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9. Narrazione – XXII C, 1 set ’19

L’ULTIMO DELLA CLASSE

Quando era seminarista, Giovanni Battista Vianney, il futuro santo Curato d’Ars, aveva enormi difficoltà con la scuola.
Non riusciva a capire neppure le nozioni più semplici.
I superiori del seminario lo avevano rimandato a casa più volte.
Ma lui caparbiamente insisteva.
Aveva ormai 21 anni e sedeva in aula con ragazzi che avevano dieci anni meno di lui.
Uno di questi, undicenne, cominciò ad aiutarlo nello studio.
Giovanni Battista Vianney era molto grato al suo piccolo maestro, ma le difficoltà persistevano: non capiva, non ricordava, si smarriva, balbettava.
Il ragazzino si lamentò di questo con i compagni di scuola.
Giovanni Battista Vianney lo sentì.
Si alzò dal suo banco, si inginocchiò davanti al ragazzino e gli disse: «Perdonami perché sono così stupido».

In un campo di grano, quasi tutte le spighe stavano curve verso terra.
Solo alcune avevano lo stelo ben diritto e fissavano con alterigia il cielo, i passanti e le loro compagne.
«Noi siamo le migliori» garrivano all’intorno.
«Non viviamo piegando lo stelo come schiave, davvero si può dire che dominiamo gli eventi e la situazione!».
Ma il vento, che conosce la vita meglio di tutti, sogghignò: «Stanno ben dritte, certo… Perché sono vuote!».


(tratto da “365 Piccole Storie per l’anima”, Vol. 1, pag. 166 – Bruno Ferrero, Elledici)