Un romanzo che ripercorre la storia del Celtic Foot Ball Club
Un’affascinante favola sportiva, in cui una squadra di calcio, nata in Scozia con lo scopo di aiutare i poveri delle misere periferie di Glasgow,
nel 1967 conquista il titolo di Campione d’Europa.
IL PRODIGIO DI LISBONA
Da una periferia scozzese alla Coppa dei Campioni…
passando per Fatima
di Paolo Gulisano
Il nuovo romanzo IL PRODIGIO DI LISBONA. Da una periferia scozzese alla Coppa dei Campioni…passando per Fatima, della collana “Storie di vita" della Editrice Elledici, prende spunto da un evento realmente accaduto cinquant’anni fa: un’affascinante favola sportiva, in cui una squadra di calcio, nata in Scozia con lo scopo di aiutare i poveri delle misere periferie di Glasgow, nel 1967 conquista il titolo di Campione d’Europa.
In attesa della storica finale, nel romanzo si intrecciano varie storie e vicende, emozionanti e commoventi.
Ne risulta un affresco vivace e coinvolgente, in cui tra fatti, luoghi e persone reali e realmente accaduti, e alcuni personaggi e circostanze che sono frutto dell’immaginazione dell’Autore si ripercorre la storia del Celtic Football Club e dei suoi atleti; emergono personaggi e storie di profonda fede e umanità attraverso una narrazione che ha il respiro del romanzo storico e una galleria di personaggi famosi e sconosciuti, tutti portatori di messaggi e valori profondi.
Una lettura originale di un periodo storico in cui risuonava ancora l’eco dei drammatici eventi della guerra e del primo dopoguerra.
L’autore specifica che la storia del Celtic Foot Ball Club e dei suoi atleti, così come emerge dalle pagine di questo libro, è tutta vera. La finale del 1967 e tutti gli avvenimenti sportivi raccontati si svolsero come descritto.
Le figure letterarie inventate sono diverse. In primo luogo Peter Smyth, così come il suo giornale e il suo direttore.
È tuttavia vero che la Royal Air Force bombardò Napoli e altre città con attacchi provenienti da Malta. È vero che esistette il campo di prigionia di Fossoli di Carpi, che dopo la fuga dei prigionieri britannici divenne un campo di concentramento per ebrei e antifascisti.
La figura di Antonio e della famiglia Azzoni è inventata, ma è tristemente vero che esponenti delle brigate comuniste uccisero tanti innocenti, durante la guerra e fino al 1946, compresi il seminarista Rolando Rivi e don Umberto Pessina, citati nel libro, così come Nutrizio, Attilio Giordani, Giovannino Guareschi.
Sono inventate le figure di Brian e Desmond, e dei pellegrini a Fatima, mentre è reale l’esistenza del movimento della Legione di Maria, del suo fondatore Frank Duff, di Alfie Lambe.
E infine, è meravigliosamente vera la Coppa dei Campioni che fa bella mostra di sé nella sala dei trofei del Celtic Park.
Premessa
Nel novembre del 1887 venne fondato in uno dei più poveri quartieri di Glasgow, in Scozia, il Celtic Foot Ball Club.
Il Celtic, destinato in seguito a diventare uno dei più prestigiosi club calcistici al mondo, nacque come una sorta di «squadra dell’oratorio», per iniziativa di un religioso marista, fratello Walfrid, originario
della Contea irlandese di Sligo.
Glasgow, dalla metà dell’Ottocento, aveva accolto decine di migliaia di irlandesi che cercavano lavoro, sfuggendo alla miseria che imperversava sulla loro terra, e che ricoprivano i ruoli più poveri: minatori, muratori, operai nelle fabbriche di una delle più grandi città industriali del Regno.
Vivevano in tuguri, in quartieri-ghetto, discriminati per la loro fede cattolica. Solo la Chiesa era accanto ai loro bisogni, attraverso la presenza di sacerdoti e religiosi, che con grandi sacrifici diedero vita a strutture parrocchiali, a chiese e a scuole.
Il Celtic venne costituito formalmente il 6 novembre 1887. La sede della fondazione fu la parrocchia di St. Mary. L’iniziativa di fra Walfrid era a scopo di carità: le partite della nuova squadra sarebbero servite a raccogliere soldi da destinare ai poveri, in particolare ai bambini che pativano la fame nei quartieri più diseredati della città. Il nome Celtic fu scelto per richiamare le radici storico-culturali di natura celtica delle popolazioni scozzesi e irlandesi. Erano stati presi in considerazione altri nomi, come «Hibernian» o «Harp», che tuttavia erano esclusivamente irlandesi. Fu invece proprio fratello Walfrid a volere la denominazione Celtic, il substrato comune a scozzesi e irlandesi.
Il soprannome ufficiale della formazione invece, «Bhoys», con una «h» in mezzo a sottolineare l’accento di Glasgow, deriverebbe dall’usanza di molta gente di chiamare i calciatori dei primi anni della squadra biancoverde bold bhoys («ragazzi audaci»).
Il sodalizio venne etichettato come «la squadra dei cattolici», ma in realtà fin dai primi tempi l’appartenenza al team non era preclusa a nessuno, indipendentemente dalla propria confessione religiosa, a differenza dei Rangers, la squadra dei protestanti unionisti, che praticò per oltre un secolo l’apartheid nei confronti di giocatori cattolici. La finalità della squadra biancoverde di raccogliere fondi, attraverso partite e tornei, da destinare alle opere di carità non è mai venuta meno, così come l’essere un punto di riferimento, attraverso bandiere, canti e iniziative parallele, per le comunità irlandesi presenti in tutto il mondo. Con le sue vittorie il Celtic diede alla comunità irlandese in Scozia e in tutta la Gran Bretagna l’orgoglio di una appartenenza e di una identità, e il sapore dolce della vittoria per un popolo che non poteva essere solo di vinti.
Il 25 maggio 1967 il Celtic visse il momento più importante di tutta la sua storia: si giocò il titolo di Campione d’Europa nella finale della Coppa dei Campioni che si disputò nello Stadio Nazionale di Lisbona, in Portogallo. Era una sfida praticamente impossibile contro quella che in quel momento era la più forte squadra del mondo: l’Inter di Milano, una squadra di fuoriclasse assoluti come Facchetti e Mazzola, guidata da un carismatico allenatore argentino, Helenio Herrera, soprannominato «il Mago» per le sue soluzioni tecniche e tattiche spesso straordinarie e imprevedibili, delle vere magie.
Il Celtic affrontò i giganti italiani con una squadra di ragazzi usciti quasi tutti dal proprio settore giovanile. Tutti e undici inoltre erano nati in un fazzoletto di terra scozzese, entro trenta miglia dal proprio stadio, il mitico Celtic Park, soprannominato «The Paradise», il Paradiso.
Questo libro è la storia di quell’evento, del prodigio che avvenne a Lisbona.
L’autore:
PAOLO GULISANO
Nato a Milano nel 1959, all’attività di medico affianca un impegno culturale di saggista e scrittore. Ha collaborato con diversi quotidiani e riviste e fondato la Società Chestertoniana Italiana di cui è vicepresidente. Ha al suo attivo una vasta produzione saggistica che spazia nella letteratura fantasy, da Peter Pan a C.S. Lewis, da Moby Dick al Frankenstein di Mary Shelley, da Re Artù ai miti e alle leggende irlandesi. È considerato uno dei maggiori esperti di J.R.R. Tolkien, l’autore del Signore degli Anelli. Questi volumi, insieme a quelli su Chesterton, Oscar Wilde, Newman e Tommaso Moro, hanno consacrato Gulisano come uno dei più attenti conoscitori del mondo e della cultura delle isole britanniche. Autore dalla scrittura raffinata e accattivante, è tradotto e pubblicato anche all’estero.
www.paologulisano.com
Il prodigio di Lisbona
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