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3. Commento alle Letture – 15ª DOMENICA T.O.

10  LUGLIO
15ª DOMENICA T.O.
FARSI PROSSIMI A IMMAGINE DI DIO

La conversione è un’esperienza di mutamento e di sviluppo. Di essa si può parlare in molteplici modi, corrispondenti alle molteplici esperienze di conversione possibili. Essa, infatti, può essere il passaggio dalla non fede alla fede. Oppure dal male al bene. O ancora la conversione dal bene al meglio. Infine, nell’esperienza del credente, la conversione si configura come il passaggio dalla fede considerata come un complesso di dottrine da conoscere alla fede vissuta. Ovvero: il passaggio dal fare teologia all’esistenza teologica. Fa teologia chi s’interroga sulla propria esperienza di fede e su Dio. Vive un’esistenza teologica chi incarna quelle riflessioni nella propria vita.

La domanda del dottore della Legge
Quando il dottore della Legge si rivolge a Gesù è animato da un vero desiderio di vita eterna (cf Lc 10,25). La domanda posta, indipendentemente da eventuali intenzioni impure, è di schietta natura religiosa.
Gesù comincia il suo insegnamento innanzi tutto riorientando il discorso, e lo fa ponendo a sua volta una domanda (cf Lc 10,26). La soluzione è nella Legge stessa. Il dottore della legge, infatti, cita due passi dell’Antico Testamento, connettendoli nel giusto ordine (cf Lc 10,27). È chiaro che conosce la Scrittura, che sa la risposta giusta. Il difetto non sta nella non conoscenza teorica (cf Lc 10,28). Ciò che manca è detto nella seconda parte della replica di Gesù: «fa’ questo e vivrai» (Lc 10,28).
Tutto il brano di vangelo di questa domenica si regge sul verbo «fare» (cf anche Lc 10,37). Tutto il brano è un invito a passare dalla teoria alla prassi che renda la teoria concretezza; dal fare teologia al vivere un’esistenza teologica.

Chi è il mio prossimo
Luca dice che, «volendo giustificarsi» (Lc 10,29), il dottore della Legge replica chiedendo chi sia il suo prossimo. La domanda è originata dal modo della casistica giudaica, per cui si cercavano progressive definizioni e delimitazioni della prossimità. Trovando la risposta a essa si chiariscono i termini che rendono possibile la fedeltà alla Legge. Il pio dottore, però, pone la questione su un piano teorico, di definizioni e deduzioni. E il prossimo non è mai un caso che si adegui o no a una definizione. Il prossimo è sempre e solo un volto.

Il buon Samaritano
La questione riguardo il prossimo offre l’occasione per la narrazione della parabola. In essa sono protagonisti un uomo, anonimo; un sacerdote e un levita; un Samaritano. È proprio lui, quello da cui meno te lo aspetti, che è disponibile a lasciarsi toccare dalla situazione di uno sconosciuto, di un estraneo.
Per il sacerdote e il levita, il culto, svuotato del suo senso di essere espressione della vita, diventa alibi per chiudersi all’amore che quello stesso culto dovrebbe significare. Invece il Samaritano si muove a compassione. È lui che pone azioni di misericordia concrete, generose, disinteressate e libere, perché non vincolate da pregiudizi e precetti. Come Gesù, che si fece prossimo a ogni uomo, giusto o ingiusto, santo o peccatore, amico o nemico.
Il Samaritano è attento non a sé o alle proprie preoccupazioni, bensì allo stato di necessità dell’uomo. È qui il primo ribaltamento della parabola. L’attenzione non va all’inquadramento di chiunque in una determinata categoria, bensì alla sua situazione e ai suoi bisogni. Il che consente di definire il prossimo non in quanto mi è prossimo, ma in quanto io mi ci faccio prossimo. Il prossimo non è definito da una teoria, ma da un appello alla mia misericordia. E questo è il secondo ribaltamento operato dalla parabola.

Dalla teoria alla prassi
La conclusione del discorso sta in due verbi: «vai» e «fai». È un appello a passare dalla teoria alla prassi, un invito alla misericordia che non si può mai far scaturire da una norma, bensì da un cuore disponibile e convertito.
Il fondamento di tutto il discorso altro non è che la misericordia di Dio stesso. Questo fondamento viene rivelato in Cristo. È lui, dice san Paolo, l’«immagine del Dio invisibile» (Col, 1,15). Gesù, Dio incarnato, vero buon Samaritano, rivela cosa significhi per Dio stesso porre attenzione ai bisogni del prossimo. Gesù mostra il significato di una prossimità universale. Gesù mostra l’estensione illimitata della libertà dell’accoglienza di Dio.