GIORNATA DELLA PACE
Celebrando il Natale di Gesù, abbiamo salutato in lui il “Principe della pace”. Sulla grotta di Betlemme gli angeli hanno cantato: “Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama”. Giunge quanto mai opportuno l’appello che il Papa ci rivolge in questo giorno, primo del nuovo anno, a meditare sulla pace, pregare per la pace, farci operatori di pace.
“La pace di Cristo regni nei vostri cuori”
È un augurio ed è un’esortazione che Paolo rivolge ai Colossesi, proponendo loro un programma di vita cristiana che dev’essere la risposta al disegno di salvezza che l’apostolo ha invitato a contemplare nella prima parte della lettera. Cosa dovete fare per “comportarvi in maniera degna del Signore, per piacergli in tutto, portando frutto in ogni opera buona” (Col 1,10)? Cosa fare per rispondere alla bontà di Dio che in Cristo ha operato la totale riconciliazione, “rappacificando con il sangue della sua croce, cioè per mezzo di lui, le cose che stanno sulla terra e quelle nei cieli” (Col 1,20)?
È necessario, dice Paolo, ricordandoci che non c’è distanza fra uomo e uomo, di qualsiasi razza o religione o condizione sociale, poiché “Cristo è tutto in tutti”, realizzare, nell’interno e all’esterno, la piena concordia e armonia: “Rivestitevi dunque, come eletti di Dio, santi e amati, di sentimenti di misericordia, di bontà, di umiltà, di mansuetudine, di pazienza”. È necessario sopportarci e perdonarci. Il primato, come aveva proclamato in altra occasione (cf 1 Cor 13), spetta alla carità: “Al di sopra di tutto poi vi sia la carità, che è il vincolo di perfezione”. Frutto di questo sentimento e di questo comportamento, la pace: “E la pace di Cristo regni nei vostri cuori, perché ad essa siete stati chiamati in un solo corpo”.
Ideale stupendo: ma non resterà sempre un’utopia? Eppure c’è stato un tempo in cui “la moltitudine di coloro che eran venuti alla fede aveva un cuore solo e un’anima sola”, e lo dimostravano spogliandosi d’ogni egoismo, mettendo tutto in comune (At 4,32-35; anche se non mancarono le incrinature nella comunione che caratterizzava la Chiesa primitiva).
“Effetto della giustizia sarà la pace”
La parola di Isaia è valida anche oggi, sarà valida sempre. La pace vera non può essere là dove nessuno osa contestare o ribellarsi perché un regime dispotico, la violenza legalizzata impone il silenzio – la pace dei cimiteri. “L’ordine pubblico”, ammonisce il Concilio, dev’essere “informato a giustizia” (Dignitatis humanae, 3). “La pace non è la semplice assenza della guerra, né può ridursi unicamente a rendere stabile l’equilibrio delle forze avverse; essa non è effetto di una dispotica dominazione, ma viene con tutta esattezza definita “opera della giustizia”” (Gaudium et spes, 78). Questo vale in tutti i rapporti tra gli uomini: nel campo del lavoro, nell’economia, nella politica. Vale nelle piccole e nelle grandi comunità, nella vita d’una nazione e nei rapporti internazionali.
Possiamo dire che questo avvenga nel mondo d’oggi? Non era certo del tutto affermativa la risposta data dal Concilio: “Mentre folle immense mancano dello stretto necessario, alcuni, anche nei paesi meno sviluppati, vivono nell’opulenza o dissipano i beni. Il lusso si accompagna alla miseria. E mentre pochi uomini dispongono di un assai ampio potere di decisione, molti mancano quasi totalmente della possibilità di agire di propria iniziativa o sotto la propria responsabilità, spesso permanendo in condizioni di vita e di lavoro indegne di una persona umana” (Gaudium et spes, 63).
Possiamo verificare queste situazioni a vari livelli, da lontano e da vicino. Giovanni Paolo II nella prima enciclica c’invita a un serio esame di coscienza a questo proposito: “Crescono davvero negli uomini, fra gli uomini, l’amore sociale, il rispetto dei diritti altrui – per ogni uomo, nazione, popolo – o, al contrario, crescono gli egoismi di varie dimensioni, i nazionalismi esagerati, al posto dell’autentico amore di patria, ed anche la tendenza a dominare gli altri al di là dei propri legittimi diritti e meriti, e la tendenza a sfruttare tutto il progresso materiale e tecnico-produttivo esclusivamente allo scopo di dominare sugli altri o in favore di tale o tal altro imperialismo? Ecco gli interrogativi essenziali, che la Chiesa non può non porsi, perché in modo più o meno esplicito se li pongono miliardi di uomini che vivono oggi nel mondo” (Redemptor hominis, 15).
È necessario che prendiamo coscienza di questa realtà per vederla nella luce del Vangelo. Non possiamo accettarla passivamente, ma dobbiamo adoperarci, ciascuno secondo la sua vocazione e le sue possibilità, per trasformarla, se vogliamo che la terra diventi, secondo la parola del profeta, “una dimora di pace”.
“Beati gli operatori di pace”
Nelle beatitudini Gesù ci propone un programma da realizzare per conseguire “il regno dei cieli”. Tutte dobbiamo tenerle presenti, perché tutte sono intimamente connesse fra loro. Accettazione della povertà e della sofferenza, bontà e mitezza, fame e sete di giustizia, misericordia e purezza di cuore preparano gli “operatori di pace”. Essi “saranno chiamati figli di Dio”, che è “il Dio dell’amore e della pace” (2 Cor 13,11). Com’è Figlio di Dio colui che ha detto: “Vi lascio la pace, vi do la mia pace” (Gv 14,27); colui che “è la nostra pace”, che “è venuto ad annunziare la pace” (Ef 2,14.17).
Alla beatitudine degli “operatori di pace” segue quella dei “perseguitati per causa della giustizia”. Nessuna meraviglia se capita ai cristiani quello che è capitato a Gesù. Niente deve distoglierci dall’impegno ostinato di operare la pace nella giustizia, in tutti i campi: nella famiglia, nella scuola, nel mondo del lavoro e della cultura, dell’economia e della politica.
“Domandate pace per Gerusalemme”
Dono di Dio, promesso da Gesù, la pace dev’essere implorata con l’incessante preghiera. A ciò ci esorta il salmo responsoriale (Sal 121). Vi ci richiama la liturgia della Messa: “Agnello di Dio che togli i peccati del mondo, donaci la pace”.
Oggi celebriamo la festa di Maria SS.ma Madre di Dio. Quella maternità, ci ricorda il Papa nella prima enciclica, di una dignità “unica e irripetibile… nella storia del genere umano”, come “unica anche per profondità e raggio d’azione è la partecipazione di Maria, in ragione della medesima maternità, al divino disegno della salvezza dell’uomo, attraverso il mistero della Redenzione” (Redemptor hominis, 22). A lei, Regina della pace, chiediamo il dono della pace per noi e i fratelli, l’aiuto per essere “operatori di pace”.
(tratto da: M. Gobbin, Omelie per un anno – vol. 1, anno A, tempi forti – Elledici 2003)