Pubblicato il

2. Esegesi – I Avv A, 1° dic ’19

VEGLIATE

Is 2,1-5 – Venite, saliamo al monte del Signore
Rm 13,11-14a – È ormai tempo di svegliarvi dal sonno
Mt 24,37-44 – Viene il Figlio dell’uomo

Di fronte a noi la pienezza della vita
Entriamo nel tempo dell’Avvento, tempo dell’attesa della venuta del Signore. Il giorno del Signore è stato annunciato da tutti i profeti e Gesù più volte ha parlato della sua venuta nella gloria quale Figlio dell’uomo, per porre fine a questo mondo e inaugurare un cielo nuovo e una terra nuova. L’immagine del diluvio può indurre a una concezione catastrofica della fine e del tempo, accentuando l’intreccio fra tempo e paura. Non è così. Il diluvio è piuttosto, secondo tutta la grande tradizione, profezia e immagine della Pasqua. Un mondo vecchio deve finire, e tutto, nell’arca e dall’arca, cioè in Cristo e da Cristo, deve risorgere nuovo. Questa è l’originalità assoluta che la fede cristiana assegna alla categoria del tempo e quindi alla prospettiva della storia. Non c’è davanti a noi la catastrofe della morte, ma la pienezza della vita (Is 2,4).

Verso una storia nuova
Se sappiamo che ci attende un giudizio divino, è importante sapere che tale giudizio farà riferimento alla responsabilità che abbiamo di fronte al compimento divino della storia (Mt 24,40-41). Noè rappresenta l’assunzione piena di questa responsabilità: egli «salva» la creazione accogliendola nell’arca di Cristo che è la Buona Notizia. Qui tutto «muore e risorge», tutto prende il nome nuovo, diventa segno e celebrazione del termine ultimo della storia che è «il Signore vostro» (Mt 24,42) e sta a indicare che Lui è il padrone della nostra casa e del nostro cuore. Il nostro sposo. Nel travaglio di questa storia ferita mortalmente, compito e responsabilità nostra è quello di «anticipare» la fine della storia, presentandola come realtà a cui tendere, anche se il compimento finale è nascosto. Così dobbiamo afferrare il futuro della pace finale attraverso parole, segni, e la vita stessa della nostra realtà. Anche se tutto è ancora buio, il nostro compito è provocare subito una manifestazione della luce, assumere in modo umile e trasparente la nostra condizione ferita, consolata e risanata da Dio. Questo si
ottiene rivestendoci di Cristo. Lui ricostruisce la dignità della persona, è il vestito nuovo per definire la creatura nuova.

Il presente, tempo di misericordia
Questa dignità nuova ci dona la consapevolezza del tempo presente e lo rende tempo opportuno, tempo di misericordia e di salvezza che accende la nostra attenzione. L’attenzione è il lievito del nostro vivere, è quell’atteggiamento che ci permette di riconoscere nell’arca una opportunità di salvezza, di essere «pronti» alla macina o nel campo per essere presi e non lasciati. È quel «di più», quell’essenziale, quell’oltre che ci dà il coraggio e la determinazione di spezzare le spade per costruire aratri e non imparare più l’arte della guerra, è la possibilità di svegliarci dal sonno, il germoglio da cui nasce la passione per ogni creatura, la gioia che ci permette di riconoscere che la salvezza è più vicina oggi di quando diventammo credenti.


PER IL CONFRONTO NEL GRUPPO
– Che cosa deve cambiare nella vita e nella storia di oggi?
– Che fare perché ci sia una manifestazione di segnali positivi?


IN FAMIGLIA
È importante essere pronti a cogliere ciò che capita e avviene.
Possiamo tenere viva e scrivere la parola “accorgersi”.
Accorgersi di ciò che avviene, delle persone che ci sono vicine,
accorgersi dei piccoli e grandi bisogni che si manifestano in famiglia.


(tratto da R. Paganelli – Entrare nella domenica dalla porta della Parola, anno A, Elledici 2015)