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3. Speciale Pasqua – Commenti alle letture Giovedì Santo

CENA DEL SIGNORE

AMORE, SERVIZIO
E CONSAPEVOLEZZA

In tutti i film drammatici che si rispettino, arriva un momento in cui il protagonista fa un discorso toccante. La vita e la predicazione di Gesù, però, non sono un film drammatico.
Negli ultimi istanti trascorsi coi suoi amici, infatti, prima di affrontare la morte di croce, egli non li impressiona con arringhe formidabili, ma affida loro un impegno molto concreto e lo illustra nella migliore maniera possibile: dando l’esempio.

PRIMA LETTURA
Prescrizioni per la cena pasquale.
La liberazione del popolo ebraico dalla terra d’Egitto è figura di ogni possibile liberazione. Ciò non significa che il contesto storico in cui essa si colloca non conti. Ogni piccolo particolare di quella vicenda infatti, perfino la fretta, assume un valore rituale e si trasforma in memoriale di salvezza.

Dal libro dell’Esodo       Es 12,1-8.11-14

SALMO RESPONSORIALE Dal Salmo 115 (116)
Il doni che abbiamo ricevuto dal Signore sono tanti e tali che non si può
«contraccambiare», solo innalzare una preghiera di lode.
Rit. Il tuo calice, Signore, è dono di salvezza.

SECONDA LETTURA
Ogni volta che mangiate questo pane e bevete al calice, voi annunciate la morte del Signore.
Prendere parte alla celebrazione eucaristica significa farsi testimoni della morte e risurrezione di Cristo. Questa testimonianza è anche un impegno, a non lasciare che un così grande dono sia dimenticato e a non permettere che venga accolto con superficialità.

Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi             1 Cor 11,23-26

CANTO AL VANGELO Gv 13,34
Gloria e lode e onore a te, Cristo Signore!
Vi do un comandamento nuovo, dice il Signore:
come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri.
Gloria e lode e onore a te, Cristo Signore!

VANGELO
Li amò sino alla fine.
L’evangelista Giovanni inizia il racconto della lavanda dei piedi concentrandosi sulla piena consapevolezza di Gesù. Questa scelta sta a sottolineare che il gesto che egli compie non è casuale. Prendersi cura dei fratelli non significa, infatti, compiere una buona azione tra le tante, significa modellarsi a immagine di Cristo.

Dal vangelo secondo Giovanni                   Gv 13,1-15

MEDITAZIONE
Il gesto più notevole e specifico della Messa in Coena Domini è la lavanda dei piedi. Il rischio di questo rito, però, è di ridurlo a teatrino. In tal modo si perde il senso del rito: del rito in generale, in quanto esso è condensazione simbolica di un significato profondo, e nello specifico di questo rito, immiserito a mera ripetizione di un gesto narrato dal vangelo di Giovanni, senza che si penetri la significatività dell’azione di Gesù.

L’amare e il sapere di Gesù
Il capitolo 13 di Giovanni pone subito al primo versetto i due verbi che reggeranno tutta l’ultima parte del quarto vangelo (cf Gv 13,1).
«Amare» è il primo fra i due. Gesù ha amato e ama i suoi discepoli. Si approssima alla passione per amore dell’umanità. Nella parte finale del capitolo consegna il «comandamento nuovo» (cf Gv 13,34a); invita i discepoli ad amare seguendo il suo esempio (cf Gv 13,34b); indica l’amore come la testimonianza più credibile del discepolato (cf Gv 13,35). L’amore di Gesù accetta l’abbassamento radicale della croce, del dono della vita (cf Gv 15,13).
L’amore, però, deve tradursi in azioni concrete di servizio. Di questo Gesù dà l’esempio con il suo chinarsi davanti ai discepoli per compiere un gesto di umiltà estrema: lavare loro i piedi.
Il secondo verbo che reggerà tutta l’ultima parte del vangelo di Giovanni è «sapere». Gesù è consapevole di quanto sta accadendo; accondiscende, perché condivide la volontà di salvezza del Padre; accetta in piena libertà le conseguenze della scelta e gli eventi. Ne è testimonianza la lettura dei fatti della passione, dei quali, nel quarto vangelo, Gesù stesso è protagonista, quasi regista. Nella lavanda Gesù depone le vesti e le riprende (cf Gv 13,4.12), riferimento al suo consegnare la vita nella passione, per poi riaverla nella resurrezione.

Il significato cristologico
Il gesto della lavanda, quindi, è innanzi tutto un condensato simbolico con valenza cristologica. Tutto di questo evento narrato da Giovanni parla della Pasqua di morte e risurrezione. A sua volta, la Pasqua di Gesù (cf Gv 13,1) è il compimento della Pasqua narrata nel libro dell’Esodo (cf prima lettura).
Il gesto che Gesù compie lavando i piedi ai discepoli può essere compreso solo nella fede. Lo dimostrano gli atteggiamenti di Giuda e Pietro. Il primo, ormai sotto il dominio del diavolo che «aveva già messo in cuore a Giuda, figlio di Simone Iscariota, di tradirlo» (Gv 13,2), è completamente distaccato nella sede del suo comprendere
e deliberare (il cuore) dall’amore di Gesù. Il secondo non accetta di farsi lavare i piedi. La lavanda è segno di quella purificazione interiore che si realizza con la passione. Qui, per Pietro – e per noi – si danno due difficoltà. La prima consiste nell’accettare di aver bisogno di essere purificati, cioè nel riconoscere il proprio peccato e la propria condizione di peccatori. La seconda, testimoniata dalla resistenza di Pietro, è la fatica ad accettare il ministero messianico di Gesù come si realizza. Un messia sofferente e sconfitto. Nei sinottici la stessa problematica emerge subito dopo la confessione di Cesarea (cf Mc 8,32 e paralleli). Mettere in questione la lavanda dei piedi, dunque, è mettere in questione tutta la rivelazione di Gesù.

Lo stile cristiano
La seconda parte del tratto di vangelo ha indole più esortativa. Gesù lascia ai discepoli il comando della ripetizione del suo gesto (cf Gv 13,15). Su questa esortazione bisogna recuperare il senso vero del rito. Celebrare la lavanda dei piedi nella Messa in Coena Domini, non può limitarsi a essere un’occasione, ma deve diventare uno stile di vita per i cristiani. Tutta la vita del cristiano deve essere improntata al servizio. Anche quando si rivestano ruoli di responsabilità, essi devono essere vissuti come servizio dell’autorità. Si noti, infatti, che il rito prevede che il sacerdote, nell’approssimarsi al rito della lavanda, si sveste dei paramenti sacri per inginocchiarsi. Si spoglia, dunque, delle insegne, per chinarsi e servire.
Il comando della ripetizione nel testo di Giovanni è parallelo al comando della ripetizione nell’istituzione eucaristica (cf 1 Cor 11,24.25). L’evangelista Giovanni non riporta l’episodio dell’istituzione dell’Eucaristia. Nella narrazione al suo posto pone la lavanda. Il che suggerisce una più stretta relazione fra i due episodi. Poiché la motivazione è sempre la stessa, l’amore, si può dedurre che celebra rettamente l’Eucaristia chi impronta la sua vita al servizio; e questo è celebrato sacramentalmente nell’Eucaristia.

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Giovedì Santo – perdono – letture – preghiere


6 aprile

GIOVEDÌ SANTO

La cena del Signore Gesù

Fare questo in memoria di me

La Cena del Signore Gesù apre il solenne Triduo pasquale. Gli ultimi drammatici giorni di Gesù ritrovano tutta la loro forza nei riti che si celebrano in ogni comunità cristiana. Ė grande e sentita la partecipazione e persino i cuori più induriti restano turbati. Oggi Gesù si ritrova con gli apostoli a celebrare la Pasqua. Conosce bene il tradimento di Giuda e lo smaschera, così pure la fede debole di Pietro e degli altri apostoli, eppure decide di lasciare in dono se stesso nell’Eucaristia, dopo averli purificati con la lavanda dei piedi.

RICHIESTA DI PERDONO

  • Signore Gesù, che hai purificato i tuoi apostoli con la lavanda dei piedi, lava anche noi dai nostri peccati, abbi pietà di noi.
  • Cristo, tradito e abbandonato dai tuoi apostoli, perdona anche noi per la debolezza della nostra fede, abbi pietà di noi.
  • Signore Gesù, che ci chiami ad amarci e a servirci reciprocamente, abbi pietà di noi.

PRIMA LETTURA

Prescrizioni per la cena pasquale.           

È il racconto della prima Pasqua, il sacrificio e la consumazione dell’agnello che con il suo sangue salva le case degli ebrei. È la notte della liberazione dalla schiavitù del popolo che Dio si è scelto.

Dal libro dell’Esodo.                                                                                              Es 12,1-8.11-14 

In quei giorni, il Signore disse a Mosè e ad Aronne in terra d’Egitto: «Questo mese sarà per voi l’inizio dei mesi, sarà per voi il primo mese dell’anno. Parlate a tutta la comunità d’Israele e dite: “Il dieci di questo mese ciascuno si procuri un agnello per famiglia, un agnello per casa. Se la famiglia fosse troppo piccola per un agnello, si unirà al vicino, il più prossimo alla sua casa, secondo il numero delle persone; calcolerete come dovrà essere l’agnello secondo quanto ciascuno può mangiarne.
Il vostro agnello sia senza difetto, maschio, nato nell’anno; potrete sceglierlo tra le pecore o tra le capre e lo conserverete fino al quattordici di questo mese: allora tutta l’assemblea della comunità d’Israele lo immolerà al tramonto. Preso un po’ del suo sangue, lo porranno sui due stipiti e sull’architrave delle case nelle quali lo mangeranno. In quella notte ne mangeranno la carne arrostita al fuoco; la mangeranno con azzimi e con erbe amare. Ecco in qual modo lo mangerete: con i fianchi cinti, i sandali ai piedi, il bastone in mano; lo mangerete in fretta. È la Pasqua del Signore!
In quella notte io passerò per la terra d’Egitto e colpirò ogni primogenito nella terra d’Egitto, uomo o animale; così farò giustizia di tutti gli dèi dell’Egitto. Io sono il Signore! Il sangue sulle case dove vi troverete servirà da segno in vostro favore: io vedrò il sangue e passerò oltre; non vi sarà tra voi flagello di sterminio quando io colpirò la terra d’Egitto. Questo giorno sarà per voi un memoriale; lo celebrerete come festa del Signore: di generazione in generazione lo celebrerete come un rito perenne”».

Parola di Dio.

 SALMO RESPONSORIALE                                                                Dal Salmo 115 (116)

È uno dei salmi che gli ebrei cantavano dopo aver celebrato il memoriale della Pasqua.

Rit. Il tuo calice, Signore, è dono di salvezza.

Che cosa renderò al Signore,
per tutti i benefici che mi ha fatto?
Alzerò il calice della salvezza
e invocherò il nome del Signore.

Agli occhi del Signore è preziosa la morte dei suoi fedeli.
Io sono tuo servo, figlio della tua schiava:
tu hai spezzato le mie catene.

A te offrirò un sacrificio di ringraziamento
e invocherò il nome del Signore.
Adempirò i miei voti al Signore
davanti a tutto il suo popolo.

 SECONDA LETTURA

Ogni volta che mangiate questo pane e bevete al calice, voi annunciate la morte del Signore.

È questo il più antico racconto dell’Ultima Cena di Gesù e dell’istituzione dell’Eucaristia. Paolo non era presente, ma trasmette quello che a sua volta gli è stato annunciato. Anche noi ogni domenica e questa sera in particolare, ripresentiamo nell’Eucaristia i gesti di Gesù, per continuare a «fare memoria» di lui.

 Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi.                                       1Cor 11,23-26

Fratelli, io ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso: il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, prese del pane e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse: «Questo è il mio corpo, che è per voi; fate questo in memoria di me».
Allo stesso modo, dopo aver cenato, prese anche il calice, dicendo: «Questo calice è la Nuova Alleanza nel mio sangue; fate questo, ogni volta che ne bevete, in memoria di me».
Ogni volta infatti che mangiate questo pane e bevete al calice, voi annunciate la morte del Signore, finché egli venga.

Parola di Dio.

Canto al Vangelo    Cf Gv 13,34

Gloria e lode e onore a te, Cristo Signore!

Vi do un comandamento nuovo, dice il Signore:
come io ho amato voi,
così amatevi anche voi gli uni gli altri.

Gloria e lode e onore a te, Cristo Signore!

VANGELO

Li amò sino alla fine.                                                                                          

Giovanni non presenta l’istituzione dell’Eucaristia, ma la lavanda dei piedi degli apostoli, gesto di umiliazione di Gesù e di purificazione per gli apostoli. È un gesto di profonda comunione e di estremo amore da parte di Gesù, che compie perché «come ha fatto lui, facciamo anche noi». È un atteggiamento che dovrebbe rinascere a ogni Eucaristia celebrata.

Dal vangelo secondo Giovanni.                                                                      Gv 13,1-15

Prima della festa di Pasqua, Gesù, sapendo che era venuta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò fino alla fine.
Durante la cena, quando il diavolo aveva già messo in cuore a Giuda, figlio di Simone Iscariota, di tradirlo, Gesù, sapendo che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani e che era venuto da Dio e a Dio ritornava, si alzò da tavola, depose le vesti, prese un asciugamano e se lo cinse attorno alla vita. Poi versò dell’acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con l’asciugamano di cui si era cinto.
Venne dunque da Simon Pietro e questi gli disse: «Signore, tu lavi i piedi a me?». Rispose Gesù: «Quello che io faccio, tu ora non lo capisci; lo capirai dopo». Gli disse Pietro: «Tu non mi laverai i piedi in eterno!». Gli rispose Gesù: «Se non ti laverò, non avrai parte con me». Gli disse Simon Pietro: «Signore, non solo i miei piedi, ma anche le mani e il capo!». Soggiunse Gesù: «Chi ha fatto il bagno, non ha bisogno di lavarsi se non i piedi ed è tutto puro; e voi siete puri, ma non tutti». Sapeva infatti chi lo tradiva; per questo disse: «Non tutti siete puri». Quando ebbe lavato loro i piedi, riprese le sue vesti, sedette di nuovo e disse loro: «Capite quello che ho fatto per voi? Voi mi chiamate il Maestro e il Signore, e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri. Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi».

Parola del Signore.

PER RIFLETTERE E MEDITARE

Iniziano con il Giovedì Santo i riti centrali della nostra fede, i giorni delle grandi commozioni e del coinvolgimento più pieno. In passato – e in alcune zone del nostro paese ancora oggi – i riti della Settimana Santa facevano parte di una religiosità popolare sentita e suggestiva, accompagnata tante volte da folclore ed esteriorità.

La celebrazione della Pasqua

Gesù celebra la Pasqua (la Pesach degli ebrei) con gli apostoli, che sono diventati la sua famiglia. Nel momento della preghiera sul pane azzimo e sul vino cambia però le parole che il capo di famiglia doveva pronunciare: «Questo è il pane che i nostri padri hanno mangiato in terra di schiavitù…» in: «Questo è il mio corpo», «Questo è il mio sangue che sarà sparso per voi…».
In tutte e tre le letture si parla di «memoriale»: della prima Pasqua ebraica e della Pasqua di Gesù. «Memoriale» dice realtà sacramentale, riproposta di quanto è stato realizzato e che noi riviviamo nel tempo.
Nasce in questo giorno il sacerdozio ministeriale. Gesù ha chiamato gli apostoli alla missione, ora li fa ministri dell’Eucaristia. «Fatevi servi, amatevi», dice Gesù agli apostoli. È un programma di vita della futura comunità che è la Chiesa.

Uno sguardo ai protagonisti

Guardiamo anzitutto Gesù che decide di fare Pasqua insieme ai suoi discepoli. Fa un lungo discorso: quello del capo-famiglia che ricorda i prodigi della prima Pasqua, quando Mosè liberò dalla schiavitù il popolo ebraico. In realtà le parole di Gesù sono tutte programmatiche e fanno riferimento al futuro, alla vita della comunità che sta per costituirsi dopo la Pentecoste.
Gli apostoli non percepiscono il dramma che sta per abbattersi su Gesù e anche su di loro. Solo in seguito comprenderanno il significato pieno di quei gesti e le intenzioni di Gesù. Qui addirittura si mettono a discutere per stabilire chi tra di loro è il più importante (Lc 22,24). Ma la discussione è troncata da Gesù, che si umilia davanti a loro: «Io sto in mezzo a voi come colui che serve» (Lc 24,27). Lava loro i piedi, inginocchiandosi davanti a Pietro e agli altri. Probabilmente davanti allo stesso Giuda. Promette lo Spirito Santo, che li «consolerà» e garantirà la continuità dell’opera iniziata da Gesù.
Giuda è un personaggio tragico e misterioso. Era forse rimasto deluso da Gesù nelle sua aspettative politiche? Tradisce per avidità, per denaro, perché è ladro, come dice Giovanni? Il suo tradimento è pieno: vende Gesù ai nemici, li conduce al Getsemani, lo bacia con un gesto falsamente amico. Ma il suo suicidio è quello di un uomo disperato e – forse – pentito.
È incredibile, ma è proprio «nella notte in cui fu tradito» che Gesù dona l’Eucaristia alla futura Chiesa. Decide di rimanere tra noi nella notte in cui l’uomo appare più confuso, debole, inaffidabile.

L’Eucaristia fa la Chiesa

L’Eucaristia è il sacramento che esprime e costruisce la comunità. Che ci chiama a renderci fratelli.
Gesù rimane tra noi. Si è fatto pane e vino per essere «mangiato e bevuto». Il pane e il vino sono elementi che servono solo a questo. Non ha scelto di rimanere tra noi per essere semplicemente adorato e venerato. Si è messo nelle mani degli uomini («Fate questo in memoria di me»): dipende da noi attingere dall’Eucaristia per renderlo presente al mondo.
Ė dall’Eucaristia che alimentiamo la nostra fede, ma spesso le nostre messe sono inespressive, abitudinarie, stanche e annoianti.
Oltre all’Eucaristia, oggi Gesù ci fa dono del sacerdozio, rende cioè i suoi apostoli ministri di questo sacramento che lo rende presente ogni giorno vivo tra noi. Due grandi doni che perpetuano attraverso persone fragili lungo tutta la storia i gesti pasquali compiuti da Gesù.
Il sacerdozio in alcune zone del mondo e dell’Italia sta diventando raro. L’Europa è diventata terra di missione e si trovano tra noi preti indiani, africani, asiatici. Preghiamo dunque per i preti, perché la Chiesa possa contare sempre su questo servizio nella comunità.
Questa mattina i parroci, ma anche una parte della Chiesa diocesana, si sono stretti attorno al vescovo per la consacrazione degli oli sacramentali e per ricordare in forma comunitaria il giorno in cui Gesù li ha chiamati a celebrare l’Eucaristia.

UN FATTO – UNA TESTIMONIANZA.

Ecco come è vissuta la lavanda dei piedi tra i disabili dell’Arca: «Ogni Giovedì Santo è celebrato in ognuno dei foyer, tra tutti i membri. E lo viviamo così. Uno di noi comincia a lavare i piedi a chi gli sta accanto, poi questi gli impone le mani sul capo e prega un attimo in silenzio. A sua volta poi costui lava i piedi a un altro e si riprende di seguito il gesto silenzioso delle mani di chi si è lasciato lavare, sul capo di colui che gli ha lavato i piedi e così via, finché ciascuno si è lasciato lavare i piedi e ha lavato i piedi a un fratello, a una sorella».

PREGHIERA UNIVERSALE

Celebrante. Nella notte in cui fu tradito, il nostro Salvatore volle celebrare la Pasqua e affidò alla Chiesa il suo Corpo e il suo Sangue. Pieni di riconoscenza e di fiducia, ci rivolgiamo al Padre, dicendo insieme:

Ascoltaci, o Padre, nel nome del tuo Figlio.

  • La Chiesa, o Padre, nei suoi vescovi e sacerdoti, viva la grazia del ministero sacerdotale con senso di responsabilità e di fiducia, preghiamo.
  • L’unità delle Chiese, per le quali Cristo ha pregato, sia ricercata con umiltà e con coraggio, affinché diventiamo insieme un segno di speranza per il mondo intero, preghiamo.
  • I giovani e gli adulti, i sani e i malati, i fanciulli e gli anziani trovino nell’Eucaristia la gioia di appartenere a Cristo e la forza per vivere da cristiani, preghiamo.
  • Ogni comunità cristiana, nutrita e vivificata dall’Eucaristia, possa imparare da Cristo a donarsi nell’amore e nel servizio, preghiamo.

Celebrante. Padre Santo, che in Cristo, sacerdote eterno, hai posto la sorgente della vita cristiana, concedi alla tua Chiesa di vivere la nuova alleanza donandosi generosamente a quanti attendono la tua salvezza. Per Cristo nostro Signore.

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Venerdì Santo – 7 aprile 2023


7 aprile

VENERDÌ DELLA PASSIONE DEL SIGNORE

Ha donato se stesso fino alla morte, e alla morte di croce

Prima del Concilio Vaticano II nelle due ultime settimane di Quaresima si coprivano le statue e le immagini sacre e solo oggi si toglieva il velo al crocifisso. Oggi la liturgia ci fa contemplare il Crocifisso, ci propone la preghiera silenziosa, l’adorazione, il doloroso pensiero alle sofferenze e alla morte del Figlio di Dio. Non si celebra l’Eucaristia, ma al centro della celebrazione serale vi sono la proclamazione della Parola, la solenne preghiera sulla Chiesa e sul mondo, l’adorazione della Croce e la consumazione dell’Eucaristia del Giovedì Santo. In genere non si tiene l’omelia, neppure breve. Ma si possono offrire ai fedeli alcuni elementi di meditazione.

La celebrazione si svolge in tre momenti: Liturgia della Parola, Adorazione della Croce, Comunione eucaristica.

In questo giorno la santa comunione ai fedeli viene distribuita soltanto durante la celebrazione della Passione del Signore; ai malati che non possono prendere parte a questa celebrazione si può portare la comunione in qualunque ora del giorno.

Il sacerdote e il diacono indossano le vesti di color rosso, come per la Messa. Si recano poi all’altare e, fatta la debita riverenza, si prostrano a terra o, secondo l’opportunità, s’inginocchiano. Tutti, in silenzio, pregano per breve tempo.

PRIMA LETTURA

Egli è stato trafitto per le nostre colpe. (Quarto canto del Servi del Signore).  

Il profeta descrive le sofferenze del messia con impressionate realismo e puntuale aderenza al racconto evangelico. «Il mio servo», dice Isaia, «è stato trafitto per i nostri delitti… maltrattato e umiliato, come agnello condotto al macello… eliminato dalla terra dei viventi». Ma, conclude, «Dopo il suo intimo tormento vedrà la luce».

 Dal libro del profeta Isaia.                                                                                     Is 52,13–53,12

Ecco, il mio servo avrà successo, sarà onorato, esaltato e innalzato grandemente.
Come molti si stupirono di lui – tanto era sfigurato per essere d’uomo il suo aspetto e diversa la sua forma da quella dei figli dell’uomo –, così si meraviglieranno di lui molte nazioni; i re davanti a lui si chiuderanno la bocca, poiché vedranno un fatto mai a essi raccontato e comprenderanno ciò che mai avevano udito.
Chi avrebbe creduto al nostro annuncio?
A chi sarebbe stato manifestato il braccio del Signore?
È cresciuto come un virgulto davanti a lui e come una radice in terra arida.
Non ha apparenza né bellezza per attirare i nostri sguardi, non splendore per poterci piacere.
Disprezzato e reietto dagli uomini, uomo dei dolori che ben conosce il patire, come uno davanti al quale ci si copre la faccia; era disprezzato e non ne avevamo alcuna stima.
Eppure egli si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori; e noi lo giudicavamo castigato, percosso da Dio e umiliato.
Egli è stato trafitto per le nostre colpe, schiacciato per le nostre iniquità.
Il castigo che ci dà salvezza si è abbattuto su di lui;
per le sue piaghe noi siamo stati guariti.
Noi tutti eravamo sperduti come un gregge, ognuno di noi seguiva la sua strada; il Signore fece ricadere su di lui l’iniquità di noi tutti.
Maltrattato, si lasciò umiliare e non aprì la sua bocca; era come agnello condotto al macello, come pecora muta di fronte ai suoi tosatori, e non aprì la sua bocca.
Con oppressione e ingiusta sentenza fu tolto di mezzo; chi si affligge per la sua posterità?
Sì, fu eliminato dalla terra dei viventi, per la colpa del mio popolo fu percosso a morte.
Gli si diede sepoltura con gli empi, con il ricco fu il suo tùmulo, sebbene non avesse commesso violenza né vi fosse inganno nella sua bocca.
Ma al Signore è piaciuto prostrarlo con dolori. Quando offrirà se stesso in sacrificio di riparazione, vedrà una discendenza, vivrà a lungo, si compirà per mezzo suo la volontà del Signore.
Dopo il suo intimo tormento vedrà la luce e si sazierà della sua conoscenza; il giusto mio servo giustificherà molti, egli si addosserà le loro iniquità.
Perciò io gli darò in premio le moltitudini, dei potenti egli farà bottino, perché ha spogliato se stesso fino alla morte ed è stato annoverato fra gli empi, mentre egli portava il peccato di molti e intercedeva per i colpevoli.

Parola di Dio.

 SALMO RESPONSORIALE                                                                     Dal Salmo 30 (31)

Le parole del salmo trovano compimento nella persona di Cristo. Nel momento della passione Cristo non perde la fiducia e si abbandona al Padre.

Rit. Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito.

In te, Signore, mi sono rifugiato,
mai sarò deluso;
difendimi per la tua giustizia.

Alle tue mani affido il mio spirito;
tu mi hai riscattato,
Signore, Dio fedele.

Sono il rifiuto dei miei nemici
e persino dei miei vicini,
il terrore dei miei conoscenti;
chi mi vede per strada mi sfugge.

Sono come un morto, lontano dal cuore;
sono come un coccio da gettare.
Ma io confido in te, Signore;
dico: «Tu sei il mio Dio,
i miei giorni sono nelle tue mani».

Liberami dalla mano dei miei nemici e dai miei persecutori.
Sul tuo servo fa’ splendere il tuo volto,
salvami per la tua misericordia.

Siate forti, rendete saldo il vostro cuore,
voi tutti che sperate nel Signore.

 SECONDA LETTURA

Cristo imparò l’obbedienza e divenne causa di salvezza per tutti coloro che gli obbediscono.                                               

Cristo chiese «con preghiere e suppliche, con forti grida e lacrime» di essere liberato dalla croce, ma, pur essendo Figlio, si piegò nell’obbedienza al Padre e conobbe la sofferenza. Ma in questo modo divenne causa di salvezza per ogni uomo.

Dalla lettera agli Ebrei.                                                                                      Eb 4,14-16; 5,7-9

Fratelli, poiché abbiamo un sommo sacerdote grande, che è passato attraverso i cieli, Gesù il Figlio di Dio, manteniamo ferma la professione della fede. Infatti non abbiamo un sommo sacerdote che non sappia prendere parte alle nostre debolezze: egli stesso è stato messo alla prova in ogni cosa come noi, escluso il peccato.
Accostiamoci dunque con piena fiducia al trono della grazia per ricevere misericordia e trovare grazia, così da essere aiutati al momento opportuno.
[Cristo, infatti,] nei giorni della sua vita terrena, offrì preghiere e suppliche, con forti grida e lacrime, a Dio che poteva salvarlo da morte e, per il suo pieno abbandono a lui, venne esaudito.
Pur essendo Figlio, imparò l’obbedienza da ciò che patì e, reso perfetto, divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono.

Parola di Dio.

CANTO AL VANGELO         Cf Fil 2,8-9

Gloria e lode a te, Cristo Signore!

Per noi Cristo si è fatto obbediente fino alla morte
e a una morte di croce.
Per questo Dio lo esaltò
e gli donò il nome che è al di sopra di ogni nome.

Gloria e lode a te, Cristo Signore!

 VANGELO

Passione del Signore.                

Nel Vangelo di Giovanni Gesù non subisce la passione passivamente, ma è lui che si offre liberamente come vittima consapevole. Per Gesù è il compimento della sua «ora», prevista e attesa. È segna il suo trionfo, non una sconfitta.

Passione di nostro Signore Gesù Cristo secondo Giovanni.                           Gv 18,1–19,42

Catturarono Gesù e lo legarono

In quel tempo, Gesù uscì con i suoi discepoli al di là del torrente Cèdron, dove c’era un giardino, nel quale entrò con i suoi discepoli. Anche Giuda, il traditore, conosceva quel luogo, perché Gesù spesso si era trovato là con i suoi discepoli. Giuda dunque vi andò, dopo aver preso un gruppo di soldati e alcune guardie fornite dai capi dei sacerdoti e dai farisei, con lanterne, fiaccole e armi. Gesù allora, sapendo tutto quello che doveva accadergli, si fece innanzi e disse loro: «Chi cercate?». Gli risposero: «Gesù, il Nazareno». Disse loro Gesù: «Sono io!». Vi era con loro anche Giuda, il traditore. Appena disse loro «Sono io», indietreggiarono e caddero a terra. Domandò loro di nuovo: «Chi cercate?». Risposero: «Gesù, il Nazareno». Gesù replicò: «Vi ho detto: sono io. Se dunque cercate me, lasciate che questi se ne vadano», perché si compisse la parola che egli aveva detto: «Non ho perduto nessuno di quelli che mi hai dato». Allora Simon Pietro, che aveva una spada, la trasse fuori, colpì il servo del sommo sacerdote e gli tagliò l’orecchio destro. Quel servo si chiamava Malco. Gesù allora disse a Pietro: «Rimetti la spada nel fodero: il calice che il Padre mi ha dato, non dovrò berlo?».

 

Lo condussero prima da Anna

Allora i soldati, con il comandante e le guardie dei Giudei, catturarono Gesù, lo legarono e lo condussero prima da Anna: egli infatti era suocero di Caifa, che era sommo sacerdote quell’anno. Caifa era quello che aveva consigliato ai Giudei: «È conveniente che un solo uomo muoia per il popolo».
Intanto Simon Pietro seguiva Gesù insieme a un altro discepolo. Questo discepolo era conosciuto dal sommo sacerdote ed entrò con Gesù nel cortile del sommo sacerdote. Pietro invece si fermò fuori, vicino alla porta. Allora quell’altro discepolo, noto al sommo sacerdote, tornò fuori, parlò alla portinaia e fece entrare Pietro. E la giovane portinaia disse a Pietro: «Non sei anche tu uno dei discepoli di quest’uomo?». Egli rispose: «Non lo sono». Intanto i servi e le guardie avevano acceso un fuoco, perché faceva freddo, e si scaldavano; anche Pietro stava con loro e si scaldava.
Il sommo sacerdote, dunque, interrogò Gesù riguardo ai suoi discepoli e al suo insegnamento. Gesù gli rispose: «Io ho parlato al mondo apertamente; ho sempre insegnato nella sinagoga e nel tempio, dove tutti i Giudei si riuniscono, e non ho mai detto nulla di nascosto. Perché interroghi me? Interroga quelli che hanno udito ciò che ho detto loro; ecco, essi sanno che cosa ho detto». Appena detto questo, una delle guardie presenti diede uno schiaffo a Gesù, dicendo: «Così rispondi al sommo sacerdote?». Gli rispose Gesù: «Se ho parlato male, dimostrami dov’è il male. Ma se ho parlato bene, perché mi percuoti?». Allora Anna lo mandò, con le mani legate, a Caifa, il sommo sacerdote.
ùIntanto Simon Pietro stava lì a scaldarsi. Gli dissero: «Non sei anche tu uno dei suoi discepoli?». Egli lo negò e disse: «Non lo sono». Ma uno dei servi del sommo sacerdote, parente di quello a cui Pietro aveva tagliato l’orecchio, disse: «Non ti ho forse visto con lui nel giardino?». Pietro negò di nuovo, e subito un gallo cantò.

Il mio regno non è di questo mondo

Condussero poi Gesù dalla casa di Caifa nel pretorio. Era l’alba ed essi non vollero entrare nel pretorio, per non contaminarsi e poter mangiare la Pasqua. Pilato dunque uscì verso di loro e domandò: «Che accusa portate contro quest’uomo?». Gli risposero: «Se costui non fosse un malfattore, non te l’avremmo consegnato». Allora Pilato disse loro: «Prendetelo voi e giudicatelo secondo la vostra Legge!». Gli risposero i Giudei: «A noi non è consentito mettere a morte nessuno». Così si compivano le parole che Gesù aveva detto, indicando di quale morte doveva morire.
Pilato allora rientrò nel pretorio, fece chiamare Gesù e gli disse: «Sei tu il re dei Giudei?». Gesù rispose: «Dici questo da te, oppure altri ti hanno parlato di me?». Pilato disse: «Sono forse io Giudeo? La tua gente e i capi dei sacerdoti ti hanno consegnato a me. Che cosa hai fatto?». Rispose Gesù: «Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di quaggiù». Allora Pilato gli disse: «Dunque tu sei re?». Rispose Gesù: «Tu lo dici: io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce». Gli dice
Pilato: «Che cos’è la verità?».
E, detto questo, uscì di nuovo verso i Giudei e disse loro: «Io non trovo in lui colpa alcuna. Vi è tra voi l’usanza che, in occasione della Pasqua, io rimetta uno in libertà per voi: volete dunque che io rimetta in libertà per voi il re dei Giudei?». Allora essi gridarono di nuovo: «Non costui, ma Barabba!». Barabba era un brigante.

Salve, re dei Giudei!

Allora Pilato fece prendere Gesù e lo fece flagellare. E i soldati, intrecciata una corona di spine, gliela posero sul capo e gli misero addosso un mantello di porpora. Poi gli si avvicinavano e dicevano: «Salve, re dei Giudei!». E gli davano schiaffi. Pilato uscì fuori di nuovo e disse loro: «Ecco, io ve lo conduco fuori, perché sappiate che non trovo in lui colpa alcuna». Allora Gesù uscì, portando la corona di spine e il mantello di porpora. E Pilato disse loro: «Ecco l’uomo!».
Come lo videro, i capi dei sacerdoti e le guardie gridarono: «Crocifiggilo! Crocifiggilo!». Disse loro Pilato: «Prendetelo voi e crocifiggetelo; io in lui non trovo colpa». Gli risposero i Giudei: «Noi abbiamo una Legge e secondo la Legge deve morire, perché si è fatto Figlio di Dio».
All’udire queste parole, Pilato ebbe ancor più paura. Entrò di nuovo nel pretorio e disse a Gesù: «Di dove sei tu?». Ma Gesù non gli diede risposta. Gli disse allora Pilato: «Non mi parli? Non sai che ho il potere di metterti in libertà e il potere di metterti in croce?». Gli rispose Gesù: «Tu non avresti alcun potere su di me, se ciò non ti fosse stato dato dall’alto. Per questo chi mi ha consegnato a te ha un peccato più grande».

Via! Via! Crocifiggilo!

Da quel momento Pilato cercava di metterlo in libertà. Ma i Giudei gridarono: «Se liberi costui, non sei amico di Cesare! Chiunque si fa re si mette contro Cesare». Udite queste parole, Pilato fece condurre fuori Gesù e sedette in tribunale, nel luogo chiamato Litòstroto, in ebraico Gabbatà. Era la Parascève della Pasqua, verso mezzogiorno. Pilato disse ai Giudei: «Ecco il vostro re!». Ma quelli gridarono: «Via! Via! Crocifiggilo!». Disse loro Pilato: «Metterò in croce il vostro re?». Risposero i capi dei sacerdoti: «Non abbiamo altro re che Cesare». Allora lo consegnò loro perché fosse crocifisso.

Lo crocifissero e con lui altri due

Essi presero Gesù ed egli, portando la croce, si avviò verso il luogo detto del Cranio, in ebraico Gòlgota, dove lo crocifissero e con lui altri due, uno da una parte e uno dall’altra, e Gesù in mezzo. Pilato compose anche l’iscrizione e la fece porre sulla croce; vi era scritto: «Gesù il Nazareno, il re dei Giudei». Molti Giudei lessero questa iscrizione, perché il luogo dove Gesù fu crocifisso era vicino alla città; era scritta in ebraico, in latino e in greco. I capi dei sacerdoti dei Giudei dissero allora a Pilato: «Non scrivere: “Il re dei Giudei”, ma: “Costui ha detto: Io sono il re dei Giudei”». Rispose Pilato: «Quel che ho scritto, ho scritto».

Si sono divisi tra loro le mie vesti

I soldati poi, quando ebbero crocifisso Gesù, presero le sue vesti, ne fecero quattro parti – una per ciascun soldato –, e la tunica. Ma quella tunica era senza cuciture, tessuta tutta d’un pezzo da cima a fondo. Perciò dissero tra loro: «Non stracciamola, ma tiriamo a sorte a chi tocca». Così si compiva la Scrittura, che dice: «Si sono divisi tra loro le mie vesti e sulla mia tunica hanno gettato la sorte». E i soldati fecero così.

Ecco tuo figlio! Ecco tua madre!

Stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria madre di Clèopa e Maria di Màgdala. Gesù allora, vedendo la madre e accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: «Donna, ecco tuo figlio!». Poi disse al discepolo: «Ecco tua madre!». E da quell’ora il discepolo l’accolse con sé.
Dopo questo, Gesù, sapendo che ormai tutto era compiuto, affinché si compisse la Scrittura, disse: «Ho sete». Vi era lì un vaso pieno di aceto; posero perciò una spugna, imbevuta di aceto, in cima a una canna e gliela accostarono alla bocca. Dopo aver preso l’aceto, Gesù disse: «È compiuto!». E, chinato il capo, consegnò lo spirito.

(Qui ci si genuflette e si fa una breve pausa).

E subito ne uscì sangue e acqua

Era il giorno della Parascève e i Giudei, perché i corpi non rimanessero sulla croce durante il sabato – era infatti un giorno solenne quel sabato –, chiesero a Pilato che fossero spezzate loro le gambe e fossero portati via. Vennero dunque i soldati e spezzarono le gambe all’uno e all’altro che erano stati crocifissi insieme con lui. Venuti però da Gesù, vedendo che era già morto, non gli spezzarono le gambe, ma uno dei soldati con una lancia gli colpì il fianco, e subito ne uscì sangue e acqua. Chi ha visto ne dà testimonianza e la sua testimonianza è vera; egli sa che dice il vero, perché anche voi crediate. Questo infatti avvenne perché si compisse la Scrittura: «Non gli sarà spezzato alcun osso». E un altro passo della Scrittura dice ancora: «Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto».
Presero il corpo di Gesù e lo avvolsero con teli insieme ad aromi Dopo questi fatti Giuseppe di Arimatèa, che era discepolo di Gesù, ma di nascosto, per timore dei Giudei, chiese a Pilato di prendere il corpo di Gesù. Pilato lo concesse. Allora egli andò e prese il corpo di Gesù. Vi andò anche Nicodèmo – quello che in precedenza era andato da lui di notte – e portò circa trenta chili di una mistura di mirra e di áloe. Essi presero allora il corpo di Gesù e lo avvolsero con teli, insieme ad aromi, come usano fare i Giudei per preparare la sepoltura. Ora, nel luogo dove era stato crocifisso, vi era un giardino e nel giardino un sepolcro nuovo, nel quale nessuno era stato ancora posto. Là dunque, poiché era il giorno della Parascève dei Giudei e dato che il sepolcro era vicino, posero Gesù.

Parola del Signore.

 

PER RIFLETTERE E MEDITARE

La passione di Gesù è il cuore del Vangelo, ed è ciò che gli apostoli hanno memorizzato e raccontato con maggior lucidità ai cristiani della prima ora. Gli evangelisti ne hanno scritto con maggior ricchezza di particolari, essendo gli ultimi avvenimenti della sua vita. Nei sinottici (Matteo, Marco e Luca) prevale in Gesù il senso di abbandono e della sconfitta. È schiacciato dal potere politico e religioso, rifiutato dal popolo, accusato da falsi testimoni, abbandonato dagli apostoli, tradito da un amico. Nel racconto di Giovanni invece Gesù sembra gestire lucidamente ogni incontro e ogni avvenimento, dal Getsemani alla morte in croce.

La passione di Gesù

Gli ultimi giorni della vita di Gesù, dalla farsa del processo alla crocifissione sono la viva rappresentazione della crudeltà e della barbarie che gli uomini, in ogni tempo, hanno compiuto contro innocenti, indifesi, capri espiatori e i tanti crocifissi della storia. Nel racconto di Luca, Gesù suda sangue, prima di essere arrestato. È la paura più nera, il terrore di quanto dovrà provare, ma anche la tragica delusione della sconfitta. Potrebbe fuggire, potrebbe evitare questa tragica morte, ma accetta fino in fondo che si compia non la sua, ma la volontà del Padre.

Ma pure dall’alto della croce rimane se stesso, il messia mite e misericordioso che sulle strade della Palestina accoglie i peccatori e dona il suo amore senza riserve a tutti. Perdona il buon ladrone, che si affida a lui e gli spalanca le porta del Paradiso. Ma perdona anche chi lo ha crocifisso: «Perché non sanno quello che fanno» (Lc 23, 34.43).

Mentre gli amici lo abbandonano, e le autorità lo scartano e scherniscono, nel racconto di Marco Gesù viene riconosciuto da un ufficiale romano pagano, che vendendolo morire in quel modo esclama: «Costui era veramente il Figlio di Dio!» (Mc 15,39).

L’amore senza misura

La passione di Gesù è stata prevista sin dall’Antico Testamento nella parola dei profeti. Ma anche Gesù più volte ha parlato della sua fine tragica: «Il Figlio dell’uomo sta per essere consegnato nelle mani degli uomini ed essi lo uccideranno» (Mt 17,22-23).
Qualcuno in passato ha voluto vedere nella morte di Gesù qualcosa di prestabilito, o addirittura una morte riparatrice, per annullare la collera di Dio nei confronti dell’uomo. In realtà la morte di Gesù è un gesto di amore senza misura del Figlio di Dio, e un atto di spietata crudeltà da parte dell’uomo: «La croce è la sofferenza che il mondo senza Dio impone a Dio» (Dietrich Bonhoeffer).
Giovanni, testimone diretto della morte del suo amato Maestro, vede che uno dei soldati gli trapassa il costato con la lancia, facendo uscire dal suo cuore sangue e acqua, segno del suo amore senza fine e dei sacramenti.
È proprio in questa esperienza di tradimento e di sangue che Gesù lascia per madre Maria ai suoi futuri discepoli. Da quel momento Maria diventa madre della Chiesa. La troveremo in preghiera e in attesa dello Spirito Santo con la Chiesa nascente.
Questo è il volto del vero Dio. Un Dio dal cuore umano, trafitto da una lancia. Un Dio che si è fatto uomo in Gesù e ci ha dimostrato il suo amore amandoci «fino alla morte e alla morte di croce» (Fil 2,8).

Apriamo i nostri occhi e il nostro cuore

La morte di Gesù è la morte di Dio che annienta se stesso per amore dell’uomo. In passato si è parlato della morte di Dio, così come aveva fatto Nietzsche. Ma la morte in croce di Gesù non è l’ultima parola detta dal Padre e si cambierà presto nel trionfo di Dio.
Oggi siamo invitati a rivolgere il nostro cuore alla croce. È il vero volto del nostro Dio, il volto di chi ci ama fino al sacrificio estremo. È stato il prezzo che Gesù ha pagato per far aprire gli occhi all’uomo e convincerlo del suo amore senza misura. Perché non sono bastati i miracoli, le parabole, le parole piene di amore rivolte alle folle in attesa di salvezza.
Il Vangelo di Giovanni però non si conclude con un crudele annientamento. Giuseppe d’Arimatea troverà il coraggio di chiedere il corpo di Gesù e Nicodemo renderà sontuosa la sua sepoltura con trenta chili di una mistura di aloe e mirra. Il primo giorno della settimana, il mattino di Pasqua, Maria di Magdala andrà alla tomba per ritrovare l’amato così tragicamente piagato, e avrà la gioia di rivederlo vivo. Arriveranno di corsa alla tomba vuota Pietro e Giovanni; e nella stessa domenica Gesù si presenterà vivo agli apostoli nel Cenacolo. Dalla tragica esperienza dalla croce e dal suo sangue versato, Gesù darà inizio alla nuova comunità dei credenti, la Chiesa.

UN FATTO – UNA TESTIMONIANZA

Pilato è convinto della innocenza di Gesù, ma alla fine cede alla volontà della folla e alla logica del potere. Anatole France ne il Il procuratore di Giudea presenta un Pilato, ormai pensionato, che non conserva ricordi o finge di non ricordare. Di fronte alle sollecitazioni dell’ex-collega governatore di Siria: «Ponzio, ti ricordi di Gesù il Nazareno che fu crocifisso non so più per la quale delitto?». Ponzio Pilato aggrottò le sopracciglia, si portò la mano alla fronte come chi vuole ritrovare un ricordo. Poi, dopo qualche istante di silenzio: «Gesù – mormorò – Gesù il Nazareno? No, non ricordo».

COMMENT0 2

Se la Chiesa ha scelto la passione di Giovanni per il Venerdì Santo, è perché per lei, molto più che di tristezza, è un giorno di scoperta sempre più approfondita del modo divino di realizzare la salvezza a opera di Gesù, mosso dallo Spirito in obbedienza al Padre, il quale vuole la salvezza di tutti.
Per Giovanni la passione di Gesù non è meno sofferta che per i sinottici, ma i singoli fatti vengono trasfigurati dalla prospettiva che nella passione e nella morte in croce si rivela fino a che punto arriva l’amore del Padre, manifestato da Gesù e in Gesù.
Evidenziamo solo alcuni punti.
Giovanni sottolinea che Gesù sa non solo ciò che sarebbe accaduto, ma anche il valore e il senso di ogni avvenimento. Per questo egli con sovrana libertà si presenta a coloro che sono venuti a catturarlo, ci tiene a proteggere i suoi amici e rimprovera Pietro, che ferisce con la spada Malco, perché ostacola la realizzazione del progetto del Padre.
Non reagisce con l’indifferenza all’iniziativa dei suoi accusatori, per questo risponde ad Anna e non subisce passivamente lo schiaffo della guardia, rivendicando la correttezza della propria risposta.
Il processo davanti a Pilato, poi, è un capolavoro di costruzione teologica e di ironia giovannea. Il giudice romano proclama per tre volte che Gesù è innocente, mentre colui che viene processato accusa di peccato Pilato e ancora di più coloro che lo hanno consegnato a lui. L’accusa portata in tribunale è di lesa maestà, perché Gesù si sarebbe fatto re, infrangendo le leggi romane. E lui, in risposta a Pilato, in realtà si proclama re, ma non in concorrenza con i regni di questo mondo, così che il governatore romano non può condannarlo per questo.
I soldati, da parte loro, volendo sbeffeggiare Gesù, lo incoronano con le spine; ma per Giovanni è la scena centrale di tutto il processo e quindi una vera incoronazione e riconoscimento della regalità di Gesù. Il tutto riceve il sigillo dell’autorità romana, quando Pilato scrive in tre lingue, cioè per il mondo intero, che Gesù è il re dei Giudei e, di fronte alle rimostranze dei capi dei sacerdoti, rifiuta di cambiare la scritta. Il riconoscimento della regalità di Gesù si conclude con la sepoltura in un sepolcro nuovo e con una quantità enorme di aromi, cose riservate ai re.
I capi dei Giudei hanno davanti a loro il Figlio di Dio, ma non vogliono riconoscerlo. Mosè aveva scritto nei comandamenti: «Non avrai altri dèi di fronte a me» (Es 20,3). La risposta dei capi a Pilato: «Non abbiamo altro re che Cesare», risulta una specie di parodia del primo comandamento e sancisce la loro scelta di sottomissione non a Dio, ma all’imperatore romano.
La glorificazione di Gesù viene completata da Giovanni nella morte: compie gli ultimi gesti perché siano realizzate le Scritture e sia evidente che lui ha obbedito al Padre; esprime la consapevolezza di aver “compiuto” tutto ciò che il Padre gli ha indicato; “consegna lo spirito”, cioè dona lo Spirito Santo, come aveva promesso.
Per la Chiesa non è di poco conto, che subito dopo la morte, dal costato di Cristo sgorghino i sacramenti fontali della fede: acqua e sangue simboleggiano per tutti i Padri il Battesimo e l’Eucaristia.
Così il Venerdì Santo, pur dando spazio a un po’ di amarezza per le sofferenze e la morte di Cristo, è celebrato dai cristiani come il giorno in cui risplendono, da una parte, la pienezza dell’amore di Cristo, che offre la vita per la salvezza di tutti i suoi fratelli, e, dall’altra, la glorificazione donata a lui dal Padre, che lo rende re dell’universo e salvatore del mondo. Di fronte a questo splendore gli atteggiamenti spirituali più consoni sono: l’adorazione, la lode e il ringraziamento al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo, con una rinnovata e incrollabile fiducia nella misericordia della Santa Trinità, che cancella il peccato del mondo e i peccati di tutti e di ciascuno.

Spunti per l’attualizzazione e la preghiera

  1. Il Venerdì Santo, con la liturgia, la via crucis e le varie processioni, non è fatto per suscitare emozioni e compassione superficiale per le sofferenze di Gesù, ma per meditare e pregare sull’immensità dell’amore che ci ha salvati, per ringraziare il Signore perché ha offerto la vita per tutti e per ciascuno, per condividere il suo desiderio di salvare l’umanità e, infine, per decidere di collaborare con lui.
  2. Spesso ci chiediamo perché Gesù abbia dovuto soffrire tanto. Se riconosciamo che è questa la strada normale dell’amore che salva gli altri, allora possiamo fare il difficile passo spirituale di accettare le piccole o grandi sofferenze che la vita e le persone ci provocano, per offrirle al Padre per la salvezza nostra e dei fratelli.

Proposta di impegno

Fermarsi un po’ di tempo davanti al crocifisso per meditare sulle proprie sofferenze, piccole o grandi, per unirle a quelle di Cristo e offrirle per la salvezza propria e degli altri.

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1. Letture – Immacolata Concezione di Maria, 8 dic

PRIMA LETTURA
Porrò inimicizia tra la tua stirpe e la stirpe della donna

Dal libro della Gènesi 3,9-15.20

[Dopo che l’uomo ebbe mangiato del frutto dell’albero,] il Signore Dio lo chiamò e gli disse: «Dove sei?». Rispose: «Ho udito la tua voce nel giardino: ho avuto paura, perché sono nudo, e mi sono nascosto». Riprese: «Chi ti ha fatto sapere che sei nudo? Hai forse mangiato dell’albero di cui ti avevo comandato di non mangiare?». Rispose l’uomo: «La donna che tu mi hai posto accanto mi ha dato dell’albero e io ne ho mangiato». Il Signore Dio disse alla donna: «Che hai fatto?». Rispose la donna: «Il serpente mi ha ingannata e io ho mangiato».
Allora il Signore Dio disse al serpente:
«Poiché hai fatto questo,
maledetto tu fra tutto il bestiame
e fra tutti gli animali selvatici!
Sul tuo ventre camminerai
e polvere mangerai
per tutti i giorni della tua vita.
Io porrò inimicizia fra te e la donna,
fra la tua stirpe e la sua stirpe:
questa ti schiaccerà la testa
e tu le insidierai il calcagno».
L’uomo chiamò sua moglie Eva, perché ella fu la madre di tutti i viventi.
Parola di Dio


SALMO RESPONSORIALE Dal Salmo 97

Rit. Cantate al Signore un canto nuovo, perchè ha compiuto meraviglie.

Cantate al Signore un canto nuovo,
perché ha compiuto meraviglie.
Gli ha dato vittoria la sua destra
e il suo braccio santo.

Il Signore ha fatto conoscere la sua salvezza,
agli occhi delle genti ha rivelato la sua giustizia.
Egli si è ricordato del suo amore,
della sua fedeltà alla casa d’Israele.

Tutti i confini della terra hanno veduto
la vittoria del nostro Dio.
Acclami il Signore tutta la terra,
gridate, esultate, cantate inni!


SECONDA LETTURA
In Cristo Dio ci ha scelti prima della creazione del mondo.

Dalla lettera di san Paolo apostolo agli Efesini 1,3-6.11-12

Benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo,
che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli in Cristo.
In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo
per essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità,
predestinandoci a essere per lui figli adottivi
mediante Gesù Cristo,
secondo il disegno d’amore della sua volontà,
a lode dello splendore della sua grazia,
di cui ci ha gratificati nel Figlio amato.
In lui siamo stati fatti anche eredi,
predestinati – secondo il progetto di colui
che tutto opera secondo la sua volontà –
a essere lode della sua gloria,
noi, che già prima abbiamo sperato nel Cristo.
Parola di Dio


CANTO AL VANGELO – Cfr. Lc 1,28

Alleluia, alleluia.
Rallègrati, piena di grazia,
il Signore è con te, benedetta tu fra le donne.
Alleluia.


VANGELO
Ecco concepirai un figlio e lo darai alla luce.

Dal Vangelo secondo Luca 1, 26-38

In quel tempo, l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nàzaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. Entrando da lei, disse: «Rallègrati, piena di grazia: il Signore è con te».
A queste parole ella fu molto turbata e si domandava che senso avesse un saluto come questo. L’angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine».
Allora Maria disse all’angelo: «Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?». Le rispose l’angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra. Perciò colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio. Ed ecco, Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia ha concepito anch’essa un figlio e questo è il sesto mese per lei, che era detta sterile: nulla è impossibile a Dio».
Allora Maria disse: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola». E l’angelo si allontanò da lei.
Parola del Signore.


(tratto da: Nuovo Messale della comunità, Domeniche e feste – Elledici 2008)

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2. Esegesi – Immacolata Concezione di Maria, 8 dic

(Lectio Divina tratta da A. Cilia, Lectio Divina Anno A – Elledici, 2010)

La Vergine Maria è la nostra terra sposata da Dio

La gioia piena del sì – Luca 1,26-38

1. LECTIO

a) Orazione iniziale

Già il tuo annuncio di gioia, o Signore, ha raggiunto il mio cuore! Ti prego, fa’ che io ti apra la porta, perché tu possa entrare e sia vero anche per me che tu sei qui, vivo e presente. Passi da me il turbamento dell’animo, dei pensieri e germogli la gioia più vera, quella che porta a dirti il mio sì, a ripeterti, come Maria: «Eccomi, sono tuo servo, tuo figlio amato!». Scenda lo Spirito Santo, ti prego e la sua ombra mi copra, anzi, ancor più, mi avvolga di te, come un abbraccio sereno, forte e sicuro; i rumori, le cose, le preoccupazioni del mondo rimangano fuori, perché possa davvero incontrarmi con te nel profondo, o mio Dio e lì tu faccia di me la tua terra, sposata per sempre. Amen.

b) Lettura del Vangelo: Luca 1,26-38
Al sesto mese, l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nàzaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. Entrando da lei, disse: «Rallégrati, piena di grazia: il Signore è con te». A queste parole ella fu molto turbata e si domandava che senso avesse un saluto come questo. L’angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine».
Allora Maria disse all’angelo: «Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?». Le rispose l’angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra. Perciò colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio. Ed ecco, Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia ha concepito anch’essa un figlio e questo è il sesto mese per lei, che era detta sterile: nulla è impossibile a Dio». Allora Maria disse: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola». E l’angelo si allontanò da lei.

c) Momenti di silenzio orante
Dopo una prima lettura del brano, mi soffermo ancora su queste parole: fisso lo sguardo sui personaggi che compaiono in scena, l’angelo, la vergine Maria, Giuseppe. Ascolto, con le orecchie del cuore, una ad una, le parole pronunciate da Dio, da Maria e poi, in un silenzio profondo, lascio sgorgare le mie, quelle più intime, più segrete. So che anche in me c’è un segreto di verginità e solo a Dio posso svelarlo, consegnando a lui ciò che di più intimo e caro io ho nella vita. E allora faccio silenzio, non dico altro che il mio povero «Eccomi»: «Signore, sono qui».


2. MEDITATIO

a) Chiave di lettura

«Nel sesto mese».
Questa specificazione temporale ritorna per due volte nel brano, a dire che non siamo in un tempo, in un momento qualsiasi della storia. La Parola del Signore ci ha condotti all’ora benedetta dell’appuntamento, al preciso instante in cui Dio Padre vuole rivelare al nostro cuore, alla nostra vita il suo immenso amore per noi, quell’amore, che, come dice Elisabetta, «si è degnato di togliere la nostra vergogna» (Lc 1,25), il nostro peccato, il nostro pianto. Questo è il tempo della grazia, della misericordia, in cui inizia la nostra storia d’amore con Dio. Tempo di gioia piena e vera, sicura e traboccante.

«L’angelo Gabriele».
È lui il primo ad apparire sulla scena, a farsi presente, a parlare; ancora una volta abbiamo la conferma che l’iniziativa è sempre di Dio. È lui che muove il primo passo, lui che decide e scende verso di noi; lui che rivolge per primo la parola, aspettando la nostra risposta. Il Forte – questo significa il nome Gabriele – si fa debole, il cielo si avvicina alla terra, l’annuncio di gioia risuona, a rallegrare le nostre tristezze.

«Una città della Galilea, chiamata Nàzaret».
Nulla è indifferente allo sguardo di Dio, nulla è senza importanza per lui, che tutto ama, tutto accoglie. Prima il tempo, e ora anche il luogo, in uno sguardo che si fa sempre più attento, sempre più concentrato su un punto ben preciso, quello e non un altro. Il nostro percorso spirituale ci conduce in Galilea, la terra delle genti, quella più lontana, più fuori mano, quella a cui nessuno darebbe fiducia, perché considerata impura, toccata dai pagani, da chi non porta in sé la vera fede, la vera e piena appartenenza. E poi Nàzaret, la città, il villaggio, luogo da poco, quasi disprezzato, come intuiamo dalle parole di Natanaele: «Da Nàzaret può mai venire qualcosa di buono?» (Gv 1,46). Evidentemente sì. Galilea, infatti, è terra santa di alleanza, luogo benedetto in cui Dio sposa l’uomo, come ci svela il mistero di questo nome, che significa, appunto, «anello». E Nàzaret è il fiore, che sboccia e porta il buon frutto dell’amore. Siamo noi la terra buona di Dio, il luogo da lui scelto per venire a fare alleanza, per sigillare con l’anello di un amore infinito, che non si spaventa della nostra piccolezza, del nostro povero nulla, perché ai suoi occhi noi siamo preziosi, cari, amati.

«A una vergine».
Queste parole ci fanno entrare nel cuore del mistero di questo vangelo, ci portano alle porte del cuore di Maria, l’Immacolata, la Vergine, ma anche la Sposa. Mistero di lei e di noi, invitati a questa festa solenne, a questa celebrazione dell’Amore. Il termine «vergine», che apre e chiude il versetto, porta in sé il segreto di tutta una vita. Se nella sua espressione greca «parthenos» esso contiene l’idea di pienezza, abbondanza, rigogliosità, floridezza, nell’ebraico, invece, viene ad esprimere piuttosto la dimensione del segreto, del nascondimento. Essere vergine, in senso biblico, non è prima di tutto una condizione fisica, ma uno stato profondo dell’essere, della persona. Questa verginità è vocazione di ognuno di noi, uomini e donne, figli tanto amati, tanto preziosi agli occhi di Dio. Per lui, che conosce il nostro segreto più intimo, più nascosto e profondo, la nostra esistenza è pienezza, abbondanza di dono, di gioia e presenza. Maria è la donna che, più di ogni altro essere umano, ha compreso, ha creduto e per questo ha custodito, ha conservato se stessa per l’incontro con Dio; sapeva che di lui poteva fidarsi, che a lui valeva la pena confidare il proprio segreto di vita.

«Promessa sposa».
Un’altra parola importante, un altro mistero d’amore, consegnato anche a noi, se lo vogliamo. Il termine greco, che Luca sceglie in questo passaggio, è stupendo, pieno di luce; deriva, infatti, da un verbo che significa «ambisco», «aspiro a» e che dà origine al termine «richiesto». Scopriamo, così, sempre di più, quanto la nostra vita sia bella per Dio; lui, che ci ama, davvero ambisce ad averci con sé, richiede la nostra presenza, o forse anche solo uno sguardo (Ct 4,9). Maria ha capito, ha sentito dentro di sé il soffio leggero di un amore così e ha detto il suo sì. Da allora, da quel giorno nella casa di Nàzaret, la strada è aperta anche per noi, l’abbraccio è già pronto.

«Un uomo della casa di Davide di nome Giuseppe».
Giuseppe è l’esempio che tutto questo è vero, è ancora possibile. Lui, della stirpe di Davide, che significa «Amato». Lui, che è l’aggiunto – questo vuol dire il nome Giuseppe, in ebraico. Sì, c’è sempre un posto in più alla tavola dell’Amore del Padre; nessuno è destinato a rimanere in disparte, a non sedere alla mensa dove il povero è re.

«Entrando da lei».
È bellissimo questo verbo, che esprime l’azione divina più sorprendente per noi: Dio scende, Dio si avvicina, Dio sta alla porta dei nostri giorni e poi, finalmente, eccolo! Lui entra. Quest’unico passo segna tutta una vita, cambia, trasforma, fa passare dalla solitudine alla compagnia, dall’angoscia alla speranza ritrovata. «Entrare» è il verbo biblico legato alla Terra promessa, alla conquista del Luogo santo. Prima di Israele, prima di noi, è stato Dio a percorrere la lunghissima strada fino a Canaan, attraverso tutto il deserto; il Signore entra sempre per primo. Entra dentro di noi, che siamo la sua Terra promessa, il luogo più santo del suo desiderio. È Lui ad aprire ogni porta, a dare inizio alla gioia…

«Rallegrati, piena di grazia».
Questa è la prima parola sulle labbra di Dio, portata dalla bocca dell’angelo. Parola dall’eco antichissima, già a lungo ascoltata nelle pagine sante dei grandi profeti: Gl 2,21; Sof 3,14; Zc 9,9. Maria riascolta l’annuncio di gioia, lo riconosce, lo accoglie nella vita, nel cuore; capisce che anche per lei si sta realizzando la profezia, il volere di Dio.

«Il Signore è con te» (cf pag. 626s).
Anche questa è parola già detta, già ascoltata sulle Pagine sante, lette ogni sabato: «Io sono con te», dice il Signore, «non ti lascerò, non ti abbandonerò» (Gn 26,24; 28,15; Es 3,12; Dt 31,23; Gs 1,5; Gdc 6,16; 1 Re 11,38; Is 41,10; 43,5; Ger 1,8.19; 46,28).

«Fu molto turbata».
Maria, all’udire la parola di Dio, si sente attraversata da un forte tremore, è scossa, come avviene quando c’è il terremoto. È interessante notare che il verbo scelto da Luca per descrivere questo momento non è il semplice «esser turbata», ma qualcosa di più, espresso dal prefisso, che vuol dare l’idea di attraversamento, divisione, durata. Sembra quasi che Maria si senta spezzata dentro, divisa, travolta da quanto la sta attraversando: la storia di Dio che entra nella sua storia di donna.

«Si domandava».
Cioè dibatteva dentro di sé, come se parlasse, se discutesse. Torna, anche qui, lo stesso prefisso di prima; Maria parla attraverso, tracciando nel cuore i solchi del dubbio, della sorpresa, forse anche della paura.

«Non temere».
Ma il Signore previene, perché ama davvero. Subito pronuncia questa parola, che risana e consola. Come fece con Abramo (Gn 15,1), Isacco (Gn 26,24), Giacobbe (Gn 28,13; 46,3), ora fa anche con Maria, la Vergine chiamata a partire, a tracciare strade nuove per Dio e per l’uomo, suo figlio. «Non temere» è anche per noi. Se abbiamo aperto la porta, se il Signore ha messo dimora dentro di noi, se ha già cominciato a parlare, a raccontare il suo sogno, davvero non dobbiamo temere.

«Hai trovato grazia».
Maria ha trovato, perché ha cercato e continuerà sempre a cercare, a correr dietro al Figlio che ama. Luca stesso registra questi suoi movimenti di donna, di madre: angosciata Lei cerca il Signore (Lc 2,45-46) e lo trova. Sembra di sentire le parole della sposa del Cantico: «L’ho trovato e non lo lascerò» (Ct 3,4). Lasciamoci trovare anche noi, raggiunti da questa infinita tenerezza divina; se stiamo cercando, saremo trovati, ancor prima di riuscire a trovare.

«Concepirai un figlio».
Bellissimo, ancora una volta, il verbo greco, che, tradotto alla lettera, significa «prendere con». Già l’unione con Dio è realizzata, già la vita di Maria è presa, afferrata tra le mani del Padre e così, insieme, ora afferrano, portano, offrono. Si vede bene che non esiste più solitudine nella vita di chi ha aperto la porta di casa al Signore che viene. E poi non c’è altro modo perché nasca da noi un figlio, perché vita nuova germogli, se non così: unendo le mani a quelle di Dio, per prendere insieme, per concepire la gioia.

«Come avverrà questo?».
Maria risponde con una domanda. Ma lei non è come noi, che vogliamo subito sapere il perché delle cose che accadono, pretendiamo di capire, di essere informati a dovere, per poter fare i calcoli, le previsioni. Lei, la Vergine, non pensa così; sa che il perché appartiene a Dio, al suo cuore, ma vuole solo sapere come avverrà. Perché, dice Lei, «io non conosco».

«Lo Spirito Santo scenderà su di te… ti coprirà con la sua ombra».
Come la nube della gloria di Dio stava sulla tenda del convegno (Es 40,35), così l’ombra dello Spirito Santo rimarrà su Maria. Il grembo vergine, ma fecondo di lei diventa la nuova distesa di acque che ricoprono la terra e su di esse, come al principio, aleggia lo Spirito di Dio (Gn 1,2); qui la nuova creazione è già in atto, nasce, ormai, la creatura rinnovata, il figlio dell’amore. Per noi scende l’ombra di Dio, per noi Egli spalanca sulla vergine il suo abbraccio di Padre, per noi il suo soffio onnipotente culla le acque… Appena un poco, un poco appena (Is 10,25), ed ecco, anche noi nasceremo di nuovo.

«Era detta sterile».
Maria è la terra: terra buona, feconda, nuova; terra arata da Dio, riscaldata dal sole del suo Spirito, irrigata dalle acque della sua nube. Elisabetta, invece, l’altra parte di noi, è sterile, cioè «sradicata», tolta via, tagliata e gettata lontano, secondo il significato molto forte del termine ebraico. Eppure anche per una ferita così, per un taglio tanto profondo che può aver attraversato la nostra storia, lontana o vicina nel tempo, c’è ancora speranza, c’è una salvezza già preparata…

«Nulla è impossibile a Dio».
Per noi così increduli non è facile dare fiducia a questa parola, seguire Maria fino alla fine, arrivare con Lei a dire anche noi il nostro piccolo sì. Ma, ancora una volta, è la stessa Scrittura ad insegnarci, a parlarci diritto nel cuore: «C’è forse qualche cosa d’impossibile per il Signore?» (Gn 18,14); «Signore, a te nulla è impossibile!» (Ger 32,17); «Ecco, io sono il Signore, Dio di ogni essere vivente: c’è forse qualcosa di impossibile per me?» (Ger 32,27); «Se questo sembra impossibile agli occhi del popolo… sarà forse impossibile anche ai miei occhi?» (Zc 8,6).

«Ecco la serva del Signore».
La meta ormai è raggiunta, lo sguardo accolto, l’abbraccio ricambiato; Maria pronuncia tutta la sua disponibilità al disegno, al desiderio, alla volontà di Dio. Dice il suo sì in un modo nuovo, tutto suo; si sente cambiata, intimamente, da questo incontro con Dio, tanto che ora si presenta con un nome nuovo: «Serva». Che significa «strumento». Si affida, così, alle mani di Dio, si abbandona, si consegna serena, sicura dell’opera che egli compirà attraverso di lei… anche per noi.

b) Alcune domande

Per aiutarci nella meditazione e nell’orazione.
– Riconosco che anche per me questo è il tempo, è il luogo segnato da Dio? Accolgo la mia situazione di oggi come una possibilità che il Signore mi offre per incontrarlo e lasciarmi incontrare da lui?
– So qual è il mio segreto, il dono prezioso che porto nascosto nel cuore? Ho mai letto in profondità la mia anima, per scoprire la bellezza che il Signore ha scritto anche dentro di me? E allora sono disposto a consegnare questo tesoro a lui, che me l’ha affidato da sempre? Mi sento anch’io «vergine», cioè persona «custodita», «serbata » per il rapporto con Dio? Oppure mi sento tanto lontano, tanto indegno del Padre, di Maria, che è vergine e immacolata?
– Ho mai vissuto un momento forte di incontro con Dio? Ho mai sentito il suo tocco alla mia porta? Ho mai aperto, prima di oggi, tutto il mio cuore alla sua venuta? Desidero che lui entri dentro di me? Voglio fargli spazio nella mia vita? O preferisco ancora tener chiusa la porta, mettere barriere, porre distanze?
– Ha ancora senso, per me, la parola gioia? E qual è la gioia, la felicità che io vado cercando? Ho mai creduto che, davvero, dall’incontro con Dio, possa venire la gioia?
– Cos’è più forte, nella mia vita: il senso di solitudine o la comunione? Se mi guardo dentro, se provo ad ascoltare il mio cuore, sento che il Signore è con me, o piuttosto mi vedo abbandonato da lui, dimenticato, non tenuto in alcun conto? Sento forse rabbia per un Padre, che non si fa incontrare, che non viene a cercare suo figlio? E se leggo i versetti della Scrittura che ripetono «Il Signore è con te», cosa provo, dentro di me? Ci credo, almeno un po’? E perché non cominciare oggi, proprio ora?
– Maria ha trovato… Sono pronto, oggi, a mettermi anch’io alla ricerca sincera di Dio, sulle sue orme, magari invisibili, confuse, sulle strade del mondo? Cosa porto con me, in questa ricerca?
– Faccio mie le parole di Maria, quel suo «Io non conosco», così umile e schietto? Sono disposto a presentarmi così, a mani vuote, davanti al Signore? Le tenderò verso le sue, perché insieme possiamo camminare su una via nuova, che «io non conosco»?
– C’è forse una parte di me che si sente sterile, strappata, ferita in profondità? Sento che ancora esce sangue dal cuore? Forse sì; ma la Parola del Signore mi assicura che nulla è troppo difficile per lui, che nessuna ferita è inguaribile davanti alla medicina del suo amore infinito. Credo, io, a questo miracolo, preparato anche per me?
– E ora, alla fine, prendo con me le parole di Maria, la vergine, l’Immacolata? Ripeto con lei quelle semplici sillabe, come fossi un bambino nato da poco: «Eccomi», «Avvenga»?


3. ORATIO

a) Salmo 85 (84)
Signore, apri tu la strada e io verrò dietro di te!
Signore, sei stato buono con la tua terra,
hai ristabilito la sorte di Giacobbe.
Hai perdonato la colpa del tuo popolo,
hai coperto ogni loro peccato.
Ritorna a noi, Dio nostra salvezza…
Non tornerai tu a ridarci la vita,
perché in te gioisca il tuo popolo?
Mostraci, Signore, la tua misericordia
e donaci la tua salvezza.
Ascolterò che cosa dice Dio, il Signore:
egli annuncia la pace per il suo popolo, per i suoi fedeli,
per chi ritorna a lui con fiducia.
Sì, la sua salvezza è vicina a chi lo teme,
perché la sua gloria abiti la nostra terra.
Amore e verità s’incontreranno,
giustizia e pace si baceranno.
Verità germoglierà dalla terra
e giustizia si affaccerà dal cielo.
Certo, il Signore donerà il suo bene
e la nostra terra darà il suo frutto;
giustizia camminerà davanti a lui:
i suoi passi tracceranno il cammino.

b) Orazione finale
Signore Gesù, ti ringrazio di questo incontro con te, di questo dono grande, inaspettato, che mi supera. La Vergine Immacolata mi è sempre sembrata così lontana, così diversa da noi e invece ho scoperto tutta la concretezza della sua strada con te, del suo cammino di fede. Entrando tu nella mia vita, hai portato anche lei, come sorella, come amica per me. Grazie per le tue parole così semplici e forti; mi sono sentito cambiato, rinnovato, come una terra che viene di nuovo arata, dopo tanto tempo di attesa. Grazie per l’abbraccio del tuo Spirito Santo, sceso anche per me, come quel giorno sulla Vergine Maria; la sua ombra diventi certezza di fede, diventi fiducia incrollabile nel tuo amore di Padre. E grazie, alla fine, anche per il povero sì, uscito dalle mie labbra, dal cuore. Signore, io credo che nulla è impossibile a te e per questo mi affido al tuo amore, oggi e per sempre. Amen.


4. CONTEMPLATIO

Ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù…
Mi soffermo su queste parole, che sono il centro, il cuore del brano; tutto si muove in funzione di questo, tutto conduce al Figlio, a Gesù…
Concepirai… darai alla luce… chiamerai…
In particolare ritorno sul primo verbo: concepire, portare con, portare insieme. Il greco, fra l’altro, aggiunge «nel grembo». Quindi scendo laggiù, nel mio grembo, nel punto profondo del cuore, dell’anima, dove nessuno può giungere, se non io solamente… con Dio, che vi abita già, da sempre, dall’eternità.
Un figlio… Gesù, nasce dal mio incontro con Dio. Gesù da donare ai fratelli, alle sorelle, a tutti quelli che camminano sulla mia strada, che condividono con me i passi da fare, gli impegni di vita, le fatiche, le gioie.
È Gesù che vince la mia sterilità, la mia solitudine, forse il mio pianto: è Lui il Figlio che porta la gioia, che realizza davvero la Parola detta dall’angelo, all’inizio di questo vangelo: «Rallegrati!».
Rimango così, tenendo stretta la gioia di Dio, la promessa del suo amore per noi e, da dentro il mio grembo, ripeto, senza più avere paura: «Eccomi… avvenga per me!».

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3. Annunciare la Parola – Immacolata Concezione di Maria, 8 dic

PER COMPRENDERE LA PAROLA (Lectio)

PRIMA LETTURA
Questo passo della Genesi viene immediatamente dopo il racconto della caduta (Gn 3,1-6). Dio cerca una confessione; ma Adamo e poi Eva tentano di discolparsi (vv. 9-13). Iahvè pronuncia allora una serie di maledizioni all’indirizzo del serpente (vv. 14-15), della donna (Gn 3,16) e dell’uomo (Gn 3,17-19). Il v. 20, aggiunto alla nostra lettura, ricorda che la donna ha ricevuto un nome che esprime la sua maternità rispetto al genere umano.

a) Il peccato è visto da Israele come la sorgente di un disequilibrio nell’ordine creato. L’uomo sapeva che era nudo; ma la concupiscenza in lui si sveglia soltanto dopo la colpa, che è di ordine spirituale. L’autore del racconto non pensa a una colpa carnale; la concupiscenza è la conseguenza del peccato. Questo consiste nella perdita dell’amicizia con Dio.

b) La maledizione del serpente mette in luce una costante dell’Antico Testamento. Quando Dio punisce l’uomo, la condanna non è assoluta: rimane possibile un avvenire. In certo modo il racconto sottolinea che Dio si mette dalla parte dell’uomo. Nello stesso momento in cui maledice il serpente, Dio apre la via alla speranza. Una prospettiva di salvezza è almeno presentita nel fatto che Iahvè stabilisce una ostilità tra il serpente e la discendenza della donna. La traduzione dei Settanta preciserà che un figlio della donna sarà vincitore, e la Volgata latina traduce come se la donna dovesse riportare la vittoria. Ma è chiaro che l’interpretazione messianica non si impone al livello del testo originale.
L’interpretazione mariologica s’impone ancora meno; e questo l’hanno visto bene i Padri della Chiesa. Tuttavia la scelta di questa lettura per la festa dell’Immacolata Concezione è appoggiata dalla tradizione e si spiega molto bene. Di fatto la Vergine Maria è, nella discendenza della Donna, colei in cui Dio ha pienamente restaurato la sua amicizia con l’uomo prima di fondarla definitivamente nel figlio di Maria, l’Uomo-Dio.

SALMO
Il nostro cuore fa continuamente esperienza del peccato. Ma può essere rigenerato nella speranza se si lascia affascinare dalle meraviglie dell’amore divino. Meraviglie che contempliamo oggi in Maria.

SECONDA LETTURA
Brani dell’inno di benedizione (Ef 1,3-18) che Paolo ha formulato all’inizio della sua lettera agli Efesini. Esso è composto secondo le leggi classiche dell’azione di grazie giudaica: un’introduzione (v. 3), una prima strofa chiusa con una benedizione di Dio (vv. 4-6), una seconda strofa che si chiude essa pure con una glorificazione di Dio (vv. 7-12, che in parte mancano nella lettura), infine una preghiera epicletica in cui Paolo domanda a Dio per i suoi corrispondenti la conoscenza del suo disegno (vv. 13-18, omessi dalla lettura).
Questa azione di grazie si ispira probabilmente a una preghiera del quotidiano rituale giudaico, da dove essa ha preso dei temi come quello della paternità di Dio (v. 3), dell’elezione (v. 4), ecc. Rimane un’importante differenza tra le due preghiere: il rituale giudaico rende grazie a Dio per il dono della Legge, la preghiera di Paolo per il dono del Figlio.

a) Il versetto introduttivo (v. 3) fissa i grandi temi non soltanto della preghiera, ma dell’intera epistola. Si tratta infatti di una azione di grazie per la salvezza (presentata qui come una «benedizione») voluta dal Padre, meritata dal Cristo e realizzata dallo Spirito.
Le benedizioni salutari per le quali si loda Dio sono la morte e la glorificazione di Cristo (Ef 1,7 e 10), l’inizio della vita divina nell’uomo, grazie alla fede e al battesimo (Ef 1,13), e nel mondo, grazie alla signoria di Cristo (Ef 1,10). L’espressione «nei cieli» che qualifica queste benedizioni designa tutto ciò che non è né «carne e sangue» (Ef 6,12), né «potenze celesti» spodestate da Cristo (Col 2,15; 1 Cor 15,24). Quanto all’espressione «nel Cristo» designa la mediazione attraverso la quale si realizzano le benedizioni del Padre dopo che Cristo si è sostituito alla «carne» e agli «spiriti» nell’ordine della salvezza.

b) La prima strofa (vv. 4-6) spiega come la benedizione di Dio rechi beneficio all’uomo, chiamato da Cristo alla santità. Essa infatti è elezione da parte dell’amore del Padre che fa degli uomini i figli di Dio. Il tema di questa strofa mette in rilievo l’iniziativa di Dio nell’opera della salvezza e di conseguenza la certezza della salvezza. L’oggetto di questa elezione è la santità: la comunicazione della vita stessa di Dio (Lv 19,2). Il segreto di questa comunicazione è l’amore, un amore che giunge all’adozione degli uomini. I versetti della seconda strofa, conservati nella nostra lettura (vv. 11-12), non fanno che riaffermare questo tema dell’elezione e dell’iniziativa di Dio.
La scelta di questa lettura per la festa dell’Immacolata Concezione mette in piena luce la parte che spetta a Dio nel mistero di Maria. Ella è per eccellenza colei che è stata eletta «prima della creazione del mondo» (v. 4). Ma ella ha risposto pienamente a questa elezione, essendo per eccellenza colei che «in anticipo ha sperato in Dio» (v. 12). L’iniziativa di Dio è messa tanto più in rilievo in quanto colei che ha risposto l’ha fatto con un atto di piena libertà spirituale, il cui contenuto si chiama speranza!

VANGELO
La forma particolare di questo racconto, una specie di midrash dove ogni parola ed ogni espressione è carica di evocazioni, esige un commento versetto per versetto, che permetterà di coglierne le linee essenziali.

a) Il quadro e il contesto storico (vv. 26-27)
L’apparizione di Gabriele situa la scena dell’Annunciazione nel contesto profetico ed escatologico, perché la tradizione considerava Gabriele come depositario del segreto riguardante il computo delle settanta settimane precedenti l’instaurazione definitiva del Regno (cf Dn 8,16; 9,21.24-26).
In effetti, l’angelo appare dapprima a Zaccaria nel Tempio (Lc 1,11), poi a Maria sei mesi più tardi (180 giorni) (Lc 1,26). Cristo viene al mondo nove mesi dopo (270 giorni), ed è presentato al Tempio quaranta giorni più tardi. In tutto sono 490 giorni o settanta settimane, le cui tappe sono segnalate dall’espressione: «compiuti i giorni…» (Lc 1,23; 2,6.22), che conferisce agli avvenimenti il significato del compimento di una profezia.
Cristo è dunque, ad un tempo, il Messia previsto da Dn 9 e il Messia umano e Figlio d’uomo quasi divino (Dn 7,13). Gli avvenimenti che annunciano la sua nascita preparano l’entrata della gloria di Iahvè, personificato in Cristo, nel suo tempio definitivo.

b) I titoli di Maria (vv. 27-28)
La semplicità dell’Annunciazione che si svolge in una casa di Galilea, regione disprezzata (Gv 1,46; 7,41), contrasta con l’apparato dell’annuncio della nascita del Battista nel Tempio (Lc 1,5-25). L’opposizione tra Maria e Gerusalemme già si delinea e si preciserà nel saluto dell’angelo che ricalca un saluto che Sofonia (3,16) e Zaccaria (9,9) rivolgono a Gerusalemme per annunciarle la prossima venuta del Signore «nel tuo seno» [in mezzo a te] (senso letterale della formula di Sof 3,16). L’angelo trasferisce su Maria i privilegi fino allora attribuiti a Gerusalemme. Del resto, l’influenza di Sofonia si prolunga in tutto il racconto (Lc 1,28 e Sof 3,15; Lc 1,30 e Sof 3,16; Lc 1,28 e Sof 3,14).
In Luca l’espressione «piena di grazia» significava probabilmente che Maria era «graziosa», come Rut davanti a Booz (Rt 2,2.10.13), Ester davanti ad Assuero (Est 2,9.15.17; 5,2.8; 7,3; 8,5) ed ogni donna agli occhi del proprio sposo (Prv 5,19; 7,5; 18,22; Ct 8,10). Questo contesto matrimoniale è ricco di evocazioni. Da lungo tempo Dio cerca una sposa fedele. Egli ha ripudiato Israele, la sposa precedente (Os 1-3), ma è disposto a un nuovo «fidanzamento». Maria, interpellata con una delle espressioni frequenti nelle relazioni tra sposi, comprende che Dio realizzerà in lei il mistero delle nozze promesse nell’Antico Testamento, operando l’unione delle due nature – divina ed umana – nella persona di Gesù.

c) I titoli del Messia (vv. 31-33)
I primi titoli applicati a Gesù si ispirano al vocabolario regale delle promesse di Natan (2 Sam 7,11): Gesù sarà «grande» (cf 2 Sam 7,11), sarà Figlio dell’Altissimo, titolo riservato ai grandi personaggi (Sal 2,7; 28,1; 81,6; 88,7) e al Messia in 2 Sam 7,14. Egli si assiderà sul trono di Davide (2 Sam 7,16; Is 9,6). Ma l’angelo va oltre le previsioni di Natan predicendo l’estensione del Regno di Cristo alla casa di Giacobbe (alle dieci tribù del Nord). Gesù farà dunque l’unità di Giuda e di Israele (Ez 37,15-28; Dn 7,14; Mic 5,4-7), in attesa di poter realizzare quella tra Giudei e pagani.
Il fatto che l’angelo non impone al figlio di Maria il nome di Emmanuele (Is 7,14) non ha nulla di strano. In effetti ben una dozzina di nomi erano stati previsti per il Messia, ma nessuna tradizione aveva pensato a «Gesù», che significa «Iahvè nostro salvatore». Questo nome richiama due personaggi che hanno avuto una parte importante nella storia del popolo eletto: il giudice Giosuè nel deserto (Sir 46,1-2) e il sacerdote Giosuè al ritorno dall’esilio (Zc 3,1-10; Ag 2,1-9). Passando attraverso la sofferenza e la morte, Gesù meriterà a sua volta il nome di «salvatore» dell’umanità.

d) Le circostanze della concezione (vv. 34-38)
L’angelo predice la concezione del bambino in termini presi da Es 40,35, dove l’apparizione della nube manifesta la presenza di Dio. Il bambino che nascerà sarà il frutto di un intervento specialissimo di Dio; egli apparterrà a quel mondo divino e celeste che la nube generalmente simboleggia (v. 35).
Questo intervento divino suppone una collaboratrice libera (v. 37). Maria intendeva, sembra, restare vergine. Le giovani potevano ottenere questa autorizzazione dallo sposo specialmente nell’ambiente esseno. L’affermazione di Maria di non conoscere affatto uomo (mentre conosceva Giuseppe) va intesa nella maniera simbolica di tutto questo midrash. Maria rappresenta Gerusalemme, oggetto di promessa di fecondità. Non conoscere uomo, per Gerusalemme è vivere il marasma della sua situazione di ripudiata, di abbandonata, di derelitta (cf Is 60,15; 62,1-4). Maria reca su di sé la desolazione della città ripudiata mentre le si dice che nozze novelle saranno celebrate dove Dio riprenderà in lei l’antica fidanzata. L’Annunciazione compie il mistero delle nozze di Dio e del suo popolo.
Luca parla di Maria e della sua verginità; lo fa nel quadro preciso della sua comunione nuziale con Dio e in vista del frutto di questa comunione: il Messia.
Ad ogni modo, credere a questa verginità di Maria nelle sue nozze spirituali con Dio è affermare qualche cosa su Cristo. La visuale rimane fondamentalmente cristologica.


PER ANNUNCIARE LA PAROLA (piste di omelia)

Maria e la storia della salvezza
Il dogma dell’Immacolata Concezione svela, alla sua sorgente, il ruolo eccezionale della Vergine Maria nell’«Avvento» dell’umanità in cerca della sua salvezza. Che la madre del Salvatore sia esente dal peccato originale costituisce certo un privilegio unico, che dipende dalla grazia onnipotente di Dio! Ma il cristiano non si può accontentare di cogliere questo dogma mariano in termini di privilegio; ci sarebbe il rischio di strappare la Vergine alla condizione comune degli uomini, di farne un caso isolato senza che ne derivi una maggiore comprensione della storia della salvezza in cui tutti siamo impegnati.
Al contrario, cogliendo il privilegio dell’Immacolata Concezione non soltanto da parte della benevolenza onnipotente di Dio, che prepara in Maria una dimora degna del Figlio, ma soprattutto da parte di Maria stessa e della risposta attiva e libera al disegno di Dio sull’uomo, ci si procura il mezzo di comprendere quale luce questo dogma proietti su tutta l’avventura spirituale dell’umanità.
Le Scritture non ci parlano dell’Immacolata Concezione come tale. Grandi teologi hanno manifestato al riguardo forti esitazioni, e la Chiesa non si è pronunciata solennemente se non nel sec. xix. Se l’ha fatto è perché questa proclamazione dogmatica le è sembrata essenziale al giusto equilibrio del mondo della fede.

La Vergine Immacolata alla sommità della religione dell’Attesa
L’arrivo di Israele al regime della fede costituisce una svolta nella storia religiosa dell’umanità. La religione dell’Attesa prende definitivamente corpo.
Sotto la guida dei profeti, l’uomo giudaico impara a gettare sull’esistenza uno sguardo assai più realistico dell’uomo pagano. Della realtà che vive, egli non si accontenta più di ritenere i valori stabili e ricorrenti, i cicli cosmici, le leggi naturali, il dominio dell’immobile e del prevedibile, tutto ciò che fa della vita un «eterno ritorno» e fonda una sicurezza commisurata alle risorse umane; al contrario, egli si dà a considerare l’evento stesso con il suo peso di non-senso e di imprevedibile. È sul terreno della storia che Israele scopre il suo Dio che gli viene incontro. Un incontro eminentemente attuale e concreto!
L’esperienza religiosa di Israele lo invita ad approfondire i rapporti inaugurati dall’Alleanza del Sinai. Iahvè è il Dio Assolutamente-Altro, padrone della storia concreta del popolo che si è scelto, il solo che conosce in lungo e in largo gli eventi che la compongono. Egli è il creatore di tutte le cose, visibili e invisibili, e non deve rendere conto a nessuno del proprio agire. Egli guida il suo popolo, ed è il Fedele per eccellenza, perché ama. Di fronte a Dio, l’uomo è un niente, una creatura fallibile, a cui però Dio richiede una risposta attiva e libera. Una risposta del cuore, che impegna la parte più intima dell’essere!
Scoprendo che Iahvè può salvare l’uomo, Israele percepisce che l’atto divino che lo salva non l’aliena; Iahvè ricerca nell’uomo un interlocutore in un dialogo di amore. Ma a quali condizioni l’uomo può essere un partner di Dio? Queste condizioni non gli sembrano adempiute nel presente; Israele si volge verso l’avvenire, nell’attesa di un uomo che potrà dire a Dio il «sì» del partner. Il regime della fede si sviluppa in una religione dell’Attesa.
Questa religione dell’Attesa, Maria l’ha vissuta fin nelle sue ultime conseguenze. La sua domanda circa l’avvenire non conosce compromesso. Se Iahvè è l’Assolutamente-Altro, la risposta che si attende dall’uomo sarà tutt’altra da quello che possono produrre le risorse dell’uomo: nessuna realtà umana, si tratti dell’appartenenza ad Israele o dell’osservanza della Legge, può costruire questa risposta. La povertà richiesta all’uomo è il rinnegamento di se stesso e la disponibilità all’intervento divino. Il peccato non ha alcun posto in Maria.

Gesù Salvatore, figlio di Maria
La qualità della fede di Maria è tale che in lei si può realizzare il passaggio dall’Attesa al Compimento. In questa fede culmina la ricerca religiosa dell’umanità. Che cosa significa la maternità di Maria per la comprensione dell’umanità di Cristo?
L’incarnazione del Figlio di Dio significa anzitutto che egli ha preso carne da una donna in un popolo determinato e in un preciso momento della storia. L’Incarnazione non si è prodotta sulla terra d’Israele per caso, circa dodici secoli dopo che il popolo eletto era stato costituito nel deserto, e più di cinque secoli dopo l’esilio di Babilonia, dopo che una serie di profeti ha permesso a questo popolo di approfondire il cammino della fede, nel momento in cui la diaspora giudaica è penetrata in tutto il mondo allora conosciuto. In quanto è possibile accostare l’itinerario spirituale di Israele, si può affermare che il Figlio di Dio è intervenuto nella storia nel momento più adatto alla sua missione.
Ciò che sappiamo di Maria ci permette di progredire oltre nell’intelligenza del mistero di Cristo. Dando i natali al Messia, Maria non si è limitata a dargli un corpo; ella è stata sua madre in tutta la pienezza del termine. Ciò vuol dire che il Figlio di Dio si è inserito nell’itinerario spirituale di Israele come uno che doveva anzitutto essere modellato da una tradizione vivente; da sua madre Gesù ha ricevuto i tesori di fede accumulati da generazioni di credenti in Israele ed è stato lungamente educato nella fede dei suoi padri.
Di più, la maternità di Maria comporta qualche cosa di unico, in ragione della sua stessa Concezione Immacolata. Essendo senza peccato, Maria ha vissuto in una religione dell’Attesa la povertà spirituale che sarebbe stata quella di suo Figlio nella religione del Compimento. Dando a Gesù quanto di meglio ella aveva in sé, Maria ha realmente preparato Gesù ad entrare nella via dell’obbedienza fino alla morte di croce.
Dio manifesta nell’Incarnazione di suo Figlio un infinito rispetto dell’umanità e della sua ricerca spirituale: al livello della sua umanità Gesù ha ricevuto tutto da Maria, a parte quel dono di vita eterna che egli vi incarna perché è il Figlio eterno del Padre. Questo ci rivela il dogma dell’Immacolata Concezione: fino a questo livello di profondità il Salvatore ha sposato la ricerca spirituale dell’umanità!

Il ruolo materno di Maria e la Chiesa
La maternità di Maria immacolata ci aiuta pure ad approfondire il mistero della Chiesa, di cui Maria è la prima credente. Quantunque eccezionale, la fede di Maria ottiene il suo valore salvifico soltanto da Cristo; lo stesso si dica della fede della Chiesa. Ma, di riscontro, la qualità stessa della fede di Maria rivela a che punto Dio chiami l’uomo a contribuire alla realizzazione del suo disegno di salvezza; la fede della Chiesa ha questo stesso significato. La Chiesa è il Corpo di Cristo, ma ne è pure la Sposa, colei che collabora e reca il suo contributo unico ed insostituibile alla costruzione della salvezza.
Per salvaguardare l’assoluta trascendenza dell’essere e dell’agire di Cristo, si può essere tentati di considerare la Chiesa soltanto come la «zona di espansione» del Risuscitato, di non vedere in essa che lo strumento di cui si serve Cristo glorioso. La maternità di Maria non ce lo permette. La Chiesa è il Corpo di Cristo, ma questo corpo prende la sua «materia» dagli uomini concreti che lo compongono. Come Maria ha generato il corpo del Figlio di Dio, la Chiesa non cessa, lungo il corso della storia, di generare il Corpo di Cristo.

Il mistero di Maria e l’«Avvento» dell’Umanità
La Tradizione ha evocato spesso il ruolo di Maria in quelle che vengono dette le «preparazioni provvidenziali» alla salvezza di Cristo. Immersa nella storia della salvezza d’Israele, ella ha detto l’ultima parola di una religione dell’Attesa; ella ha portato al suo punto estremo la ricerca spirituale del suo popolo. Avendolo percorso ella stessa, conosce meglio di chiunque altro l’itinerario da seguire per andare incontro al dono di Dio. Quando diventa la madre del Figlio di Dio ella misura quanto sia stretto il legame tra la religione dell’Attesa e quella del Compimento. Quando il Figlio di Dio s’incarna, tutto è nuovo: la storia della salvezza può cominciare; quella precedente era stata soltanto preistoria della salvezza. Tra la preistoria e la storia della salvezza la continuità è indissolubile.
Il ruolo unico che Maria ha avuto nella storia d’Israele lo continua segretamente durante tutta la storia della salvezza. Un lungo Avvento è necessario, perché il mistero di Cristo si incarni nell’itinerario spirituale di un popolo o di una cultura. Il mistero di Cristo, infatti, a poco a poco prende forma nella materia stessa di questo itinerario spirituale. Maria è presente in questa lenta maturazione. Ella possiede il segreto dell’Avvento che conduce ad accogliere il Signore; ella presagisce le vie per le quali passano le nuove generazioni del Verbo e, grazie alla comunione dei santi, svolge un ruolo determinante perché tali vie siano di fatto accettate dalle Nazioni.
La contemplazione del mistero di Maria è un’esigenza di tutta la spiritualità missionaria. La Vergine Maria ha preceduto il missionario.

La celebrazione eucaristica e la storia della salvezza
La festa dell’Immacolata Concezione è al suo posto nel tempo liturgico dell’Avvento. La sua celebrazione può permettere ai cristiani radunati di approfondire dei dati essenziali della partecipazione all’Eucaristia.
L’Eucaristia è un atto di Cristo; non avrebbe alcun valore senza di lui. Ma è pure l’atto di una comunità; e, in questo caso, essa ha il volto di coloro che si sono radunati. Non si viene all’Eucaristia soltanto per ricevere; ciascuno è invitato a recare la sua parte alla realizzazione di questo atto principale della storia della salvezza. Ciò che abbiamo detto del mistero della Chiesa, alla luce del mistero di Maria, vale in modo particolare per l’evento eucaristico. I «sì» che vi sono pronunciati impegnano il volto concreto della Chiesa e perciò il destino dell’umanità. I cristiani dovrebbero avere una coscienza acuta di ciò che avviene quando si radunano per l’Eucaristia. Partecipare del Pane e della Parola arreca oggettivamente il più intimo legame con Cristo vivo; per cui il «sì» pronunciato in questa partecipazione è quello che impegna più profondamente i membri del Corpo di Cristo.
Del resto, non si viene soli all’Eucaristia. Si viene carichi di una rappresentanza: quella delle comunità naturali cui si appartiene, quella di un popolo e di un mondo culturale. Si viene perciò portatori di un Avvento collettivo, di tutto ciò che costituisce la ricerca di queste comunità, di questo popolo, di questo mondo. Affinché la generazione di Cristo continui «fino a che egli ritorni»!


(tratto da: M. Gobbin, Omelie per un anno – vol. 1, anno A, tempi forti – Elledici 2003)

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4. Parola da Vivere – Immacolata Concezione di Maria, 8 dic

ECCOMI
Gesù che vince la mia sterilità, la mia solitudine, forse il mio pianto: è Lui il Figlio che porta la gioia, che realizza davvero la Parola detta dall’angelo, all’inizio di questo vangelo: «Rallegrati!». Rimango così, tenendo stretta la gioia di Dio, la promessa del suo amore per noi e, da dentro il mio grembo, ripeto,
senza più avere paura: «Eccomi… avvenga per me!».


(tratto da A. Cilia, Lectio Divina Anno A – Elledici, 2010)

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5. Preghiere dei Fedeli – Immacolata Concezione di Maria, 8 dic

«Ti saluto, o piena di grazia, il Signore è con te»

Celebrante. In Maria Immacolata, preservata da ogni colpa, Dio ci ha offerto l’immagine dell’umanità nuova, redenta da Cristo. Nella Preghiera dei fedeli gli domandiamo il coraggio di prendere Maria come nostro modello.

Lettore. Preghiamo insieme e diciamo: Maria, piena di grazia, prega per noi. 

1. Preghiamo per la Chiesa. La prima comunità cristiana in Gerusalemme si riuniva stringendosi con gioia attorno a Maria, che Gesù dalla croce aveva affidato all’apostolo Giovanni.
Perché anche oggi la Chiesa viva unita alla Madonna imitando la sua fedeltà a Cristo, e risplenda sulla terra più santa e immacolata, preghiamo.

2. Per tutte le donne del mondo. Nel progetto di Dio, a loro sono affidati compiti di massima delicatezza e importanza.
Perché ogni donna trovi in Maria l’aiuto a riscoprire e realizzare il significato della sua vocazione nella famiglia, nella Chiesa, nella società, preghiamo.

3. Per i giovani, impegnati a costruire e realizzare i loro progetti di vita.
Perché vedano in Maria, giovane mamma del Salvatore, il modello della loro vita, e sappiano imitarla nell’innocenza e nella santità, preghiamo.

4. Per le persone sofferenti, colpite nel fisico o nel morale, che tante volte sono messe a dura prova dal dolore.
Perché trovino nella protezione di Maria, madre addolorata e madre di tutte le grazie, un motivo di consolazione e di speranza, preghiamo.

5. Per la nostra comunità di fede, chiamata a vivere sul nostro territorio con la presenza serena e costruttiva che aveva Maria santissima tra la gente nel suo villaggio di Nazaret.
Perché sappiamo essere, sull’esempio della Madonna, docili all’ascolto della Parola del Signore, capaci di meditarla nel nostro cuore, e pronti a realizzarla nella vita di ogni giorno, preghiamo.

Celebrante. O Dio nostro Padre, esaudisci le preghiere che ti abbiamo presentato con fiducia di figli, per intercessione di Maria Immacolata. E fa’ che con la tua grazia viviamo sempre, sull’esempio di Maria, lontani dalla tristezza del peccato, e costruttori di tutto ciò che è bene tra i fratelli. Per lo stesso Cristo nostro Signore.


(tratto da: E. Bianco, Preghiera dei fedeli, proposte per le domeniche e feste degli anni A-B-C – Elledici 2002)

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7. Aforismi – Immacolata Concezione di Maria, 8 dic ’19

Raccolta di aforismi o testi utili per la riflessione o l’approfondimento

DA MARIA, SOLO SENTIMENTO, AFFETTI E ROMANTICISMO?
No. Non se ne parla mai, ma in Maria, a guardare bene, c’è razionalità, una limpida intelligenza delle verità di Dio, che alla fine si fa adesione appassionata.
– Lo dice il racconto dell’annunciazione, il Vangelo di oggi. In esso scopriamo l’atteggiamento razionale – tipicamente umano – di Maria di fronte alla proposta che le giungeva da Dio.
– All’inizio del dialogo con l’angelo, già al suo saluto, Maria appare guardinga: «si domandava che senso avesse un saluto come questo».
– Poi, udito il progetto di Dio, ha voluto chiarimenti: «Come avverrà questo?».
– Alla fine dà la sua adesione, ponderata ma senza riserve: «Avvenga per me secondo la tua parola». Il sì di Maria. Incondizionato.

Non si tratta di un abbandono passivo e irrazionale alla volontà altrui, ma è accettazione lucida di una proposta capita e fatta propria come scelta di vita.
– Notiamo la differenza. Nell’episodio di Adamo ed Eva la conoscenza del bene e del male era considerata un divieto e una colpa, nell’Annunciazione la ricerca di senso diventa per Maria condizione per l’adesione libera ed entusiasta al progetto di Dio.

Luca in altri momenti (Lc 2,19; 2,51) dice che Maria non solo vedeva e ascoltava, ma «custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore». La Vergine dell’ascolto, della meditazione, della consapevolezza davanti a Dio.
– Ma oggi di fatto l’intelligenza sembra sotto-utilizzata. Bernard Shaw ha fatto dire a un suo personaggio: «Oh, il cervello è così poco popolare!». E Arthur Bloch – maestro in paradossi – ha enunciato la legge: «La quantità d’intelligenza sulla Terra è costante; la popolazione aumenta». E Leo Longanesi ancor più caustico: «Ma non c’è obbligo di essere intelligenti!».

L’intelligenza, di per sè deputata a gestire e organizzare l’esistenza, di fatto sovente è ridotta a servizio dell’istintualità, dell’infra-umano. Non sembrano certo le discoteche, le spiagge e i programmi-spazzatura della tv gli ambienti in cui l’intelligenza trionfa. E la dimensione umana si rimpicciolisce.
– Invece il vescovo Agostino suggeriva al suo gregge di Ippona: «Valde ama intellectum! – Ama molto l’intelligenza!». Un’intelligenza che quando è al timone dà pieno valore e splendore alla sfera affettiva, al mondo del sentimento.

Esistono vari peccati contro l’intelligenza, e sono piuttosto frequenti. Ma come ci lascia intuire Luca nel Vangelo dell’annunciazione, Maria anche a questo riguardo è la senza colpa, è l’Immacolata.


(tratto da: E. Bianco, All’altare di Dio – Anno A – Elledici 2009)