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3. Commento alle Letture – 3ª domenica di Pasqua anno C

1 maggio 2022

3ª DOMENICA DI PASQUA
(Giornata nazionale per l’Università Cattolica del Sacro Cuore)
RICONOSCERE IL RISORTO

Si può legittimamente pensare che in seguito alle prime apparizioni del Risorto narrate precedentemente, la situazione dei discepoli non sia quella della totale non fede, piuttosto quella in cui si dà la necessità di comprendere il significato della risurrezione per le loro esistenze. Anche oggi per chi legge si tratta di cogliere il messaggio relativo alla rilevanza esistenziale della risurrezione.

L’iniziativa di Pietro
Giovanni indica sette nomi di presenti (cf Gv 21,2). Pietro dice: «Io vado a pescare» (Gv 21,3). Splendida assunzione d’iniziativa e di responsabilità da parte di colui che è già riconosciuto come il leader della piccola comunità dei discepoli. Proposta che riesce subito a suscitare la collaborazione degli altri che così diventano cooperatori nell’azione del leader.
Tuttavia, è una proposta che fa cadere l’accento sull’«io», e ne fa così un’azione autoreferenziale. L’assenza di Gesù, la mancanza del Risorto è evidenziata dall’indicazione cronologica, il cui valore è simbolico: era notte. Mancando Gesù, la «luce del mondo» (Gv 8,12), intorno ai discepoli non può che essere tenebra. E la conclusione di questa iniziativa umana, ma solo umana, è il fallimento (cf Gv 21,3). È una situazione di stallo e d’insuccesso che non può portare altro che alla frustrazione. L’assenza del Risorto nella vita dei discepoli non comporta esistenze bloccate: sono impegnati, attivi, volenterosi. Tuttavia sono esistenze nella notte, esistenze che scorrono opacizzate e infeconde.

La rilevanza esistenziale della risurrezione
La svolta avviene allorché il Risorto si presenta sulla riva «quando già era l’alba» (Gv 21,4). È una presenza che trasforma la situazione. Nonostante i segni di ciò è una presenza che i discepoli in un primo momento non riconoscono. È però la sua presenza che determina il passaggio dalle tenebre alla luce, dalla pesca infruttuosa a quella abbondante, dall’esistenza infeconda a quella feconda.
Ciò impone una considerazione anche a livello ecclesiale, e non solo a quello personale. Tante attività, iniziative, proposte e sforzi delle nostre comunità rimangono sostanzialmente sterili. Se l’azione ecclesiale non è fecondata dalla preghiera che crea intimità col Risorto, si faranno anche cose ben fatte, condotte in modo encomiabile, ma esse rimarranno sterili. L’evangelizzazione non
«funziona» se non è irrorata dalla vita mistica. La parte centrale del racconto, infatti, consiste nel riconoscimento di Gesù. È il discepolo che Gesù amava che per primo ha l’intuizione dell’amore. L’amante riconosce subito l’amato, l’amore ha immediatamente l’intuito per l’amato.

Gettare le reti sulla parola del Signore
Quando il discepolo amato dice a Pietro «è il Signore» (Gv 21,7) egli si getta nel mare per raggiungerlo. Il mare, nella Bibbia è luogo del caos, infido e spesso ostile. Si possono dare due linee di interpretazione, ma che convergono. Il mare è l’acqua del battesimo nella quale il discepolo si immerge e, morendo con Cristo, riemerge alla sua risurrezione. Ma anche, seconda linea, il mare è la sfida del male e del caos, del pericolo e della sofferenza, perfetta immagine per dire gli aspetti negativi del nostro quotidiano, e in cui tuttavia Pietro si immerge e nuota per raggiungere il Risorto. Le due linee convergono. Il cammino del discepolo verso il Signore risorto si fa nella vita concreta, vissuta secondo una dinamica battesimale.
Questo può voler dire, concretamente, molte cose. Oggi una in particolare. I discepoli del vangelo gettano le reti in obbedienza a una parola del Signore e così la loro pesca diventa fruttuosa. Pietro di fronte al sinedrio (prima lettura) risponde che «Bisogna obbedire a Dio invece che agli uomini» (At 5,29). La vita del battezzato è vita in obbedienza alla parola del Signore, l’unica via per rendere la vita feconda, ma anche affermazione di libertà rispetto ai potentati umani che sempre cercano di costringere la libertà di coscienza. Risposta concreta al primo di tutti i comandamenti: «Non avrai altro Dio all’infuori di me». Così la fede nel Risorto, incontrato nell’ordinario della vita, diventa quotidianamente operativa.