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3. Commento alle Letture – 25ª DOMENICA T.O.

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25ª DOMENICA T.O.
AMMINISTRARE I BENI DI DIO

Nella lettera a Timoteo san Paolo afferma che «[Dio] vuole che tutti gli uomini siano salvati e giungano alla conoscenza della verità» (1Tm 2,4) e che la realizzazione della sua volontà avviene per mezzo del Figlio, «il mediatore fra Dio e gli uomini, l’uomo Cristo Gesù, che ha dato se stesso in riscatto per tutti» (1 Tm 2,5). Al realizzarsi della salvezza, però, non è indifferente la libera scelta dell’uomo. Perché, anche se Dio desidera che ogni uomo si salvi, egli non vuole violare la sua libertà.
Nessuno è costretto alla salvezza. Per questo è necessaria la libera scelta di aderire e corrispondere alla volontà di Dio. Nel momento in cui si sceglie di aprirsi alla salvezza diventa necessità interiore approntare gli strumenti: identificare le priorità della propria vita e disporle in ordine d’importanza in relazione al fine che si desidera. È necessario, inoltre, individuare i mezzi più opportuni per vivere quelle priorità, siano esse valori o tappe del percorso spirituale.

L’esemplarità dell’amministratore disonesto
Questo procedimento richiede degli atteggiamenti che consentono di perseguire più sicuramente il fine. Ed è quanto Gesù loda nell’amministratore disonesto, che rimane disonesto, e l’aggettivo stesso lo giudica, ma, in ordine all’obiettivo che persegue, mostra una serie di caratteristiche che, queste sì, possono essere esemplari per chi cerca la salvezza.
Egli, infatti, comprendendo che la situazione per lui si è fatta critica, agisce con rapidità; con prudenza, secondo la definizione classica di adeguamento dei mezzi al conseguimento di un fine; con decisione e scaltrezza. C’è una certa grandezza umana in quest’uomo, ovviamente tralasciando il fine. Chi si dedica a fini migliori, qual è la salvezza della propria e dell’altrui anima, è capace di altrettanta grandezza?
Anche dall’aspetto negativo di quest’uomo si può imparare. Egli è un amministratore, cioè uno che gestisce beni che appartengono a un altro, il vero proprietario. Egli deve rendere conto della sua amministrazione, perché teoricamente, cioè non nel suo caso, il suo lavoro consiste nel ben amministrare i beni del vero proprietario e infine consegnarglieli.
L’amministratore è il prototipo di ogni uomo. Il mondo, in tutta la sua interezza, è affidato all’uomo perché ne abbia cura. Delle cose del mondo gli uomini non sono padroni, bensì amministratori. L’uso di quanto è stato loro affidato può essere d’aiuto o di ostacolo alla loro salvezza.
Le realtà del mondo, infatti, di per sé neutre, possono rivelarsi vischiose se vissute senza la necessaria sapienza. Se vissute in modo insipiente possono diventare addirittura occasione di perdizione e di condanna.

La denuncia del profeta Amos
Così accadeva ai tempi del profeta Amos. Il Regno del nord si stava stabilizzando e si prospettava una certa abbondanza economica. Nulla di malvagio in sé. Il positivo, però, era accompagnato dalla deriva inaccettabile della sopraffazione del povero e dello sgretolamento morale e religioso degli israeliti. In questo contesto si colloca la predicazione del profeta. Egli accusa i suoi connazionali (cf Am 8,4); smaschera la loro insofferenza per i precetti religiosi, vissuti come impedimento a perpetrare le loro lucrose e disoneste attività; infine annuncia il severo monito di Dio (cf Am 8,7).
Sottotraccia, nel discorso di Amos, c’è la preoccupazione tipica dei profeti per la rottura del rapporto di reciprocità fra religione e relazioni umane, personali e sociali. Una reciprocità che non significa sovrapposizione o sostituzione, bensì continuità, dove l’agire concreto è motivato ed è manifestazione della fedeltà a Dio. Infrangere questa reciprocità porta a una religiosità vissuta come pura forma, accompagnata dalla malvagità nelle relazioni personali e sociali.

La fedeltà premiata
Il richiamo all’onestà, alla difesa del povero, al lecito guadagno è per il credente l’esito richiesto e necessario perché la fede non sia pura apparenza. Per poco o per molto tutti siamo amministratori. È una buona pedagogia alla responsabilità, dunque, quella del Vangelo: «Chi è fedele in cose di poco conto, è fedele anche in cose importanti; e chi è disonesto in cose di poco conto, è disonesto anche in cose importanti» (Lc 16,10).