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3. Annunciare la Parola – 18 aprile 2021


18 aprile

3ª DOMENICA DI PASQUA

Guardate le mie mani e i miei piedi, sono proprio io!

PER RIFLETTERE E MEDITARE

Siamo riportati nel clima di quella giornata straordinaria che è la domenica della Pasqua di Gesù. Due discepoli abbandonano sfiduciati Gerusalemme. Gli un­dici apostoli si ritrovano insieme pieni di paura e par­lano di quello che sta capitando. Che cosa rimane della loro esperienza apostolica, di quella piccola comunità che per alcuni anni si è costruita attorno a Gesù? Quegli uomini non erano preparati alla sconfitta del messia. Sono sconvolti e amareggiati, non comprendono più nulla. Fu forse questo lo stato d’animo di Giuda, che ha lentamente preparato il tradimento, non comprendendo il significato della tragedia che si stava tramando at­torno a Gesù.

Gesù in mezzo a loro
Ma Gesù non li abbandona proprio ora. Ha tante volte parlato di perdono, di amore disinteressato, di fiducia misericordiosa in chi ha sbagliato e ora ne dà l’esem­pio. La Pasqua è davvero il vertice della rivelazione dell’amore mise­ricordioso di Dio. Accetta la sfida di Tommaso e degli apostoli, dei discepoli di Emmaus, che non vogliono o non riescono ad aprirsi alla fede: «Toccatemi, datemi da mangiare…», e spiega loro il senso delle scritture.
Con grande pazienza, ma anche con una chiarezza a cui gli apostoli non erano del tutto abi­tuati prima della Pasqua, Gesù svela il senso di ciò che ha vissuto e in quale esperienza sconvolgente gli apo­stoli sono stati coinvolti. Spiega loro le scritture, le profezie. È una vera catechesi esplicita, un completamento della sua ope­ra, in modo che quelli che sono stati chiamati ad annun­ciare il Vangelo siano pienamente consapevoli del piano di salvezza di Dio sul mondo.
Gli apostoli, che anche di fronte alla testimonianza delle donne e alla visione della tomba vuota sono stati presi dallo stupore e dalla paura, non riuscendo a credere di poter avere di fronte real­mente l’uomo che è stato crocifisso, ora davanti a Gesù che mostra loro le sue ferite vengono presi finalmente da una gioia profonda.
Sulla croce Gesù ha gridato: «Tutto è compiuto». In realtà la sua missione ha un seguito in quest’opera di ricupero degli apostoli.
La testimonianza più convincente dell’avvenuta trasformazione degli apostoli la offre proprio Pietro (prima lettura), che vediamo così convinto e coraggioso, profondamente cambiato. Accusa apertamente gli ebrei e li invita alla penitenza, alla conversione, al cambiamento del cuore.

La sorpresa di rivederlo vivo
In un solo capitolo (il 24) Luca riassume, come fanno Matteo e Marco, tutte le apparizioni del risorto. È curioso che gli evangelisti diano tanto spazio alla passione e alla morte di Gesù e così poco alle apparizioni del Risorto. Probabilmente le sofferenze di Gesù erano rimaste molto impresse nel loro animo, lasciando in loro non pochi sensi di colpa, mentre gli episodi della risurrezione li hanno vissuti in prima persona ed erano oggetto della loro quotidiana testimonianza.
Siamo colpiti da come i fatti della risurrezione vengono vissuti e raccontati e anche come li accolgono gli apostoli e le donne. Nell’insieme, essi non credono, sono pieni di dubbi e hanno paura. È consolante la fatica che gli apostoli hanno fatto nel credere al ritorno in vita del Crocifisso. Gesù li ha colti assolutamente di sorpresa.
Gesù si presenta loro nelle sembianze di un ortolano, di un viandante, viene scambiato per un fantasma, si presenta loro mentre pescano e non viene riconosciuto. Ecco, Gesù dopo la risurrezione appare trasfigurato, ma non ancora glorioso. Si presenta ancora in forma pienamente umana e chiede a loro qualcosa da mangiare, si lascia toccare le mani e il costato da Tommaso.
Questi sono elementi importanti per coloro che dicono che la risurrezione di Gesù è frutto di suggestione collettiva degli apostoli e delle donne. Com’è possibile che persone che erano entrate profondamente in crisi, pieni di paura e di dubbi, abbiano poi potuto inventare il fatto che Gesù si sia ripresentato vivo?

 Diventare testimoni
Ad apostoli dubbiosi e paurosi, Gesù riaffida la missione di essere suoi testimoni nel mondo. La missione di essere testimoni della risurrezione di Gesù rimane una costante nella Chiesa di ogni tempo. È una missione semplice e nello stesso tempo più coinvolgente di ogni altra. Perché non si tratta tanto di trasmettere notizie o cose scritte, quanto di presentare se stessi come presenza viva, un’esperienza personale vissuta. «Quello che noi abbiamo udito, quello che abbiamo veduto con i nostri occhi, quello che contemplammo e che le nostre mani toccarono… di ciò diamo testimonianza e lo annunciamo anche a voi» (1Gv 1,1-3). Testimoniare vuol dire raccontare ciò da cui siamo stati afferrati e convinti, ciò che anima la nostra fede  e le nostre scelte.
«Diventare testimoni: non tanto per convincere, quanto per essere segno. Infatti essere testimoni non è fare propaganda o fare qualcosa di misterioso: È vivere in modo tale che la propria vita sia inspiegabile, se Dio non esiste» (card. Suhard).
Ogni cristiano che sia approdato seriamente alla fede, potrebbe raccontare che all’origine del suo incontro con Cristo c’è stato un testimone che gli ha trasmesso un modello di vita che lo ha spinto alla conversione, dei gesti di amore e di accoglienza che gli hanno fatto capire la verità che porta con sé la proposta cristiana. Diventare testimoni è un impegno che coinvolge tutti, sacerdoti, consacrati e laici.

UN FATTO – UNA TESTIMONIANZA

«Sia Maria, sia i discepoli di Emmaus e addirittura gli apostoli non lo riconoscono quando lui si ripresenta vivo. L’evento pasquale incide nella storia, ma è, nella sua sostanza, soprannaturale, misterioso, trascendente. Per avere il “riconoscimento” del Cristo risorto non basta aver avuto una conoscenza storica, camminando con lui sulle strade palestinesi, ascoltandolo mentre parlava nelle piazze o si cenava insieme. È necessario avere un canale di conoscenza o di comprensione superiore, quello della fede: allora Cristo si rivela vivo e presente nella storia che continua» (Gianfranco Ravasi).