con la casa d’Israele una nuova alleanza.

2. Metterò la mia legge in loro
e la scriverò nei loro cuori.

3. Io sarò loro Dio
ed essi saranno mio popolo.

4. Io perdonerò la loro iniquità
e non ricorderò i loro peccati.

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9. Narrazione – XXIV C, 15 set ’19

MA NOI GALLEGGIAMO

Il potente re Milinda disse al vecchio sacerdote:
«Tu dici che l’uomo che ha compiuto tutto il male possibile per cent’anni
e prima di morire chiede perdono a Dio, otterrà di rinascere in cielo.
Se invece uno compie un solo delitto e non si pente, finirà all’inferno.
È giusto questo? Cento delitti sono più leggeri di uno?».
Il vecchio sacerdote rispose al re:
«Se prendo un sassolino grosso così, e lo depongo sulla superficie del lago,
andrà a fondo o galleggerà?».
«Andrà a fondo», rispose il re.
«E se prendo cento grosse pietre,
le metto in una barca e spingo la barca in mezzo al lago,
andranno a fondo o galleggeranno?».
«Galleggeranno».
«Allora cento pietre e una barca sono più leggere d’un sassolino?».
Il re non sapeva che cosa rispondere.
E il vecchio spiegò:
«Così, o re, avviene agli uomini.
Un uomo anche se ha molto peccato ma si appoggia a Dio, non cadrà nell’inferno.
Invece l’uomo che fa il male anche una volta sola,
e non ricorre alla misericordia di Dio, andrà perduto».

«Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno» (Luca 23,34).


(tratto da “365 Piccole Storie per l’anima”, Vol. 1, pag. 183 – Bruno Ferrero, Elledici)

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10. Anche Noi Vogliamo Capire – XXIV C, 15/9/19

Per aiutare i nostri piccoli a vivere meglio la Liturgia della Parola

PRIMA LETTURA (Esodo 32,7-11.13-14)
Mentre il Signore consegna a Mosè le tavole della Legge per l’alleanza, il popolo si perverte facendosi un vitello d’oro da adorare. Lo sdegno di Dio è calmato da una preghiera di Mosè, che ricorda al Signore le promesse fatte ai patriarchi e la fedeltà del suo amore per il popolo che lui stesso ha scelto.

* Capire le parole
Il tuo popolo si è pervertito. Significa che appena ricevuti i Comandamenti, gli israeliti hanno iniziato a scambiare il bene con il male e il male con il bene. Ad esempio, da “Non ti raffigurerai il tuo Dio con immagini di idoli”, a “Facciamoci un idolo da adorare”.
Un popolo dalla dura cervìce. Espressione equivalente a “Un popolo dalla testa dura, un popolo di testardi”.
Il Signore si pentì del male che aveva minacciato. La Scrittura con linguaggio fin troppo umano parla di Dio che “si pente”. In realtà si vuole mettere in luce il grande potere della preghiera di intercessione di Mosè, che muove a compassione il cuore stesso di Dio.


SECONDA LETTURA (1 Timoteo 1,12-17)
L’apostolo Paolo presenta se stesso come prova vivente dell’infinita misericordia di Dio che lo ha trasformato da persecutore ad annunciatore del Vangelo. Per questo tutti i peccatori possono avere piena fiducia nella volontà di Dio che vuole salvare tutti.

* Capire le parole
Un bestemmiatore, un persecutore e un violento. San Paolo parla apertamente del suo modo di essere e di vivere prima dell’incontro con Gesù che ne ha suscitato la conversione.
Agivo per ignoranza, lontano dalla fede. San Paolo testimoniando la sua esperienza, descrive con poche ma efficaci parole la situazione di tanti – anche cristiani per battesimo ricevuto, ma non ancora per maturità di fede – che ancora non sono stati efficacemente raggiunti dalla Parola e dalla Persona di Gesù. Da qui l’impegno costante di tutta la chiesa di far conoscere Cristo e di favorire l’incontro con Lui.


VANGELO (Luca 15,1-32)
Le parabole della misericordia sono rivolte ai farisei che criticano il comportamento di Gesù verso i peccatori. Essi devono cambiare il loro modo di pensare e rappresentare Dio, che non vuole premiare i giusti e punire i peccatori, ma vuole salvare tutti.

* Capire le parole
I farisei e gli scribi mormoravano. La mormorazione è l’atteggiamento di chi non ascolta l’altro per conoscerlo meglio e in modo veritiero, ma di chi osserva per metterne in luce il negativo e i difetti.
Un solo peccatore che si converte. Questa bella espressione ci fa capire che mentre l’uomo guarda gli altri e giudica in base al vestito, alla bellezza, all’apparenza, agli odori, alla pulizia, ecc., Dio guarda all’anima e all’unicità della persona.


PER RIASSUMERE… Tre parabole, che in realtà sono una sola, per dire che Dio è un Padre misericordioso e che Gesù è il volto visibile del suo amore che salva. Di fronte a questa pagina la Chiesa intera, ogni comunità e ciascun cristiano sono invitati a chiedersi fino a che punto sono per i peccatori il volto visibile dell’amore misericordioso del Padre e di Gesù.


Le parole da capire sono curate dall’autore del sito liturgico; le parti in corsivo sono un libero adattamento da “Messale delle Domeniche e feste 2019 – LDC”

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1. Letture – XXIII C, 8 set ’19

PRIMA LETTURA
Chi può immaginare che cosa vuole il Signore?

Dal libro della Sapienza 9,13-18

Quale uomo può conoscere il volere di Dio?
Chi può immaginare che cosa vuole il Signore?
I ragionamenti dei mortali sono timidi
e incerte le nostre riflessioni,
perché un corpo corruttibile appesantisce l’anima
e la tenda d’argilla opprime una mente piena di preoccupazioni.
A stento immaginiamo le cose della terra,
scopriamo con fatica quelle a portata di mano;
ma chi ha investigato le cose del cielo?
Chi avrebbe conosciuto il tuo volere,
se tu non gli avessi dato la sapienza
e dall’alto non gli avessi inviato il tuo santo spirito?
Così vennero raddrizzati i sentieri di chi è sulla terra;
gli uomini furono istruiti in ciò che ti è gradito
e furono salvati per mezzo della sapienza».
Parola di Dio.


SALMO RESPONSORIALE
Dal Salmo 89 (90)

R. Signore, sei stato per noi un rifugio
di generazione in generazione.

Tu fai ritornare l’uomo in polvere,
quando dici: «Ritornate, figli dell’uomo».
Mille anni, ai tuoi occhi,
sono come il giorno di ieri che è passato,
come un turno di veglia nella notte.

Tu li sommergi:
sono come un sogno al mattino,
come l’erba che germoglia;
al mattino fiorisce e germoglia,
alla sera è falciata e secca.

Insegnaci a contare i nostri giorni
e acquisteremo un cuore saggio.
Ritorna, Signore: fino a quando?
Abbi pietà dei tuoi servi!

Saziaci al mattino con il tuo amore:
esulteremo e gioiremo per tutti i nostri giorni.
Sia su di noi la dolcezza del Signore, nostro Dio:
rendi salda per noi l’opera delle nostre mani,
l’opera delle nostre mani rendi salda.


SECONDA LETTURA
Accoglilo non più come schiavo,
ma come fratello carissimo.

Dalla lettera di san Paolo apostolo a Filèmone 9b-10.12-17

Carissimo, ti esorto, io, Paolo, così come sono, vecchio, e ora anche prigioniero di Cristo Gesù. Ti prego per Onèsimo, figlio mio, che ho generato nelle catene. Te lo rimando, lui che mi sta tanto a cuore.
Avrei voluto tenerlo con me perché mi assistesse al posto tuo, ora che sono in catene per il Vangelo. Ma non ho voluto fare nulla senza il tuo parere, perché il bene che fai non sia forzato, ma volontario.
Per questo forse è stato separato da te per un momento: perché tu lo riavessi per sempre; non più però come schiavo, ma olto più che schiavo, come fratello carissimo, in primo luogo per me, ma ancora più per te, sia come uomo sia come fratello nel Signore.
Se dunque tu mi consideri amico, accoglilo come me stesso.
Parola di Dio.


CANTO AL VANGELO (Sal 118,135)

Alleluia, alleluia.
Fa’ risplendere il tuo volto sul tuo servo
e insegnami i tuoi decreti.
Alleluia.


VANGELO
Chi non rinuncia a tutti i suoi averi,
non può essere mio discepolo.

Dal Vangelo secondo Luca 14,25-33

In quel tempo, una folla numerosa andava con Gesù. Egli si voltò e disse loro: «Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo.
Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo.
Chi di voi, volendo costruire una torre, non siede prima a calcolare la spesa e a vedere se ha i mezzi per portarla a termine? Per evitare che, se getta le fondamenta e non è in grado di finire il lavoro, tutti coloro che vedono comincino a deriderlo, dicendo: “Costui ha iniziato a costruire, ma non è stato capace di finire il lavoro”.
Oppure quale re, partendo in guerra contro un altro re, non siede prima a esaminare se può affrontare con diecimila uomini chi gli viene incontro con ventimila? Se no, mentre l’altro è ancora lontano, gli manda dei messaggeri per chiedere pace. Così chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo».
Parola del Signore.


(tratto da: Nuovo Messale della comunità, Domeniche e feste – Elledici 2008)

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2. Esegesi – XXIII C, 8 set ’19

CHI NON RINUNCIA

Sapienza 9,13-18 – I ragionamenti dei mortali sono timidi
Filemone 9b,10.12-17 – Sono in catene per il Vangelo
Luca 14,25-33 – Chi non rinuncia ai suoi averi, non può essere mio discepolo

La ricerca di tutti
Nel viaggio della vita la prima lettura ci ricorda la meta di «conoscere il volere di Dio» (Sap 9,13) e vivere nella vicinanza con Lui. Tutti gli uomini sono implicati nella stessa ricerca. La diversità tra chi crede e chi no sta nel fatto che il primo conosce il cammino che conduce all’incontro con Dio, mentre il secondo lo cerca. Questi cammina a tentoni, quello è preceduto da una luce che gli permette di muoversi speditamente. Tutti sono in ricerca perché tutti vivono in un corpo corruttibile e in una «tenda d’argilla» (v. 15). La nostra ignoranza sulla sua volontà non deriva dal fatto che siamo creature di carne, ma perché utilizziamo la nostra mente per prestare ascolto ai nostri ragionamenti, fino a diventarne schiavi. Anche il Vangelo propone un cammino, e non è tanto un camminare con Lui, ma un andargli dietro facendosi suoi discepoli. Per seguire Gesù non ci manca nulla, ma abbiamo molte cose di troppo, perché il Cristo nudo della croce si può solo seguire nudi. Tre i carichi di troppo: le relazioni famigliari, i beni, la propri vita (v. 26). Non ci è chiesto di rinnegare le relazioni familiari, ma di non vedere più in esse solo il fatto che ci hanno dato la vita, bensì dei fratelli con i quali si cammina alla ricerca della volontà di Dio. Dopo aver lasciato i familiari per Gesù, il discepolo li riceve di nuovo come compagni di strada che lo aiutano e che egli deve sostenere nel loro cammino.

Sequela nella gratuità
La sequela di Cristo Gesù è una costruzione, e anche una continua lotta contro l’avversario, ma è possibile solo per chi è assolutamente nudo, e sa rinunciare ai beni. Infatti solo se si è privi di tutto si può ricevere tutto da Dio. Rinunciare significa perdere dei beni inutili per riceverne dei nuovi che rendono possibile la sequela. Infine ci è chiesto di lasciare la propria vita. Anche qui la rinuncia equivale a uno scambio. Si tratta di rinunciare alla propria vita per prendere la croce, fino a fare della croce la propria vita, giacché sulla croce sta il Cristo che è la nostra vita. Questa triplice rinuncia non sta nelle nostre capacità, ma con l’illuminazione della Sapienza possiamo pian piano incamminarci su questa via. Questo avviene solo se riconosciamo che dalla croce viene la vita vera, quella che rende possibile il faccia a faccia con Dio in cui conosceremo finalmente la sua volontà e la potremo mettere in pratica. Ma per essere sale che sala, occorre perseverare nell’ascolto del Signore.

Rinuncia verso la pienezza
L’epistola ci fornisce un buon esempio di questa rinuncia che equivale ad uno scambio. Filemone deve, nel nome di Cristo, imparare a rinunciare allo schiavo Onesimo per riceverlo come fratello, così come Paolo ha rinunciato a quel figlio ricevuto in catene, sperando di riceverlo, con il consenso di Filemone, in qualità i collaboratore nell’opera apostolica. Lo stesso scambio avviene nell’Eucaristia, si rinuncia a del pane offerto a Dio, e ce lo restituisce trasfigurato in corpo di Cristo. Cosa vuol dire rinunciare? In genere pensiamo immediatamente a una realtà che ci toglie qualcosa, a sofferenza, tristezza. Forse rinunciare è semplicemente andare avanti nella vita. Il fiore che sboccia rinuncia alla sua forma precedente, altrimenti non darà mai il frutto, così va avanti nella vita.

Risposta all’istinto possessivo
Rinuncia è, allora, distacco, è lasciare per crescere e crescere nella verità, nella pienezza di vita. Rinunciare alla madre è rinunciare a tutte quelle protezioni e forme in cui ci culliamo e non ci permettono di volare alto. Rinunciare al padre è rinunciare a tutte quelle autorità che diventano idoli nella nostra mente e ci fanno pensare con pensieri già precostituiti, soffocando la nostra creatività. Se riusciamo a rinunciare a queste madri e padri, cammineremo verso la piena maturazione, riusciremo ad essere liberi da tanti condizionamenti, lasciamo questa libertà per immergerci nella presenza di Dio che è in noi. Il Signore è ben consapevole di chiederci una cosa grossa, non perché difficile, ma difficile perché contraria al nostro istinto possessivo e impaurito. Per questo i due «esempi» che ci porta nel Vangelo (vv. 28 e 31) mettono in evidenza non solo l’impresa da compiere, ma anche e soprattutto la sproporzione tra i nostri mezzi e le nostre capacità e la vastità impegnativa del progetto. Ce la farà non chi sarà particolarmente virtuoso o forte, ma chi sarà sedotto dal fascino del Signore del Vangelo, e quindi sarà innamorato della nuova vita che Dio gli dona.


PER IL CONFRONTO NEL GRUPPO
– La presenza del Signore ha sciolto tutti i tuoi interrogativi?
– Sai affidarti alla progettualità di Cristo Gesù?


IN FAMIGLIA
Ognuno formula una serie di domande legate alla propria fede e insieme si cerca non la soluzione, ma il modo migliore per fare luce e vedere nei limiti la spinta per andare oltre e cercare il meglio.


(tratto da: R. Paganelli – Vivere la domenica aprendoci alla Parola, anno C – Elledici 2015)

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3. Annunciare la Parola – XXIII C, 8 set ’19

• Sap 9,13-18 – Chi può immaginare che cosa vuole il Signore?
• Dal Salmo 89 – Rit.: Donaci, o Dio, la sapienza del cuore.
• Fm 9b-10.12-17 – Accoglilo non più come schiavo, ma come un fratello carissimo.
• Canto al Vangelo – Alleluia, alleluia. Chi non porta la propria croce e non viene dietro a me, dice il Signore, non può essere mio discepolo. Alleluia.
• Lc 14,25-33 – Chi non rinunzia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo.

PER COMPRENDERE LA PAROLA

Conoscere e fare la volontà di Dio. Facciamo fatica a capirla. Bisogna poi misurarne le conseguenze. La 2ª lettura ne è una esemplificazione: Paolo insegna a Filemone a trarre le conseguenze dalla sua conversione.

PRIMA LETTURA
È una meditazione sull’incapacità dell’uomo a capire il volere di Dio. L’uomo da solo non ha i mezzi adeguati. Il libro della Sapienza, composto da un Giudeo ellenizzato, esprime questo dato di fatto con categorie platoniche (corpo e anima; il corpo è una tenda d’argilla che appesantisce l’anima). Il libro della Sapienza difende l’opera di Dio. Penetrare quest’opera è dono di Dio, una sapienza che è concessa dallo Spirito. Grazie ad essa gli uomini “furono raddrizzati”, conoscono Dio e sono salvati.
Questo testo può essere messo in relazione con la preghiera di Salomone (1 Re 3,6-9), oppure con Gb 38 e Is 40,12-17, altrettanti inviti di Dio rivolti agli uomini perché si “misurino” con lui. Cercare la sapienza di Dio vuol già dire rinunciare alla propria indipendenza di giudizio.

SALMO
Corrisponde alla 1ª lettura. Esso invoca il Signore con una punta di impazienza, richiamandosi alla nostra debolezza.

SECONDA LETTURA
Paolo, attualmente prigioniero a causa di Cristo, propone a Filemone un atto di rinuncia totale. Una rinuncia a se stesso, un perdono, che non è rottura ma conversione interiore a nuovi rapporti: lo schiavo diventa fratello.

VANGELO
Alla folla che lo segue Gesù rivolge l’invito a fare spiritualmente il suo stesso cammino: non lasciarsi fermare dall’amore di sé, né di altri; per amore di lui (“preferire me”, “dietro di me”, “mio discepolo”).
Le due parabole che seguono invitano a misurare il prezzo della fedeltà, per evitare che l’impegno sia debole e incostante.
“Non può essere mio discepolo” è quasi un ritornello che conferisce unità al testo.


PER ANNUNCIARE LA PAROLA (piste di omelia)

L’uomo trova veramente se stesso nello spirito di Cristo
Cristo dona a ognuno la propria dignità. Grazie a lui l’uomo non è più un oggetto, “conosce il volere di Dio”. Cristo concede la sapienza e manda il suo Santo Spirito. “Io vi darò lingua e sapienza, a cui tutti i vostri avversari non potranno resistere né controbattere” (Lc 21,15).
Cristo crea i veri legami fraterni fra di noi. Più si entrerà nello spirito di Cristo, e più la comunità umana farà progressi. Tra Filemone e Onesimo sono possibili nuovi legami. “Non c’è più schiavo né libero… poiché tutti voi siete uno in Gesù Cristo” (Gal 3,28).
È questo il fondamento di ogni umanesimo, l’autentica ispirazione politica.

La priorità del disegno di Dio su di noi
Riconoscere tale priorità è già sapienza. Noi esistiamo unicamente nel mondo di Dio, viviamo unicamente in una storia guidata da lui.
Noi siamo esseri effimeri (1ª lettura e Sal 89). Eppure l’uomo è sempre più consapevole del proprio potere, vuol essere padrone di se stesso. Difficilmente riconosce le proprie incapacità e i propri limiti.
L’intervento di Cristo – la sua salita a Gerusalemme – ha dato all’umanità un orientamento e una struttura nuovi. È necessario entrare nel mistero di Cristo, compiere tutte le proprie scelte secondo Cristo, cercare la volontà di Cristo: cioè rinunciare a se stessi. Questa priorità conferisce un senso nuovo a tutti gli altri rapporti (legame di famiglia: Vangelo).
Seguire Cristo è un dono totale, una rinuncia a guidare personalmente la propria vita. “Un discepolo ben preparato sarà come il suo maestro” (Lc 6,40).

La difficoltà di conoscere le idee, lo spirito di Cristo
Tutti noi abbiamo la nostra storia personale. I nostri sogni, le nostre angosce… Vogliamo raggiungere un dato successo, senza il quale tutto ci sembra perduto, o almeno povero di interesse. È saggio? Prima decidiamo ciò che per noi è bene, e soltanto dopo ci pensiamo su… “Costui ha iniziato a costruire, ma non è stato capace di finire il lavoro” (Vangelo).
Noi siamo prigionieri della mentalità del nostro tempo, del nostro ambiente. Non è facile né comodo individuare il giudizio di Dio in mezzo alle mille idee che si formano. Sedersi. Far silenzio… Riflettere, da soli e con altri… Rivolgersi alla Sapienza (Bibbia, Chiesa, comunità, ecc.)… Dev’essere un comportamento costante della vita cristiana. Dio non si impone. Il saggio chiede (1ª lettura). Paolo suggerisce rispettosamente a Filemone di liberare Onesimo: lo fa con molto tatto (2ª lettura). Il discepolo si siede per pensarci su. Non si impegna alla leggera nella costruzione della sua casa o nella lotta.
Le esigenze del Regno sono impegnative. Soltanto a questo prezzo uno diventerà discepolo. Le parole di Cristo si rivolgono alla folla e non solo ai discepoli (Vangelo).


(tratto da: M. Gobbin, Omelie per un anno – vol. 2, anno C, tempo ordinario – Elledici 2003)

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4. Parola da Vivere – XXIII C, 8 set ’19

CHI NON RINUNCIA

Ogni azione, o percorso, della vita cristiana è possibile solamente con la consegna totale alla volontà e alla potenza misericordiosa el Signore. Il tentativo che spesso si fa di mostrare che il cristianesimo è semplicemente l’apice della razionalità, è ridicolo e offensivo. Si è discepoli non per quello che noi sappiamo e possiamo, ma per come Lui viene a salvarci e a condurci nella nuova vita secondo lo Spirito. L’essere discepolo non è possibilità e capacità umana, ma dono di Dio.


(tratto da R. Paganelli – Vivere la domenica aprendoci alla Parola, anno C, Elledici 2015)

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5. Preghiere dei Fedeli – XXIII C, 8 set ’19

Alcune condizioni per seguire Gesù

Celebrante. Gesù ha dunque indicato alle folle alcune condizioni per diventare suoi discepoli. Nella Preghiera dei fedeli gli chiediamo che ci insegni a conoscere queste condizioni, e a realizzarle con coraggio nella nostra vita.

Lettore. Preghiamo insieme e diciamo: Donaci, Padre, la sapienza del cuore.

1. Preghiamo per il Papa e i pastori della Chiesa. Il Signore chiede a loro, e a noi, di avere per lui un amore al di sopra di ogni cosa, anche della vita.
Perché i responsabili nella Chiesa ci siano di esempio nel collocare i valori spirituali al primo posto, e si facciano con sollecitudine nostre guide spirituali nella fede, preghiamo.

2. Per i cristiani sparsi nel mondo, chiamati a essere con la loro presenza il buon fermento che fa lievitare la massa dell’umanità.
Perché – posti di fronte alle difficoltà della vita – i cristiani sappiano prendere su di sé la propria croce, e portarla con fede e amore camminando dietro il Signore Gesù, preghiamo.

3. Per gli educatori cristiani. È loro missione maturare la gioventù alla riflessione, e aiutarla a formarsi una coscienza delicata e retta.
Perché portino i ragazzi a comportarsi come i due personaggi delle parabole di Gesù, che invece di tuffarsi sconsideratamente nell’azione, si erano seduti a considerare e a calcolare, preghiamo.

4. Per i cristiani che dopo il battesimo hanno smarrito la fede nel Signore. Forse sono rimasti prigionieri di miraggi ingannevoli, forse provano già tutta l’amarezza di un’esistenza sbagliata.
Perché al culmine della loro drammatica esperienza trovino la verità in Cristo, e quindi la coerenza di una vita rinnovata, preghiamo.

5. Per la nostra comunità (parrocchiale). Dobbiamo suscitare in noi, come suggeriva san Paolo, «gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù».
Perché raccogliendoci ogni domenica attorno all’Eucaristia, troviamo in essa uno stimolo alla vita genuinamente cristiana anche per i giorni feriali, preghiamo.

Celebrante. O Padre, tu inviti ogni uomo a diventare discepolo del tuo Figlio Gesù. Rendici capaci di ascolto della sua voce che risuona nelle nostre chiese e nella nostra coscienza, e volenterosi nel realizzare le verità che approfondiamo pregando attorno all’altare. Per lo stesso Cristo nostro Signore.


(tratto da: E. Bianco, Preghiera dei fedeli, proposte per le domeniche e feste degli anni A-B-C – Elledici 2002)

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7. Aforismi – XXIII C, 8 set ’19

Raccolta di aforismi o testi utili per la riflessione o l’approfondimento

FILEMONE, FRATELLO CARISSIMO
La Seconda Lettura di questa domenica, con la seconda parte del breve «biglietto» di Paolo a Filemone, potrebbe suggerire un’omelia diversa. Tema: il cristianesimo come liberazione dell’uomo. Ecco qualche nota a margine.

La vicenda. A Colosse (città dell’Asia Minore, vicino a Efeso) risiedeva un certo Filemone, convertito insieme alla sua famiglia da Paolo, e in qualche modo associato alla sua attività missionaria (Paolo lo chiama «carissimo nostro collaboratore». Filemone è ricco di beni, e non meno ricco di fede e di amore verso Cristo e la Chiesa. Un suo schiavo, Onesimo, è fuggito, e secondo la legge romana potrebbe essere punito con la morte. O, stando a interpretazioni più recenti, forse è stato cacciato dal padrone per qualche grave mancanza che ha compiuto.

L’intervento di Paolo. L’apostolo si trova in prigione, forse a Efeso, verso la metà degli anni cinquanta. O forse a Roma, nei primi anni sessanta. Non si sa come, aveva incontrato Onesimo e lo aveva convertito alla fede. Ora con un biglietto (la Lettera accolta nel Nuovo Testamento) lo rimanda al suo padrone, sollecitandolo ad accoglierlo non più come schiavo ma come «fratello carissimo» in Cristo. È una lettera di raccomandazione, un invito abbastanza esplicito a concedergli l’emancipazione (l’atto giuridico di liberazione dello schiavo dal padrone). Pare con esito del tutto positivo. Filemone acconsentì alla richiesta, e Onesimo, liberato (libertus), in seguito prestò servizio nella missione di Paolo (vedi Col 4,9). Forse divenne anche esponente di spicco nella Chiesa di Colosse.

Significato teologico. Finora Paolo aveva affrontato il tema della schiavitù solo in modo timido e obliquo, celebrando l’uguaglianza di tutti gli uomini davanti a Dio, perché tutti peccatori e tutti bisognosi di salvezza. Ma già in quei passi si intuiva la valenza rivoluzionaria del cristianesimo nei confronti della dignità umana. In Cristo, sosteneva Paolo apertamente, «non c’è più né schiavo né libero» (Gal 3,28). Nella Lettera a Filemone il processo è compiuto: la fraternità in Cristo spezza la relazione padrone-schiavo. Paolo non chiede soltanto che Filemone rinunci a punirlo: Onesimo andrà accolto come membro della Chiesa, componente della famiglia di Filemone, e pienamente fratello. Perché ogni uomo è figlio di Dio, sua immagine, fratello del Cristo, salvato e destinato alla comunione piena con Dio.

Portata sociale. Paolo non propone una soluzione paternalistica ma radicale. D’ora in poi lo schiavo andrà considerato un fratello. Il cristiano si schiererà in prima linea nella difesa della libertà, dei diritti, della dignità di ogni uomo. La Lettera a Filemone è forse la più personale di Paolo, scritta interamente di suo pugno. Con sentimento, con forte senso dell’amicizia. Senza che Paolo faccia pesare la sua autorità di Apostolo. E dice la sua umanità profonda, il suo affetto, la sua delicatezza.


(tratto da: E. Bianco, All’altare di Dio – Anno C – Elledici 2009)