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Santa Giovanna di Chantal madre e maestra

Le lettere di Santa Giovanna di Chantal
Per la prima volta in Italia l’epistolario (seconda parte) di una grande santa discepola di San Francesco di Sales rivela lo spirito del santo patrono dei giornalisti consegnato alle Sorelle Visitandine attraverso le LETTERE

SANTA GIOVANNA DI CHANTAL
MADRE E MAESTRA
Lo spirito di Francesco di Sales consegnato
alle Sorelle Visitandine attraverso le LETTERE
Seconda parte
(Pagine 224 – € 14,00)
L’Editrice Elledici pubblica il secondo volume sulle Lettere di Giovanna di Chantal che ne completa la figura e il messaggio.
L’autore, Don Gianni Ghiglione, per la prima volta in Italia, offre al lettore una grande quantità di citazioni tratte dalla corrispondenza della Santa.
Si tratta di un tesoro immenso e straordinario.
È da questo tesoro che vengono tratte le notizie per illustrare gli anni di vita e di azione di Giovanna, a partire dalla morte di Francesco di Sales, e restituirli così al lettore luminosi, appassionati e ricchi di infinita carità.
È questo tesoro che fa emergere aspetti inediti e insospettati della Fondatrice dell’Ordine della Visitazione, che è stata sempre, ma soprattutto in quest’ultima fase della vita,
– Madre attenta ai monasteri che si vanno moltiplicando e alle necessità delle Superiore;
– Maestra preoccupata di trasmettere il genuino spirito “salesiano"(quello che lei aveva appreso direttamente da Francesco di Sales) e diindicare a tutte le Sorelle la via che porta in alto, per cui “ciò che non è Dio non è nulla per noi!".
Questo tesoro di tremila lettere ci permette di scoprire gli anni “di notte oscura" di Giovanna. Sarà una sorpresa per il lettore.
Infine è questo tesoro che illumina la fondazione del Monastero di Torino, prima presenza visitandina in Italia: nel carteggio con la Madre di Lucinge Giovanna manifesta al meglio le sue qualità di Madre e di Maestra.
L’ultima lettera, non scritta, la Santa la spedisce a ogni lettore e a ogni lettrice per ricordare che l’amore per Dio può colmare una vita.

IN 2 VOLUMI, PER LA PRIMA VOLTA IN ITALIA L’EPISTOLARIO DI UNA GRANDE SANTA

Copertina
Introduzione
Ringraziamenti
Indice

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La biografia e le lettere di Santa Giovanna di Chantal

Le lettere di Santa Giovanna di Chantal
Per la prima volta in Italia la biografia e l’epistolario di una grande santa discepola di San Francesco di Sales
(patrono dei giornalisti)

Santa Giovanna di Chantal mamma e madre
La vita e il cammino spirituale nelle lettere
ai familiari, agli amici e alle suore
di Gianni Ghiglione 
(Editrice Elledici – Pagine 216 – € 14,00)
La vita di Giovanna Frémiot è legata indissolubilmente alla figura di San Francesco di Sales (santo patrono dei giornalisti), suo direttore e guida spirituale, e di cui fu seguace e anche ispiratrice e collaboratrice.
Giovanna di Chantal (Digione, 1572 – Moulins, 13 dicembre 1641), nacque a Digione. A vent’anni sposò il barone di Chantal, da cui ebbe numerosi figli. Rimasta vedova, a seguito dell’incontro con Francesco di Sales, consacrò la sua vita a Dio, e fondò l’ordine delle Visitandine e numerosi monasteri.
Questo volume ne racconta brevemente la vita, evidenziando il cammino spirituale sotto la guida di Francesco di Sales.
Quindi presenta le lettere da lei scritte ai figli, ai familiari, agli amici, passando poi alle lettere scritte in quanto Madre di una comunità e punto di riferimento dell’Ordine della Visitazione, fino al 1622, anno della morte di Francesco.
Dalla quarta di copertina
Santa Giovanna di Chantal è poco conosciuta dal pubblico italiano. Eppure, fondatrice con San Francesco di Sales dell’Ordine delle Visitazione, è un gigante di santità. Non ha composto trattati ascetici o libri di teologia, ma soltanto lettere. Secondo gli esperti ne ha scritte circa trentamila, di cui tremila sono giunte fino a noi.
Questo vasto epistolario ci permette di scoprire una donna affascinante. Fu madre e sposa di quattro figli. Poi, rimasta vedova, sotto la guida del Vescovo di Ginevra, San Francesco di Sales, inizia un cammino che la porterà a diventare religiosa, fondatrice e Madre.
Scrive quasi unicamente alla sue Figlie, alle superiori dei monasteri che si vanno diffondendo in Savoia, in Francia, in Piemonte (alla sua morte saranno ottantasette!).
Ma ciò che lei coniglia, suggerisce e manifesta supera le mura del monastero e raggiunge la nostra vita quotidiana, spesso agitata e frenetica, per offrirci una boccata di ossigeno, di pace, di pausa.
Nelle sue lettere si respira una grande umanità che si traduce in capacità di comprendere, libertà di amare, generosità nel perdonare, forza nell’incoraggiare e nel sostenere, gioia nel condividere. Ed è questa umanità che la conserva mamma dei suoi figli e, al tempo stesso, la trasforma a poco a poco in Madre delle sue Figlie.
A distanza di quattro secoli, questa lettere conservano tutta la loro freschezza, semplicità e luminosità e sono una miniera preziosa per quanti oggi intendono seguire e percorrere il cammino verso la santità “salesiana".
L’Autore:
Don Gianni Ghiglione, nato nel 1946 e sacerdote salesiano dal 1974, si è sempre occupato di pastorale giovanile, lavorando tra giovani e in particolare nel mondo universitario.
Nel 2005-2006 ha soggiornato per parecchi mesi nella città di Annecy, visitando i luoghi di Francesco di Sales e di Giovanna di Chantal e studiandone le opere. Dopo la pubblicazione di due volumi sulle Lettere del Vescovo di Ginevra che hanno riscosso un buon successo, ora presenta, dopo anni di lavoro, la corrispondenza della Santa che traduce al femminile la stessa “spiritualità salesiana".

Copertina

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Le competenze dell'IdR nella scuola che cambia

Una sintesi aggiornata e sistematica: tutto ciò che bisogna sapere per essere “un buon insegnante di religione".
Pratici spunti operativi che non perdono mai di vista la dualità docente-alunni.
Le competenze dell’IdR nella scuola che cambia
La classe come laboratorio educativo

di Alen Custovic e Giuseppe Trapani
(Editrice Elledici – Pagine 192 – € 11,90)
Un libro sulla scuola e i suoi protagonisti, il docente e gli alunni. Queste pagine si propongono di esaminare criticamente il quadro attuale in riferimento all’Insegnamento della Religione, ma anche di essere un pratico spunto operativo per chiunque insegni e svolga professioni di cura.
Nell’opera vengono affrontati la natura dell’IRC e dei suoi contenuti didattici. Viene approfondita la natura di educatore a cui l’Insegnante di Religione è strutturalmente orientato: competente, capace di trasformarsi in compagno di viaggio, esigente e autorevole.
Come sono gli studenti, questi ragazzi d’oggi? Come sono i docenti, questi adulti d’oggi?
Sono le due domande a cui gli autori cercano di dare una risposta partendo dalla loro esperienza di insegnanti di Religione. Quale luogo migliore di quello della classe per iniziare un percorso che li porterà a mettersi in gioco in prima persona per gettare una luce su quel territorio che vede compresenti ragazzi e adulti nel comune sforzo di costruire se stessi e il proprio mondo?
«Chi non sa incontrare gli altri, chi non sa fermarsi a stringere una mano e sorridere con gli occhi, chi non conosce la luminosità dell’incontro, farà lezione per paura e per dovere, senza buone notizie da raccogliere e raccontare». Il lettore è invitato a immergersi nel gruppo classe per individuare i semi di quell’esperienza virtuosa che vede la possibilità di una crescita armoniosa e reciproca di alunni e insegnanti, esplorando i punti di forza e i punti di debolezza di questo soggetto.
Gli autori:
Alen Custovic, docente, scrittore, giornalista, nasce a Mostar, Bosnia-Erzegovina, nel 1981, dove negli anni Novanta vive gli eventi della guerra interetnica dei Balcani. Giunge come profugo in Italia, studia e vive in varie città, e infine a Milano dove oggi lavora e risiede con la famiglia. Con il suo romanzo d’esordio, Eloì, Eloì, vince vari premi letterari. Collabora con diverse testate giornalistiche nazionali, è direttore della testata “Basta sangue sulle strade" e vicepresidente dell’omonima associazione Onlus. Accanto agli studi sulla comunicazione e sull’educazione approfondisce quelli delle scienze religiose, cercando in quest’opera una sintesi attualizzata sull’Insegnamento della Religione nella scuola italiana.
Giuseppe Trapani, docente di Irc e giornalista a Milano, nato nel 1976 e cresciuto nelle verdi terre siciliane, dopo il liceo classico studia Filosofia e Teologia a Palermo e a Bari dove consegue il Baccalaureato presso la Facoltà Teologica Pugliese discutendo la tesi Domine labia mea aperies. La liturgia delle Ore: storia e celebrazione. Dopo alcuni anni di formazione spirituale e giornalistica con la Periodici San Paolo, durante i quali collabora con la “Gazzetta d’Alba" e il mensile di attualità ecclesiale, studia Linguaggi dei media all’Università Cattolica di Milano. Attualmente scrive per testate online come “Lettera43", “Linkiesta" ed “Europinione", magazine curato da studenti e analisti della Università Luiss Guido Carli.

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Introduzione

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Strenna 2019

(ANS – Roma) – Il Rettor Maggiore, Don Ángel Fernández Artime, ha rilasciato oggi, 13 luglio, la presentazione della Strenna per il 2019. “Si tratta di una grande opportunità per offrire alcuni appunti per lo sviluppo del tema. Non c’è un altro elemento pastorale che il Rettor Maggiore offre, nel nome di Don Bosco, all’intero mondo salesiano”. Il titolo che accompagnerà il cammino per l’anno prossimo è: “‘Perché la mia gioia sia in voi’ (Gv 15,11). LA SANTITÀ ANCHE PER TE”.

Sebbene sia compito del Rettor Maggiore quello di preparare e presentare il testo ogni anno, Don Á.F. Artime sottolinea come questa Strenna “è il frutto di un dialogo nella Consulta mondiale della Famiglia Salesiana che, fortunatamente e per grazia, ha molto a che fare con questo momento ecclesiale del Sinodo, e anche con l’ultimo appello che il documento del Sinodo lancia sul tema della santità”.

Il documento presentato oggi al mondo salesiano si compone di nove paragrafi. Nel settimo il Rettor Maggiore insiste su una realtà essenziale della santità e lo fa ponendo una domanda: “Cosa vuol dire ‘La santità anche per te’?”. È un argomento appassionante quello proposto dall’interrogativo, ed ancor più entusiasmante la risposta rivolta a ciascuno dei membri della Famiglia Salesiana. “La santità non è un ‘di più’ facoltativo e un traguardo solo per alcuni. È la vita piena, secondo il progetto e il dono di Dio. È dunque un cammino di umanizzazione”.

Quella santità quotidiana è divenuta realtà nelle vite vissute in pienezza nel carisma salesiano. Si viene così invitati a non dimenticare che nel corso della storia la santità salesiana è diventata visibile con nomi propri: Zeman, Stuchlý, Lustosa, Zatti, Srugi, Sandor, Lunkenbien e Simão Bororo, Comini, Ana María Lozano, Laura Vicuña, Alexandrina Maria da Costa, tra molti altri e altre…

Don Á.F. Artime prosegue affermando che la presentazione della Strenna 2019 “è una magnifica opportunità per essere in sintonia con l’appello che il Santo Padre rivolge nell’Esortazione Apostolica Gaudete et exsultate, che ha molto a che fare con il nostro carisma salesiano. Don Bosco è stato un grande maestro in tal senso, con la capacità di ispirare e di accompagnare i suoi ragazzi sui sentieri della santità quotidiana”.

“L’importante è essere santi, non essere dichiarati tali – enfatizza il Rettor Maggiore –. I santi canonizzati rappresentano la facciata di una chiesa; ma la chiesa contiene molti preziosi tesori al suo interno che, tuttavia, rimangono invisibili”.

La presentazione integrale della Strenna del Rettor Maggiore per il 2019 è disponibile sul sito sdb.org

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Il Concilio di Papa Francesco

IL CONCILIO DI PAPA FRANCESCO
La nuova primavera della Chiesa

di Giacomo Galeazzi
(Editrice Elledici – Pagine 224 – € 10,00)
Il Concilio di Papa Francesco (Editrice Elledici) non è l’ennesimo libro su Papa Francesco, ma una seria e approfondita analisi del suo programma.
Ad affrontarla è Giacomo Galeazzi, vaticanista e giornalista d’inchiesta del quotidiano La Stampa.
Il libro, che riporta interviste e contributi di teologi e storici, aiuta a comprendere quanto e come il magistero conciliare riecheggi nel pontificato di Francesco. Con un nota bene: l’attenzione a non ridurre, nella narrazione del papato bergogliano, il suo magistero a slogan di comodo, magari per tirare il papa dalla propria parte (“noi lo diciamo da sempre, noi facciamo così da sempre"), invece di lasciarci sinceramente interrogare da testimonianza, gesti e parole di un Papa e di una Chiesa che cerca di “dare risposte alle questioni più urgenti, per quanto possibile, non giudicando e condannando, ma usando un linguaggio materno.
Il nuovo libro di Galeazzi ci invita infatti a guardare al ministero di Francesco, alle sue parole e ai suoi gesti, facendoci scorgere come in controluce, l’evento del Concilio e l’afflato che lo ha accompagnato. Lo spirito conciliare emerge nitido e chiaro, nel progetto di Francesco per una Chiesa più giovane e aperta al mondo.
Anzi, senza tenere gli occhi sul grande evento ecclesiale conclusosi cinquant’anni fa, non è possibile comprendere appieno quello che il Papa fa e dice e gli orientamenti coraggiosi e radicali con i quali ha impresso e continuamente imprime una svolta e un’accelerazione radicali al vivere ecclesiale.
Davvero, come afferma l’autore del libro, “il Concilio costituisce il vero programma di Francesco e il suo magistero va interpretato alla luce del Vaticano II".
Il libro ci offre spunti di riflessione a questo riguardo, oltre a svariate testimonianze da parte di persone che, in diverso modo, sono attente e partecipano alla vita della Chiesa.
Il loro punto di vista contribuisce ad arricchire la riflessione, allargando il campo dal piano teologico e pastorale a quello economico, politico e sociale, a comporre un quadro più completo, utile a cogliere le varie direzioni in cui si articola l’impulso di riforma con il quale Francesco ripensa la Chiesa, sull’onda del Concilio.
Il volume si avvale della presentazione di Mons. Nunzio Galantino, Segretario Generale CEI.

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Il cortile dietro le sbarre: il mio oratorio al Ferrante Aporti

Un libro per sostenere lo studio e l’accompagnamento al lavoro
dei giovani detenuti del carcere minorile Ferrante Aporti
Il cortile dietro le sbarre: il mio oratorio al Ferrante Aporti
In dialogo con Don Domenico Ricca, salesiano,
da 35 anni cappellano al carcere minorile di Torino
di Marina Lomunno
(Editrice Elledici – pagine 340 – € 14,90)
La Editrice Elledici ha appena pubblicato il nuovo libro-intervista Il cortile dietro le sbarre: il mio oratorio al Ferrante Aporti.
Questo ampio libro-intervista raccoglie le memorie personali di Don Domenico Ricca, sacerdote salesiano, da 35 anni cappellano dell’istituzione carceraria minorile torinese.
A raccoglierle è Marina Lomunno, giornalista professionista, redattrice del settimanale diocesano di Torino La voce del popolo, collaboratrice del quotidiano Avvenire e di diverse altre testate cattoliche.
Ne emerge un quadro vivo, toccante pur nella più totale discrezione dovuta, perché sono storie di ragazzi e di adolescenti che hanno bisogno di crescere senza esposizioni mediatiche inutili e dannose.
Un libro che vuole anche rendere omaggio a San Giovanni Bosco nel bicentenario della nascita: per Don Bosco le visite alle carceri furono importantissime, nella scelta di privilegiare in ogni modo i poveri e gli emarginati.
I diritti d’autore della vendita del libro-intervista saranno devoluti a chi opera per la riqualificazione umana e civile dei ragazzi del Ferrante Aporti.
Il cappellano del carcere e i suoi ragazzi sono stati ospiti a pranzo con Papa Francesco, il 21 giugno 2015, presso l’Arcivescovado di Torino, in occasione della sua visita a Torino.
Dalla introduzione:
«Non posso dimenticare Mauro, proveniva dal Novarese. Uno dei primi inserimenti lavorativi che abbiamo sperimentato in un’officina. Ancora anni dopo, ogni volta che veniva a Torino, non mancava di farmi visita al Ferrante, mi ha fatto conoscere la sua sposa e il suo bimbo. E poi Franco, di Vercelli. In carcere aveva messo su una band: musica metal, rock duro e poi fuori ha fatto dei concerti. O Emilia e la lettera accorata di suo padre che mi ha inviato quando è morta. E un altro padre, quello di Erika, con cui abbiamo condiviso in carcere un pezzo del cammino della figlia».
Quanti sono, i ragazzi di don Mecu, da 35 anni cappellano al Ferrante Aporti, il carcere minorile di Torino? Questo è il libro delle loro storie e del sogno di un prete salesiano che cerca di vivere il carcere come un oratorio. È l’idea di san Giovanni Bosco, che nella Torino di metà ‘800, veniva tra queste stesse mura a incontrare i ragazzi detenuti. È dal dolore e dalla speranza del carcere che nasce il «sistema preventivo», pilastro dell’educazione salesiana che farà di don Bosco il «santo dei giovani».
Una lunga intervista che si legge quasi come un romanzo. Comincia dietro le sbarre del carcere e finisce con altre «sbarre di libertà», quelle delle suore di clausura del monastero del Cottolengo di Torino.
Questo libro parla di libertà. Perché il carcere minorile non è un mondo a parte: può diventare una scuola, un oratorio, perfino una famiglia. Se c’è gente che ci spende la vita, e ci mette la faccia. Come don Mecu.

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Il decalogo del buon comunicatore secondo Papa Francesco

Dal vice-caporedattore di Radio VaticanaAlessandro Gisotti,
un piccolo contributo di riflessione, suscitata da papa Francesco, per una comunicazione che metta al centro la persona e che abbia il coraggio di farsi prossima a tutti.

IL DECALOGO
DEL BUON COMUNICATORE SECONDO PAPA FRANCESCO

di Alessandro Gisotti
Prefazione del Card. Luis A. Tagle
Editrice Elledici – Pagine 48 – € 4,50
* i diritti d’autore saranno devoluti in beneficenza alle
Missioni Don Bosco

Dieci buone regole che papa Francesco ci offre per essere comunicatori di Misericordia. Indicazioni che valgono per tutti, non solo per i giornalisti o i comunicatori professionisti. Come ha detto Francesco «l’amore, per sua natura, è comunicazione» e dunque come esseri capaci di amare, noi esseri umani siamo tutti naturalmente comunicatori.
Nella redazione di questo speciale “Codice" l’autore si è fatto aiutare da alcune immagini, alcuni gesti del papa. La misericordia, infatti, è una virtù concreta, operativa. E questo deve valere anche quando la applichiamo al nostro modo di comunicare.
Un piccolo contributo di riflessione, suscitata da papa Francesco, per una comunicazione che metta al centro la persona e che abbia il coraggio di farsi prossima a tutti.
Il Papa non sapeva che Vinicio non fosse contagioso quando lo ha abbracciato. L’uomo coperto da escrescenze per una neurofibromatosi, rifiutato dalla gente per il suo corpo deturpato, incontra l’amore perché Francesco non ci pensa due volte a stringerlo fra le braccia, restituendogli dignità. E’ questa forse una delle immagini riportata dal libro di Alessandro Gisotti, che esprime meglio l’intento del volume: far capire come il Papa comunica e insegna a comunicare.
A spiegare che il contesto di una vera comunicazione è il “patto", è nella prefazione il card. Luis Antonio Tagle. Un concetto centrale su cui l’arcivescovo di Manila si è soffermato anche in un recente incontro presso “Civiltà Cattolica":
“È molto importante avere strategie di comunicazione. Ma attenzione: quando la comunicazione diventa solo strategia non è comunicazione, diventa manipolazione. Nella Bibbia, il contesto della vera comunicazione è il Patto di Dio con l’uomo, il patto dell’uomo con la donna, il patto fra le persone in una comunità. È questo il senso della comunicazione dobbiamo portare nel mondo dei Social media".
“Comunicare con tutti, senza esclusione", “Non spezzare mai la relazione e la comunicazione", “Generare una prossimità che si prenda cura": sono alcuni dei “comandamenti" indicati da Francesco, secondo l’autore del libro che associa ad ognuno un’immagine: dalla telefonata di Francesco a Pietro Maso fino all’incontro nei giardini vaticani con Shimon Peres e Abu Mazen.
L’autore del libro, Alessandro Gisotti, afferma:
“Questo piccolo volume che ho voluto offrire a chi lo vorrà leggere, vuole proprio essere questo: un ‘codice della mente e del cuore’, che vada aldilà degli articoli o dei comma di legge, e che cerchi di riappropriarsi del senso vero della comunicazione. Il card. Tagle, nella prefazione del mio libro, sottolinea che questo è l’intento del volume, cioè andare attraverso il Magistero di Francesco, anzi guidati da Papa Francesco, al cuore della comunicazione e, al cuore della comunicazione, c’è la persona. Francesco ci dice dunque che se non stiamo creando ponti, se non stiamo abbattendo muri, in realtà non stiamo proprio comunicando! Quindi l’atto del comunicare per essere davvero tale, deve veramente creare la relazione, sanare laddove ci sono ferite ed orientare verso processi di riconciliazione".
Borges, Manzoni, Shakespeare: sono tante le citazioni colte, che vengono declinate in modo concreto nel libro, cioè associate ai gesti del Papa che, come spesso rilevato, comunica con le parole non meno che con i gesti. Non a caso McLuhan diceva: “Il mezzo è il messaggio". La parola chiave è infatti prossimità perché comunicazione e misericordia si incontrino.
Ancora Gisotti afferma:
“Nel primo messaggio di Papa Francesco per la Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali c’è questa originalità: il Papa ha paragonato il buon comunicatore al Buon Samaritano. Sostanzialmente ha detto che il modello per un giornalista, per un comunicatore di professione, è il Buon Samaritano. Questo ha colpito me come credo abbia colpito molti di noi, nella comunità di comunicatori, perché Francesco sottolinea che il Samaritano passa dal chiedersi: ‘Chi è il mio prossimo?’ al farsi prossimo a tutti e ad ognuno. Questo ha molto a che vedere con la comunicazione. Non a caso Francesco definisce il potere della comunicazione come il potere della prossimità. Questo, chiaramente, implica una cura del linguaggio, delle parole che sono “esseri viventi", come diceva Victor Hugo. Quindi questo tema della prossimità è presente non solo nella sua azione pastorale ma proprio nell’esortazione che rivolge ad ogni tipo di comunicazione non solo professionale ma anche della vita; pensiamo alla famiglia, pensiamo a quel ‘permesso, scusa, grazie’. Tre parole così semplici che danno proprio il senso di una prossimità nella vita quotidiana".
A prima vista Il Decalogo del Buon Comunicatore sembra un libro per giornalisti o addetti alle comunicazioni. Ma non è così. E’ un testo che si legge tutto d’un fiato: stimola il desiderio di andare oltre le proprie debolezze, oltre quella reazione istintiva assetata di identificare il nemico o il diverso, per poter invece comunicare così, come con quell’abbraccio del Papa a Vinicio.
L’Autore:
ALESSANDRO GISOTTI è vice-caporedattore alla Radio Vaticana dove lavora dal Giubileo del 2000 dopo un’esperienza alle Nazioni Unite. Giornalista professionista dal 2004, segue quotidianamente l’attività del papa e della Santa Sede.
Con la prefazione del Cardinale Luis A. Tagle, Arcivescovo di Manila, Presidente di Caritas Internationalis.
PREFAZIONE
CARD. LUIS ANTONIO TAGLE
Arcivescovo di Manila
Presidente di Caritas Internationalis

Ringraziamo Alessandro Gisotti per averci dato un meraviglioso richiamo alla comunicazione autentica. Seguendo alcuni “comandamenti" di Papa Francesco, Gisotti ci porta nel cuore della vera comunicazione.
Alcuni potrebbero chiedersi: “Un altro libro sulla comunicazione? Il mondo non è già soffocato da innumerevoli mezzi di comunicazione? Non stiamo soffrendo per eccesso di informazione? La gente diventa esperta nell’uso di gadget e social media in età precoce. Quindi perché abbiamo bisogno di un nuovo libro sulla comunicazione?" Io credo che il valore del libro di Gisotti sia nella ricerca profonda su una domanda cruciale: “Stiamo davvero comunicando gli uni con gli altri? Dove possiamo trovare la vera comunicazione?"
Non possiamo negare il fatto che ogni giorno vediamo la distorsione della comunicazione e i suoi disastrosi effetti. Le manipolazioni della verità e dell’essere umano possono essere fatti passare facilmente e addirittura lodate come comunicazione efficace. Quando le strategie, la tecnica, la tecnologia e la finanza diventano gli unici fattori determinanti della comunicazione, potremmo dimenticare che ci stiamo relazionando con esseri umani che meritano il nostro rispetto e il dono della verità. La comunicazione distorta sorge da e conduce a comunità distorte, a partire dal nucleo familiare fino alla famiglia internazionale e persino alla famiglia della creazione. L’umanità e le comunità sono in gioco con la comunicazione. La comunicazione distorta ferisce profondamente.
Nella tradizione Giudeo-Cristiana, la comunicazione inizia con Dio che è amore. Dio è Il Comunicatore. Nell’amore Dio rivela se stesso e la sua volontà di salvezza. Il contesto della comunicazione di Dio con la creazione, l’umanità e la storia è un patto, un solido rapporto di comprensione, fedeltà e misericordia. La comunicazione, il dialogo di Dio raggiunge il suo picco quando la Parola diventa carne. Quando Dio comunica, l’amore prende la forma di una persona umana che assume la condizione umana per trasformarlo e salvarlo dall’interno. La comunicazione divina non è manipolazione ma salvezza. Il modello della comunicazione è Dio la cui parola eterna diventa umana in Gesù. Gesù, vero Figlio di Dio, comunica in semplici parole umane. Gesù santifica la comunicazione umana facendola simbolo e strumento dell’amore di Dio. Lo Spirito Santo ci permette di comunicare con Dio pregando e proclamando il messaggio di salvezza di Gesù a un mondo ostile. La comunicazione non è una strategia ma un evento sacro. La Chiesa deve preservare la sacralità del dialogo.
Mentre mi congratulo con Gisotti, incoraggio i lettori ad utilizzare questo libro per una riflessione religiosa sulla qualità della nostra comunicazione. Possiamo essere guidati a Dio che dialoga con noi nell’amore!
INTRODUZIONE
Un Giubileo dei Giornalisti. Quando la portavoce dell’arcivescovo di Campobasso-Bojano Giancarlo Maria Bregantini – poco dopo l’inizio dell’Anno Santo – mi ha riferito di questa iniziativa ho pensato subito che fosse un’ottima idea, per due motivi. Innanzitutto, mi sembrava che fosse quanto mai opportuno che anche i comunicatori, professionisti e non, avessero un evento giubilare a loro dedicato. Secondo, il fatto che a proporlo fosse una diocesi importante ma comunque di “periferia", mi pareva in linea con l’intenzione, manifestata in modo eloquente dal Papa con l’apertura della Porta Santa della Cattedrale di Bangui, nella Repubblica Centrafricana, di vivere un Giubileo “diffuso", decentrato, in cui ogni comunità ecclesiale potesse offrire il suo contributo allo sviluppo del cammino giubilare. Mi sentivo poi particolarmente onorato perché l’arcivescovo Bregantini, non solo pastore ma anche giornalista con tanto di tesserino – assieme all’Ordine dei Giornalisti e all’UCSI Molise (Unione Cattolica Stampa Italiana) – aveva pensato di invitarmi a questo avvenimento come relatore principale assieme al vice-direttore emerito della Sala Stampa della Santa Sede, padre Ciro Benedettini.
Il titolo su cui veniva chiesto il mio contributo sarebbe stato “La deontologia nella comunicazione. Comunicare la verità dai Social alla carta stampata". Non un tema semplice considerata anche la platea particolarmente qualificata. A venirmi in aiuto è stata la rilettura del 50.mo Messaggio di Francesco per la Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali sul tema “Comunicazione e Misericordia: un incontro fecondo". Un documento che già avevo letto per realizzare il servizio della Radio Vaticana, al momento della pubblicazione. Man mano che scorrevo e riscoprivo il testo mi si svelava davanti agli occhi un vero e proprio “Codice del Buon Comunicatore", una deontologia della mente e del cuore per rendere l’ambiente comunicativo un luogo di valorizzazione della persona, delle sue potenzialità relazionali. La comunicazione infatti – a partire da quella fondamentale tra una mamma e il suo bambino – vive nella relazione, ha bisogno di un incontro. La misericordia, poi, secondo Francesco non può essere solo il contenuto della nostra comunicazione, ma anche lo stile del nostro modo di comunicare. La «rivoluzione della tenerezza», la revolución de la ternura a cui tante volte Bergoglio fa riferimento deve, quindi, riguardare anche necessariamente la comunicazione. «Ciò che diciamo e come lo diciamo», è la sua esortazione, «dovrebbe poter esprimere la compassione, la tenerezza e il perdono di Dio per tutti». Un’affermazione in piena sintonia con quello che affermava la neo santa Madre Teresa di Calcutta: «Meglio commettere errori con gentilezza che fare miracoli con scortesia».
In questo volumetto, ispirato alla relazione che ho tenuto al Giubileo dei Giornalisti a Campobasso il 7 maggio 2016, ho provato dunque a tracciare un Decalogo, 10 buone regole che Francesco ci offre per essere comunicatori di Misericordia (ogni capitolo è introdotto proprio da una citazione tratta dal Messaggio). Indicazioni che valgono per tutti, non solo per i giornalisti o i comunicatori professionisti. Come ha detto Francesco, infatti, «l’amore, per sua natura, è comunicazione» e dunque come esseri capaci di amare, noi esseri umani siamo tutti naturalmente comunicatori. Nella redazione di questo speciale Codice mi sono fatto aiutare da alcune immagini, alcuni gesti del Papa. La misericordia, infatti, è una virtù concreta, operativa. E questo deve valere anche quando la applichiamo al nostro modo di comunicare.
Significativamente, prima di arrivare in libreria – grazie alla Elledici che ha creduto in questo progetto – il Decalogo del Buon Comunicatore è sbarcato con successo sulle Reti Sociali nella sua versione “pocket", ovvero attraverso un’immagine di Francesco con sovraimpressi i “Dieci Comandamenti" della buona comunicazione. Nel giro di poche ore, dalla pubblicazione sui miei profili social, il “decalogo" è stato tradotto spontaneamente in Rete in inglese, spagnolo, tedesco e polacco. E ogni volta, l’autore della nuova versione grafica e linguistica del “decalogo" aggiungeva qualche elemento, rendendolo così più originale e accattivante. Alla vigilia della 50.ma Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, poi, il Decalogo del Buon Comunicatore è stato pubblicato sulla pagina della CEI dedicata alla ricorrenza.
Dal web alle librerie, dunque, ma sempre con lo spirito e l’auspicio di offrire un piccolo contributo di riflessione, suscitata da Papa Francesco, per una comunicazione che metta al centro la persona e che abbia il coraggio di farsi prossima a tutti. Un testo che viene impreziosito dalla prefazione del cardinale Luis Antonio Tagle, arcivescovo di Manila e presidente di Caritas Internationalis. A lui, esempio straordinario di comunicatore ed operatore di Misericordia, va la gratitudine mia e dell’Editore per aver valorizzato il nostro lavoro.
Alessandro Gisotti

* I DIRITTI D’AUTORE SARANNO DEVOLUTI IN BENEFICENZA
ALLE MISSIONI DON BOSCO

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2. Esegesi – 3 t.o. C, 27 gen ’19

(spunti di esegesi)

LO SPIRITO DEL SIGNORE È SOPRA DI ME

Neemia 8,2-4a.5-6.8-10 – Lesse il libro sulla piazza
1 Corinzi 12,12-30 – Siamo stati battezzati mediante un solo Spirito
Luca 1,1-4; 4,14-21 – Oggi si è compiuta questa scrittura

La Parola che genera
Questa domenica celebra la festa della Parola che è il segreto della presenza di Dio nella vicenda umana. Il popolo che il Libro di Neemia vede oggi radunato intorno alla Parola, popolo di uomini e donne, di grandi e di piccoli, viene plasmato nella sua esistenza reale, dal suo incontro con la Parola. Essa lo fa nascere, e lo fa essere quello che è. Essa è presente nella Creazione, perché tutto è stato fatto dalla Parola di Dio, ed è presente nella storia perché si racchiude in ogni evento piccolo e grande della vicenda umana. Il popolo di Dio deve la sua esistenza alla Parola di Dio. Una Parola che crea, che dà significato a tutto. L’ordinamento della vita di Israele poggia sulla Parola di Dio, che diviene forza che guida la sua storia. L’israelita si sentiva tanto dipendente, come vocazione e come destino, da questa Parola, che la sua preghiera quotidiana cominciava sempre allo stesso modo: «Ascolta Israele» (Dt 6,4-9).

La Parola confermata dallo Spirito
L’esordio del Vangelo di Luca che oggi ascoltiamo è un esempio molto concreto di come la Parola sia la protagonista che strappa i fatti dal loro semplice accadimento e ne rivela le fonti, le connessioni, la rilevanza positiva e negativa, e i fini. La Parola è il grembo materno della vicenda umana. Lo scopo della memoria scritta di Luca è quello di rendere il discepolo consapevole della solidità degli insegnamenti ricevuti e quindi di confermarlo nella fede. Per tre volte all’inizio del suo Vangelo Luca, descrivendo i movimenti di Gesù, ricorda lo Spirito: in 3,22 si dice che lo Spirito scende su Gesù; in 4,1 si dice che Gesù è condotto dallo Spirito nel deserto; qui lo Spirito si manifesta nella potenza della Parola. Il fatto avviene dentro la celebrazione ordinaria del sabato ebraico. La Parola stessa, fatta carne, è in cattedra, e il suo annuncio non è più profetico, ma direttamente rivelativo, è la Parola stessa che si comunica.

La Parola è Cristo Gesù
Ciò che è stato promesso ora si compie. In questa riconsegna della Parola il rotolo è aperto su Isaia 61,1. Gesù arriva al momento giusto perché la storia è arrivata al punto giusto. Se per Matteo il secondo Sinai è la montagna delle Beatitudini, per Luca lo è la sinagoga di Nazaret. E Gesù è puntuale  all’appuntamento, egli conferma: «Oggi si compie». La storia è giunta al suo punto di maturità. Quest’oggi riassume e compie tutto il tempo dell’attesa riassunto da Is 61. In Cristo Gesù tutte le profezie, tutta la Parola diventa carne e la liberazione degli schiavi, la libertà degli oppressi, la vista ridonata ai ciechi, sono possibili perché la potenza di Dio si incarna. Il tempo di grazia lo si può costruire quando l’ascolto della Parola diventa storia condivisa da coloro che scegliendo di seguire Gesù, sentono che la comunione si costruisce portando i pesi gli uni degli altri, quando arriviamo a sentirci corpo con ogni fratello e sorella che incontriamo nel cammino.

La Parola risposta ad ogni miseria
In Luca 4,18 si parla di poveri, di prigionieri, di ciechi, di oppressi. Sono quattro immagini che descrivono e riassumono bene la miseria dell’uomo di ogni tempo. Gesù è l’oggi di questo momento di grazia e di liberazione. In quest’annuncio è coinvolta la nostra vita. La vita di ciascuno di noi è una promessa, siamo in potenza ciò che di più bello, di più grande si possa realizzare. Il gesto di Gesù, condotto dallo Spirito, deve continuare nei suoi discepoli.
L’ascolto della Parola diventa vita e vita credibile, quando diventiamo «uno» nel corpo del Signore Gesù, segno visibile dell’amore del Padre, quando l’altro è così fortemente amato che non esiste più la mia e la sua vita, la mia e la sua fatica, la mia e la sua sofferenza o gioia, ma l’armonia profonda, dono di Dio, per cui se uno guarisce, guarisce tutta l’umanità. Dio ha conferito onore e rispetto ad ogni parte di questo corpo. L’onore che si deve a Dio e al Signore Gesù ora lo si deve anche ad ogni uomo: amatevi gli uni gli altri… gareggiate nello stimarvi a vicenda (Rm 12,10) e anche nell’onorare il vostro corpo (1Cor 12,21-23).

PER IL CONFRONTO NEL GRUPPO
– Che cosa genera in te la Parola?
– Ti senti capace di dire la Parola vera?

IN FAMIGLIA
A partire dalle tante parole che si sono dette durante la settimana o nel corso della giornata,
ogni membro della famiglia cerca di trovare quell’espressione che ha un senso più pieno.
Dal confronto con le letture si evidenzia la distanza tra noi e la proposta della liturgia
per trovare il modo di avvicinarsi e rendere quello che si dice più ricco di significato.

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3. Annunciare la Parola – 3 t.o. C, 27 gen ’19

1. PER COMPRENDERE LA PAROLA

Esdra diede una volta la legge ai Giudei ritornati dall’esilio e in tal modo ne formò nuovamente un popolo. Anche Gesù, come Esdra, reca la Buona Novella e fa nascere il nuovo popolo di Dio.

PRIMA LETTURA
Il brano riporta un avvenimento particolarmente importante nella storia del popolo di Dio. Dopo il ritorno dall’esilio, una volta ricostruito il Tempio, lo scriba Esdra fu incaricato di far conoscere e imporre ai Giudei la Legge di Mosè. Sembra che nel suo insieme il popolo l’avesse del tutto dimenticata.
Si trattò d’un’assemblea preparata con cura, lunga e solenne, di una liturgia della parola durata un’intera mattina e che ebbe bisogno di traduzioni e di commenti.
Assemblea mista: uomini, donne, ragazzi.
Assemblea attenta, pronta alle acclamazioni, ai gesti religiosi, alle prostrazioni. I forti “Amen” sono l’affermazione della fede.
La lettura della Legge provoca l’emozione e le lacrime (di emozione, di timore, di pentimento?), che sembrano sconcertare gli scribi… Esdra invece invita a celebrare l’avvenimento nella gioia e a trasformare in festa questo giorno consacrato al Signore. “La gioia del Signore è la vostra forza” non è soltanto una bella trovata letteraria: in realtà, la ricostruzione delle mura di Gerusalemme era stata finalmente terminata, dopo diversi tentativi falliti: esse erano una “forza” e quindi motivo di gioia.

SALMO
Questa 2a parte è l’elogio della legge del Signore: perfetta, sicura, verace, limpida, fedele e giusta. Colui che l’ascolta con semplicità ritrova la vita, la gioia, la luce. Colui che la canta nel suo cuore e sulla sua bocca ha il coraggio di avvicinarsi al Signore.

SECONDA LETTURA
Continua il brano della domenica precedente; vi ritroviamo la stessa preoccupazione per l’unità della Chiesa e per l’armonia nell’uso dei doni dello Spirito.
Unità della Chiesa: è il paragone del corpo. “Siamo stati battezzati in un solo Spirito per formare un solo corpo”.
Se pensiamo al fossato religioso che separava gli Ebrei dai pagani, al fossato sociale che separava gli uomini liberi dagli schiavi, misuriamo ancor meglio la forza unificante della fede e del battesimo. Tuttavia, le tentazioni di divisioni si collocano a un altro livello: proprio al livello dei doni dello Spirito che in qualche modo differenziavano i membri della Chiesa, come i diversi organi del corpo umano svolgono una differente, specifica funzione.
Perché ci sia armonia nell’uso dei doni dello Spirito è necessario che ognuno riconosca di aver bisogno del dono degli altri. Ognuno sperimenti la solidarietà che lo lega agli altri; nella sofferenza o nella gioia non si dimentichino gli altri. Tutti ammettano una gerarchia – che Paolo fissa con una certa precisione (certamente per stabilire un equilibrio per i Corinzi, che sembrano aspirare maggiormente ai doni spettacolari con danno dei doni più essenziali per la vita della comunità) – e tale gerarchia sia accettata umilmente. La cosa essenziale è che “voi siete corpo di Cristo e sue membra, ciascuno per la sua parte”.

VANGELO
Riporta anzitutto i primi quattro versetti del Vangelo di Luca, nei quali l’autore, come uno scriba fedele del nuovo regno, vuole ispirare fiducia nella qualità della sua opera. Questa è fedele alla tradizione (ci si può richiamare a Esdra, ugualmente preoccupato di comunicare al popolo la tradizione della legge di Mosè).
Segue poi la scena in cui Gesù, dopo il battesimo, si reca a Nazaret, entra nella sinagoga e viene invitato a presiedere la liturgia della Parola. Questa volta non si limita a un semplice commento del passato, ma vi annuncia la realizzazione della profezia di Isaia: l’oggi di Dio nella sua stessa persona, consacrata dallo Spirito.
Egli vi si presenta come il Profeta della Buona Novella per coloro che in un modo o nell’altro vivono nella miseria: i poveri, i prigionieri, i ciechi, gli oppressi.
È l’inizio d’un anno di benefici, non più soltanto un anno giubilare come nell’Antico Testamento, ma il Tempo messianico nel quale il Signore non smette di concedere i suoi benefici.

2. PER ANNUNCIARE LA PAROLA (piste di omelia)

La nostra legge è la legge del Signore?
Tutti siamo facilmente dei criticoni, eppure esigiamo leggi giuste. In campo religioso si può ancora parlare di legge? Gesù non è venuto a portare la libertà? È una cosa che ci piace ricordare! E tuttavia non si può negare la confusione quasi generale che nasce appena vengono meno regole precise, principi morali, ecc.
Il popolo ebraico, se non è sempre stato fedele alla legge, non ha conosciuto tale confusione. Gli scribi avevano appunto il compito di ricordare la legge di Mosè (cf 1a lettura). I suoi poeti religiosi erano felici di esaltarne i benefici (cf Salmo). Del resto la legge non era semplicemente un codice di prescrizioni, ma il richiamo dei doni di Dio, la proclamazione dell’Alleanza con lui.
E noi? Se non corriamo più il rischio di cadere nel legalismo, dobbiamo però ritrovare, al cuore della vita cristiana, la profonda necessità dell’obbedienza alla legge del Signore, all’Alleanza che ci unisce a lui. Non esiste fede senza sottomissione alla Parola. Non si può essere cristiani se non si è discepoli.
Chi ci guida alla scoperta della legge è lo Spirito. Egli ci fa comprendere la Parola in funzione degli avvenimenti di ogni giorno. Attraverso la Chiesa ci aiuta a trovare il cammino concreto della fedeltà.
Potessimo tutti, ogni giorno, mormorare nel nostro cuore, attento allo Spirito: “La legge del Signore è perfetta, rinfranca l’anima”.

Verso l’unità?
L’aspirazione all’unità, a tutti i livelli e sotto tutte le forme – nell’umanità, fra le nazioni, fra i diversi ambienti di vita, nell’intimo delle famiglie, ecc. – non è mai stata così forte. E, paradossalmente, mai ogni persona singola, ogni gruppo, ambiente, società ha mostrato tanto impegno a sviluppare la propria originalità, a conservare ciò che lo differenzia dagli altri.
Anche nella Chiesa esiste questo doppio movimento. Ritrovare l’unità dei cristiani, la cui divisione in confessioni chiuse appare scandalosa e motivo di sfiducia. Senza tuttavia che nessuna delle tradizioni cristiane perda alcunché dei propri doni particolari. A questo proposito, l’ecumenismo ha fatto grandi passi. Allo stesso modo, all’interno della Chiesa cattolica si cerca l’unità, sempre difficile, nel rispetto di tutte le differenze. La gioia del Signore sia la nostra forza contro l’asprezza delle divisioni!
È il momento di ricordare l’insegnamento di Paolo: il bisogno, la solidarietà, la gerarchia, l’umiltà che devono esistere tra le membra del corpo di Cristo (vedi sopra).
Se la Chiesa vivrà questa difficile unità, potrà dare il suo contributo all’unificazione degli uomini nella vita sulla terra.

Portatori della Buona Novella
Quando gli Israeliti sentirono leggere la legge di Mosè, si misero a piangere: timore di Dio, emozione nel ritrovarsi a Gerusalemme finalmente ricostruita? Neemia dovette invitarli a vincere tale commozione per rallegrarsi di essere il popolo consacrato al Signore!
Noi non siamo qualche volta piuttosto refrattari alla festa, alla gioia, portati a veder nella nostra fede e nelle sue esigenze certamente una nobile vocazione, ma anche una forma di austerità che ucciderebbe la gioia di vivere? In realtà, noi siamo stati educati in una spiritualità del dovere, la quale, se mal capita, può andare in questa direzione.
Anche se noi personalmente abbiamo superato questa tentazione e troviamo la nostra gioia nella legge del Signore, è innegabile che, per molti increduli e lontani, l’essere cristiano non è allegro!
È il caso di rivivere la scena del Vangelo, di ascoltare Cristo che si presenta come liberatore, benefattore, portatore di un messaggio di gioia. Sia per lasciarci prendere da meraviglia di fronte a tutto ciò che riceviamo di fatto, sia per metterci alla scuola di Cristo, anche noi abbiamo ricevuto l’unzione dello Spirito; è la Buona Novella che dobbiamo portare, concretamente, agli uomini nostri contemporanei.

Da “Omelie per un anno 1 e 2” – Anno B – a cura di M. Gobbin – Elledici

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4. Ti Spiego la Messa

Prepariamo i nostri piccoli alla comprensione delle parti della Santa Messa


(N. 10 – 20gen2019) La chiesa.


(N. 9 – 13gen2019) I Simboli della liturgia.


(N. 8 – 30dic2018) I collaboratori.

La liturgia è un azione comunitaria. La celebrazione dell’Eucarestia è sempre valida anche se e quando il sacerdote si ritrova a celebrarla da solo.
Ma il senso di comunità, tanto nei giorni feriali quanto in quelli festivi, risalta e riempie i cuori nella varietà dei ministeri, ossia dei compiti che ciascun fedele svolge.
Gli addetti a servizio all’altare, in maniera sempre composta, silenziosa, con movimenti sobri e incedere soave in tutti gli spostamenti e i passaggi
(evitando di attirare l’attenzione su di sè con acconciature o abbigliamento stravagante,
con fare distratto o disordinatamente affaccendato, colpi di tosse ricorrenti, risolini, ecc…)

contribuiranno, come degli angeli, a far convergere tutta l’attenzione
sull’ascolto della Parola dall’ambone
e nel rivivere all’altare l’Ultima Cena di Gesù.
Il coro ben guidato, si occupa di abbellire i vari momenti della messa cercando di invogliare l’assemblea al canto senza sostituirsi ad essa completamente.
Gli strumentisti accompagnano il canto, con l’attenzione che il volume della musica non sovrasti quello delle voci.
lettori, consapevoli del compito di prestare la loro voce affichè la Parola di Dio giunga chiara e ben impostata alle orecchie dei fedeli,
devono far attenzione che le labbra siano ben allineate col microfono, adeguatamente funzionante con tutto l’impianto di amplificazione.
Ed è preferibile che, avendo letto in anticipo i testi che andranno a proclamare, chiedano consiglio di come si pronunciano alcune parole di uso non frequente o nomi particolari.
Coloro che accompagnano la processione offertoriale, hanno cura di recarsi in tempo nei pressi del tavolino da dove prenderanno pane, vino e altri segni utili.
Allo stesso modo, gli incaricati di svariati altri compiti (raccolta delle offerte, distribuzione di libretti dei canti, foglietti per la messa, avvisi settimanali, ecc…)
devono far tutto con spirito di servizio e non con il sottile intento di mettersi in mostra…
la gran parte dei fedeli presenti, pur non avendo compiti particolari, contribuirà all’edificazione vicendevole
attraverso una partecipazione attenta, rispondendo alle acclamazioni, mettendo a tacere il telefonino…

In una liturgia ben preparata, ben curata e ben partecipata
tutti si è al servizio gli uni degli altri,
nessuno è indispensabile,
tutti spossono rendersi utili…
per vivere al meglio e sempre fruttuosamente il proprio incontro con il Signore Gesù!


(N. 7 – 23dic2018) I Colori della Liturgia.

I paramenti del sacerdote, come i veli che ricoprono l’ambone e orlano l’altare, cambiano di colore a seconda del periodo liturgico o della festività del giorno, come è indicato nello specchietto di seguito…


(N. 6 – 16dic2018) La Liturgia Eucaristica…

…si sta avviando verso la Comunione. Il sacerdote invita TUTTI i fedeli, quelli che facendo la comunione riceveranno Gesù e quelli che per diverse situazioni se ne asterranno, ad unirsi spiritualmente a Lui. Con l’ “Agnello di Dio", chiediamo ancora perdono a Colui che ha dato la sua vita a motivo dei nostri peccati per riconciliarci col Padre, riconoscendoci bisognosi di tutto questo e desiderosi della sua pace.

Mostrando ancora ai fedeli l’ostia sacra e spezzata (si ricorda così il Cristo crocifisso), il celebrante introduce le parole cariche di fede del centurione (uomo di per sé non appartenente al popolo eletto!) che tutti facciamo nostre: chi si trova nell’incertezza di poter accedere alla comunione (pur non avendo peccati gravi) affinché superi il suo senso di indegnità e aderisca con slancio all’invito di Gesù (non siamo noi che “facciamo" la comunione… è Gesù che si dona!); e chi vive situazioni di vita non compatibili con il senso profondo dei sacramenti (ai quali, per questo, non può accedere) affinché viva la comunione “spirituale" e invochi l’aiuto dall’alto per vivere con rettitudine la sua vita.

La processione verso la comunione, accompagnata dal canto e dal raccogliemento, resta l’immagine della Chiesa in cammino verso Cristo. Ancora un atto di fede viene richiesto nell’atto di ricevere l’Eucarestia (sulle mani ben aperte o direttamente in bocca): pronunciare la parola “Amen(="Si, è così, credo che questo è il Corpo di Cristo!"). La compostezza del momento, poi, impone che non si facciano inchini, che non si sposti la testa, che non si faccia uno scatto all’indietro, che ci si allontani dalla parte esterna della fila senza intralciare gli altri fedeli, che non si facciano svariati metri con l’ostia in mano prima di portarla alla bocca. Tornando al posto, ci si raccoglie in silenzio o ci si accorda con i canti di comunione o di ringraziamento. Normalmente, quello che fanno i ministri nel loro compito di riordinare l’altare o di riporre nel Tabernacolo le ostie avanzate, non dovrebbe interessare: ciascuno prega il Signore presente nel Sacramento e appena ricevuto nel proprio corpo.

Queste semplici raccomandazioni ci fanno concludere la terza parte della messa e ci fanno passare direttamente all’ultima: il Rito di Conclusione.

1. Qualche avviso aiuta a tenere il passo con gli appuntamenti della vita della comunità.

2. La preghiera conclusiva riprende il tema della liturgia ed esorta ad un rinnovato impegno nella vita.

3. La benedizione finale infonde l’incoraggiamento di Dio a perseverare senza indugi nella vita di fede.

4. Le parole di congedo e il canto finale sciolgono l’assemblea e ci ricordano che la messa, intesa come “incontro con Cristo" prosegue nella vita di ogni giorno, al di fuori della chiesa e al di là di tempi “riservati" per pregare Dio.

SE LA MESSA È STATA VISSUTA CON PARTECIPAZIONE E RACCOGLIMENTO,
se si sarà tenuto il telefonino spento…
se non ci si è distratti con pensieri inutili…
se non si è passato il tempo a chiacchierare…
se non si è passato tutto il tempo a guardare l’orologio…
SI USCIRÀ DALLA CHIESA MIGLIORI DI COME SI È ENTRATI,
PIÙ DISPONIBILI AD AMARE E SERVIRE DIO E IL PROSSIMO,
PIÙ RICCHI NELLO SPIRITO E RADIOSI IN VOLTO,
INTIMAMENTE CONVINTI CHE “SENZA LA MESSA NON È DOMENICA",
CHE SENZA LA MESSA IL CRISTIANO NON PUÒ STARE.




(N. 5 – 9dic2018) Proseguendo in questa terza parte della messa, la Liturgia Eucaristica…

…ci ha fatto appena rievocare il festoso ingresso di Gesù a Gerusalemme, tra i cori del “Santo".

Ora siamo nel Cenacolo, con gli Apostoli, accanto a Gesù, da Lui invitati a rivivere la sua Ultima Cena. Questa parte della messa è un’altra splendida invenzione del Signore: noi tutti duemila anni fa non eravamo presente nell’atto culminante della Storia della Salvezza. Ma QUELL’EVENTO, grazie alla liturgia, ci raggiunge nell’oggi: nella persona, per le mani e la voce del sacerdote, e grazie all’azione dello Spirito Santo vivo e operante nella vita della Chieda e nei Sacramenti, Gesù stesso cambia il pane e il vino nel suo vero corpo e nel suo vero sangue. Propriamente, non è una “trasformazione" del pane e del vino (dal momento che proprio la “forma" resta la stessa!): ma un “cambiamento della sostanza". Oh povertà del nostro linguaggio che ci fa dire in maniera imperfetta “pane e vino si trasformano in Gesù“…! Dovremmo imparare a dire che “si transustanziano in Gesù“…, ma capiamo che si tratta di un linguaggio un po’ difficile. L’importante, però, è che i fedeli piccoli e adulti con gli occhi della fede vedano e capiscano quello che avviene sull’altare. Gesù è qui!

E le parole della Preghiera Eucaristica ci invitano ad associarci al grande ringraziamento di Gesù al Padre per aver amato ciascun uomo nel crearlo libero e nell’averlo salvato da quel cattivo uso della sua stessa libertà che chiamiamo “peccato“. Da figli disobbedienti e bricconcelli quali siamo, meriteremmo solamente castighi e punizioni… e invece Lui ci perdona continuamente e pazientemente aspetta che lo riamiamo – finalmente, liberamente, convintamente – come Padre!

Il sacerdote invita a riconoscere tutto questo: è “Mistero della Fede!" e noi come assenso pieno rispondiamo insieme “Annunciamo la tua morte, Signore / proclamiamo la tua Resurrezione / nell’attesa della tua venuta!“.

Seguono preghiere per il papa, i vescovi, i sacerdoti e l’unità dei cristiani … il ricordo dei defunti … l’invocazione dei santi a protezione del nostro stesso cammino terreno verso il Regno dei Cieli.

Tutto viene riassunto nell’offerta che il sacerdote rivolge alzando il corpo e il calice con il sangue di Gesù, e insieme con Lui anche noi CI OFFRIAMO al Padre con un convinto “AMEN!“.

Il Padre Nostro e lo Scambio della Pace esprimono il nostro riconoscerci suoi Figli e fratelli tra di noi proprio grazie a Gesù.  (segue)


(N. 4 – 2dic2018) E siamo alla terza parte della messa: la Liturgia Eucaristica.

Mentre il ministro (sacerdote o diacono) stende sull’altare il “corporale" (=un quadrato di stoffa rigida che accoglierà i sacri vasi contenenti il Corpo di Cristo), dal centro o dal fondo della chiesa vengono portate le offerte: il pane e il vino da consacrare, il denaro o ceste di viveri per le necessità della chiesa e per i poveri, alcuni oggetti simbolici (che sarà bene accompagnare da una spiegazione) indicanti l’offerta spirituale dell’assemblea a seconda del tema del giorno o di un particolare periodo liturgico. Si abbia cura di distinguere ciò che è “offerto" a Dio, da ciò che è segno di qualcos’altro (un impegno, un atteggiamento che si vuole assumere, ecc…): ad esempio, il pallone portato all’altare non viene “offerto", dal momento che poi viene nuovamente adoperato per il gioco, ma viene indicato come simbolo di amicizia, di fraternità, di rispetto del prossimo, o altro. E lo stesso dicasi per un cartellone, una lampada, un mappamondo, lo zaino con i libri di scuola, e così via.
Comunque venga organizzata la processione offertoriale, in questo momento della messa ciascun fedele, interiormente, offre e depone ai piedi dell’altare la sua stessa vita: le proprie opere buone, le proprie sofferenze, qualche preoccupazione, qualche sacrificio accettato come penitenza o come atto di amore per il prossimo… Nulla di ciò che si sta vivendo è estraneo né di poco conto agli occhi di Dio! Raccogliersi in preghiera e unire la propria vita all’offerta che Gesù fa di se stesso al Padre fa pienamente parte del significato profondo della messa e di una partecipazione viva, intensa e fruttuosa.

Oltre al vino, il sacerdote lascia cadere nel calice alcune goccioline d’acqua, accompagnando il gesto dalle parole sottovoce
L’acqua unita al vino sia segno della nostra unione
con la vita divina di colui
che ha voluto assumere la nostra natura umana
“.
   San Cipriano di Cartagine (III sec.) in una delle sue lettere, indirizzata a Cecilio, legge in questo gesto la mescolanza dell’umanità con il Cristo:
Se qualcuno offrisse solo vino,
il sangue di Cristo inizierebbe a essere senza di noi.
Se invece ci fosse solo acqua,
allora il popolo inizierebbe a essere senza Cristo
” (Epistola 63,13).
Anche san Tommaso D’Aquino (XIII sec.) nella Summa theologiae difende quest’uso, dandovi quattro ragioni differenti, tra cui quella di significare l’unione del popolo cristiano con Cristo.

Con la Preghiera sopra le offerte, il sacerdote invita l’assemblea a vivere con fede la fase successiva della messa: la grande preghiera eucaristica. (segue)


(N. 3 – 25nov2018) La seconda parte della messa (Liturgia della Parola) prevede, ancora:

(oltre a: 1. l’ascolto della Parola di Dio
2. la spiegazione da parte del celebrante, comunemente detta “omelia“, già trattati…)

3. la recita del Credo
4. le Preghiere dei Fedeli.

Alla Parola di Dio proclamata, ascoltata, spiegata, applicata alla vita e accolta come dono di Dio in persona, segue qualche istante di SILENZIO. Questo tipo di pause meditative tra un momento e un altro della messa, normalmente, non devono essere vissute con disagio, perplessità, incertezza… come se stesse accadendo qualcosa di strano o qualcuno si fosse dimenticato qualcosa di necessario e vi si stesse provvedendo… No! Le pause sono utilissime per l’interiorizzazione di quanto si sta vivendo o di una parola che ha colpito particolarmente. Così è dopo l’omelia del celebrante.
– La prima risposta dell’assemblea al Signore è, così, la proclamazione della nostra fede: di domenica in domenica ci ricordiamo e rafforziamo la convinzione nelle verità contenute nel CREDO. A seconda del periodo liturgico o del tipo di celebrazione, il Credo può essere espresso nella formula (abituale) del Simbolo Niceno-Costantinopolitano, oppure in quella del Simbolo degli Apostoli (più breve), o ancora mediante la formula interrogativa delle Promesse Battesimali (pag. 180 del Messale Romano).
– La seconda risposta è poi la serie di PREGHIERE DEI FEDELI, lette solitamente dal foglietto ufficiale dell’assemblea, oppure (meglio!) preparate dal Gruppo Liturgico parrocchiale o a turno dai vari gruppi, associazioni o movimenti incaricati di animare la liturgia. Solitamente la prima di queste preghiere è espressa a beneficio della Chiesa universale, la seconda è formulata per varie categorie del genere umano (governanti, nazioni, fedeli di altre religioni, professioni varie, ecc…), le altre  considerano situazioni contingenti, del posto o di ricorrenze particolari, alla luce degli spunti e dei temi offerti dal Vangelo. Ci si ricordi però che oltre alle preghiere che vengono “lette", anche Dio legge nei nostri cuori le preghiere che ci portiamo dentro, per il prossimo, per le persone che ci sono care, per i defunti che amiamo ricordare e anche per le nostre necessità. Sarà dunque bene che il celebrante riservi degli istanti di silenzio prima di riassumere tutto nell’orazione conclusiva. Il canto di offertorio chiude la Liturgia della Parola e introduce la Liturgia Eucaristica. (segue)


(N. 2 – 18nov2018) La seconda parte della messa prevede:

1. l’ascolto della Parola di Dio
2. la spiegazione da parte del celebrante, comunemente detta “omelia"
3. la recita del Credo
4. le Preghiere dei fedeli.

Soffermandoci questa domenica sui primi due punti, va detto che l’assemblea deve prestare la massima attenzione a ciò che viene letto: non sono puri e semplici modi di dire, o fatti e fatterelli del passato… è Dio che ci parlaè la Storia della Salvezza che ci raggiunge nell’oggi! sono le opere di Dio compiute nel tempo attraverso il popolo eletto e giunte a compimento nel dono del Messia atteso che ha rivelato il volto di Dio, che ha realizzato la salvezza dell’uomo, che ha rivelato all’umanità il suo destino eterno!

Tutto ciò non può e non deve trovarci ascoltatori annoiati, distratti, frettolosi… E tutta l’assemblea deve favorire l’ascolto attento (lettori ben preparati, pause di silenzio tra una lettura e l’altra, microfoni funzionanti e senza interferenze fastidiose, ecc…) e ridurre al minimo i fattori di distrazione (rumori di ogni genere, cigolii di porte, inginocchiatoi ribaltabili, sedie che si spostano, persone che vanno e vengono, squilli di cellulare, ecc…).

Nel libro del profeta Amos la Parola di Dio è paragonata ad un ruggito: «Il Signore ruggisce da Sion e da Gerusalemme fa udire la sua voce» (Am 1,2). Questo ruggito è una vera e propria manifestazione di Dio, come la voce del tuono: «Ruggisce il leone: chi non trema? Il Signore ha parlato: chi può non profetare?» (Am 3,8). Così, l’assemblea deve accogliere la proclamazione delle Sacre Scritture come il dono che Dio ci fa oggi, nel contesto storico e personale che stiamo vivendo adesso: qui ed oggi Dio ci parla, Dio mi parla. E a ben guardare, ad ogni partecipazione attenta alla messa vi è sempre almeno una frase, una parola, un’espressione, un dialogo, un insegnamento… che viene a nutrire la mia, la nostra vita spirituale; che viene a consolarmi da una pena; che mi è di stimolo per la mia fede; che illumina la mia situazione di coscienza e i rapporti col prossimo; che mi fa apprezzare di più il fascino della persona di Gesù. Ed ha il potere di renderci migliori e di accrescere la nostra amicizia con Dio!

Solitamente il Vangelo è collegato, richiamato o preparato dalla Prima lettura, che è tratta dall’Antico Testamento e alla quale l’assemblea esprime il suo assenso mediante i versetti del Salmo, detto appunto “responsoriale", cioè “di risposta" a quanto ascoltato; la Seconda lettura (presa dalle Lettere apostoliche, o dagli Atti degli Apostoli o dal Libro dell’Apocalisse), invece, non è necessariamente collegata al tema della domenica.

Al sacerdote, poi, il compito di spiegare le letture, di attualizzare la Parola di Dio, di sviluppare il tema del giorno, facilitando l’applicazione alla vita che ciascuno farà da parte sua. E di farlo in tempi ragionevolmente contenuti, con un linguaggio comprensibile e capace di far presa sull’uditorio, con un tono per lo più esortativo e mai colpevolizzante, senza pensare di sostituirsi all’azione dello Spirito di Dio che parla ai cuori. L’omelia va preparata, e non improvvisata sul momento come attingendo ad un repertorio. Va pregata e meditata già lungo la settimana. E i contenuti, gli esempi, i modi vanno calibrati alla tipologia di assemblea che si ha davanti.

Per quanto importante (se non addirittura strategico, in ottica di una pastorale ben curata!), tuttavia da parte dei fedeli questo momento della messa costituisce un elemento accessorio e non essenziale del proprio personale incontro con Gesù nell’Eucarestia. Il fedele dalla spiritualità matura benedirà in cuor suo il Signore per un’omelia gradevole, interessante, ben fatta, ricca di spunti utili… E saprà anche offrirla come forma di penitenza se l’avrà trovata lunga, noiosa e inconcludente…! (segue)



(N. 1) Da questa domenica 11 novembre 2018 (32a del Tempo Ordinario “B") in due riquadri per volta, proponiamo una semplice presentazione delle parti della messa e del loro significato (utile anche per giovani e adulti!). Buona catechesi!

PRESENTAZIONE GENERALE
Non siamo noi che “andiamo a messa": è Gesù stesso che ci rivolge l’invito di prender parte alla sua Ultima Cena, e lo fa attraverso la persona del Sacerdote che “gli presta" gesti e voce. Gesù vuole associarci alla sua grande preghiera di ringraziamento che rivolge al Padre, affinché pure noi diventiamo più simili a Lui nell’ascolto della sua Parola e nell’offerta di noi stessi a Dio e al prossimo. Per questo la messa è il luogo privilegiato per il nostro personale incontro con Gesù vissuto nella fede.

La “messa" o Celebrazione dell’Eucaristia si compone di QUATTRO PARTI (a loro volta comprendenti diversi momenti):
I. i Riti di Introduzione
II. la Liturgia della Parola
III. la Liturgia Eucaristica
IV. i Riti di Conclusione

Fanno parte dei riti introduttivi:
1. il Canto Iniziale (scelto solitamente in modo da dare il tono generale al tema della domenica);
2. il Saluto del Celebrante, (che dopo il Segno della Croce(*) saluta ed esorta i fedeli alla partecipazione viva e attenta);
3. l’Atto Penitenziale (che, se vissuto con la giusta devozione, comporta la remissione dei peccati veniali: tale remissione non è “automatica", perché frequentemente lo si compie con totale distrazione… ma se si partecipa con le dovute disposizioni, tutta la Messa produce come effetto la remissione dei peccati veniali – Catechismo della Chiesa Cattolica n. 1394 – pur restando vivamente raccomandato, anche per questa remissione, accostarsi al Sacramento della Riconciliazione);
4. il canto o la declamazione dell’Inno di Gloria;
5. la Preghiera di Colletta, che raccorda gli animi di ciascun fedele con lo spirito generale dell’Assemblea, e conclude la parte iniziale della messa richiamandone il tema portante.

È anche bene che i lettori della Parola di Dio (o, prima di essi, quelli delle introduzioni) attendano alcuni secondi prima di cominciare, in modo che tutti si siano seduti e non ci siano rumori che pregiudichino o impediscano un ascolto attento.

(*) Il Segno di Croce (mano sinistra sul petto)
 Nel nome del Padre… (ci tocchiamo il capo perché Lui è in alto, è colui che ci ha creati. Ed è il centro dei nostri pensieri e della nostra intelligenza.)
• e del Figlio… (mettiamo la mano sul cuore perché Gesù ci ha amati talmente tanto da dare la sua vita per noi. Si è incarnato, è morto e risorto per la nostra salvezza)
• e dello Spirito Santo… (la nostra mano tocca le spalle perché lo Spirito Santo, il dono di Gesù risorto per noi, rappresenta l’abbraccio di Dio)

► da una catechesi di papa Francesco, all’Udienza Generale del 18 aprile 2018. (segue)