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3. Annunciare la Parola – 27 settembre 2020


27 settembre
26ª DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

Dire con gioia di «sì» a Dio


PER RIFLETTERE E MEDITARE

Il capitolo 21 di Matteo racconta l’ingresso di Gesù in Gerusalemme, osannato dalla folla, e il suo gesto polemico nei confronti dei venditori del tempio, che ne hanno fatto un «covo di ladri». È in questo contesto che i capi dei sacerdoti e gli anziani del popolo gli domandano: «Con quale autorità fai queste cose? E chi ti ha dato questa autorità?». Al posto di rispondere, Gesù fa anche lui una domanda: «Il battesimo di Giovanni da dove veniva? Dal cielo o dagli uomini?» (Mt 21,25). Ma essi si rifiutano di rispondere e Gesù racconta a loro la parabola semplice ed efficacissima dei due fratelli.

Una parabola per provocare
«Che ve ne pare?», domanda Gesù. E la domanda da una parte può esprimere la volontà di Gesù di coinvolgere gli interlocutori nel ragionamento, ma può avere il sapore di una sfida. «È così logico il ragionamento», pare dire Gesù. Per questo la parabola appare anche provocatoria nella sua semplicità e chiarezza. Infatti a un primo ascolto sembra quasi banale nella sua semplicità, e le conclusioni portate da Gesù si direbbero addirittura sproporzionate. Ma la parabola va letta tenendo presenti le due parabole che seguono e che proclameremo nelle prossime domeniche: quella dei servi omicidi e quella dell’indisponibilità a partecipare al banchetto delle nozze regali. È infatti in gioco il rifiuto della classe dirigente israeliana di accogliere il Salvatore. Gesù senza mezzi termini non la giustifica e dice: «Alla parola del Battista non avete creduto e non vi siete pentiti». E li provoca, affermando che invece i grandi peccatori pubblici si sono aperti alla sua testimonianza. Per questo passano avanti a loro nel regno di Dio.

Nella nostra comunità oggi
«Non ho voglia», «Non me la sento», «Non tocca a me», «Perché dovrei farlo io?» sono le espressioni più gettonate dai giovani, ma non solo da loro. Il farsi i fatti propri è uno dei mestieri più diffusi nella nostra società. Siamo svogliati, lenti di fronte all’impegno di costruire il regno di Dio, di realizzare almeno un poco ciò che il Signore ci suggerisce e ci invita a fare. Non abbiamo la fretta, la passione di chi deve annunciare una notizia importante, che non si può tenere dentro.
È possibile anche oggi trovare nelle nostre comunità gli atteggiamenti di questi due fratelli. Quello del diplomatico astuto, che non vuole sfigurare e dice di sì, ma poi si defila; e chi trova difficile obbedire, tirare sempre la carretta per primo, e cerca di sottrarsi a una nuova proposta o a un nuovo incarico, ma alla fine accetta di impegnarsi, come fa sempre.
Eppure c’è un’umanità che aspetta, ci sono fratelli che non sanno perché vivono e sono senza speranza. Se accogliamo l’invito a lavorare nella vigna del Signore, possiamo dire a loro con la nostra vita e le nostre parole che c’è un Padre che dà senso pieno a ciò che facciamo, che è bello vivere.
Il primo figlio è rappresentato, come dicevamo, dalla gente che conta in Israele, dagli uomini-guida, dai capi del sinedrio e della sinagoga. Il secondo rappresenta la gente esclusa: i poveri materialmente, gli ammalati, ma soprattutto i peccatori, gli esclusi dalla salvezza: l’esattore Zaccheo, l’adultera, la prostituta…
Gesù conosce i cuori e sa che questi ultimi, i lontani, hanno tante giustificazioni: l’educazione ricevuta, le circostanze, gli amici, i condizionamenti.
Di fatto, la salvezza viene donata a tutti, ma i secondi l’accolgono, gli altri no: sono diffidenti, guardinghi. Gesù si presenta fuori dal sistema, poco rispettoso delle loro tradizioni. Soprattutto è un uomo libero.
È bellissimo però pensare, come fa capire la parabola, che qualunque sia stata finora la nostra risposta agli inviti di Dio, è sempre possibile cambiare, rispondere di sì e convertirsi, anche se a volte ci vuole un attimo di riflessione in più per decidersi.

Un terzo e un quarto figlio?
È molto curioso ciò che scrive Alessandro Pronzato a proposito di questa parabola. Lui ipotizza un «terzo figlio», quello che – quando il padre lo invita a lavorare nella vigna – lo costringe a discutere a lungo sul modo migliore di coltivare la vigna o per individuare gli errori nella coltivazione… E al padre che dice: «Va bene, figlio mio, ma adesso dimmi: sei disposto a darmi una mano?», il figlio risponde: «Vedi che tenti sempre di eludere i problemi? Va sempre a finire così con te…». E così di seguito, continuando a discutere e a progettare. E la vigna aspetta.
Ma Pronzato non si ferma e nella sua originalità ipotizza anche un «quarto figlio», quello che accetta ogni giorno di tirare il carretto senza parlare, il figlio che va alla vigna senza nemmeno bisogno di dire un «sì» o un «no». Al padre è sufficiente un cenno perché lui capisca al volo e parta in silenzio, al lavoro come sempre. Un giovane «mulo» che potrebbe apparire poco simpatico nella sua muta obbedienza. Ma si sa che il mondo è pieno di questa gente silenziosa che manda avanti il mondo.
Detto nel modo più rispettoso, Gesù rientra proprio in questa ultima categoria. Lui che si è fatto uomo, condividendo fino in fondo la nostra condizione di uomini e si è fatto obbediente al Padre. Lui che ha detto davvero un «sì» pieno, senza alcuna riserva, pienamente fedele (2ª lettura).

UN FATTO – UNA TESTIMONIANZA
«Non l’uomo che si chiude in sé è uomo completo, ma l’uomo che si apre, che esce da se stesso, diventa completo e trova se stesso… Adamo (e Adamo siamo noi stessi) pensava che il “no” fosse l’apice della libertà. Solo chi può dire “no” sarebbe realmente libero… Invece solo nel “sì” l’uomo diventa realmente se stesso; solo nella unificazione della sua volontà con la volontà divina, l’uomo diventa immensamente aperto, diventa “divino”. Essere come Dio era il desiderio di Adamo, cioè essere completamente libero. Ma non è divino, non è completamente libero l’uomo che si chiude in se stesso; lo è uscendo da sé, è nel “sì” che diventa libero» (Benedetto XVI).