DUE SASSOLINI AZZURRI
Due sassolini, grossi sì e no come una castagna, giacevano sul greto di un torrente.
Stavano in mezzo a migliaia di altri sassi, grossi e piccoli, eppure si distinguevano da tutti gli altri.
Perché erano di un intenso colore azzurro.
Quando un raggio di sole li accarezzava, brillavano come due frammenti di cielo caduti nell’acqua.
Loro due sapevano benissimo di essere i più bei sassi del torrente e se ne vantavano dal mattino alla sera.
Guardavano con commiserazione gli altri sassi che erano grigi, bianchi, striati, rossicci, chiazzati.
«Noi siamo i figli del cielo!», strillavano, quando qual che sasso plebeo si avvicinava troppo.
«State a debita di stanza! Noi abbiamo il sangue blu. Non abbiamo niente a che fare con voi!».
Erano insomma due sassi boriosi e insopportabili.
Passavano le giornate a pensare che cosa sarebbero diventati, non appena qualcuno li avesse scoperti.
«Finiremo certamente incastonati in qualche collana insieme ad altre pietre preziose come noi».
«Sul dito bianco e sottile di qualche gran dama».
«Sulla corona della regina d’Olanda».
«Sulla spilla della cravatta del Principe di Galles». «Ci aspetta una gran vita…».
«Alberghi di lusso, crociere, balli, feste, ricevimenti…».
«Andremo fino a Katmandu…».
Un bel mattino, mentre i raggi del sole giocavano con le trine di spuma dei sassi più grandi, una mano d’uomo entrò nell’acqua e raccolse i due sassolini azzurri.
«Evviva!», gridarono i due all’unisono. «Si parte!».
Finirono in una scatola di cartone insieme ad altri sassi colorati.
«Ci rimarremo ben poco!», dissero, sicuri della loro in discussa bellezza.
La cosa durò più del previsto.
I due sassolini furono sballottati di qua e di là, cambiarono spesso scatola, furono spesso soppesati e palpati da mani ruvide.
Rimasero ultimi nella scatola.
Poi una mano li prese e li schiacciò di malagrazia contro il muro in mezzo ad altri sassolini, in un letto di cemento tremendamente appiccicoso.
«Ehi! Fai piano! Siamo preziosi, noi!», gridavano i sassolini azzurri.
Ma due sonore martellate li fecero affondare ancora di più, dentro il cemento.
Piansero, supplicarono, minacciarono. Non ci fu niente da fare.
I due sassolini azzurri si ritrovarono inchiodati al muro. L’amarezza e la delusione li riempivano di riflessi viola.
«Razza di imbecilli, asini e incompetenti! Non hanno capito la nostra importanza!».
Il tempo ricominciò a scorrere, lentamente.
I due sassolini azzurri erano sempre più arrabbiati e non pensavano che ad una cosa: fuggire.
Ma non era facile eludere la morsa del cemento, che era inflessibile e incorruttibile.
I due sassolini non si persero di coraggio.
Fecero amicizia con un filo d’acqua, che scorreva ogni tanto su di loro.
Quando furono sicuri della lealtà dell’acqua, le chiesero il favore che stava loro tanto a cuore.
«Infiltrati sotto di noi, per piacere. E staccaci da questo maledetto muro».
L’acqua non se lo fece ripetere due volte.
Era la sua passione infiltrarsi nei muri e si divertiva molto ad allargare crepe e sbriciolare cemento.
Fece del suo meglio e dopo qualche mese i sassolini già ballavano un po’ nella loro nicchia di cemento.
Finalmente, una notte umida e fredda, Tac! Tac!: i due sassolini caddero per terra.
«Siamo liberi!».
E mentre erano sul pavimento lanciarono un’occhiata verso quella che era stata la loro prigione.
«Ooooh!». La luce della luna che entrava da una grande finestra illuminava uno splendido mosaico.
Migliaia di sassolini colorati e dorati formavano la figura di Nostro Signore.
Era il più bel Gesù che i due sassolini avessero mai visto.
Ma il volto… il dolce volto del Signore, in effetti, aveva qual cosa di strano.
Sembrava quello di un cieco. Ai suoi occhi mancavano le pupille!
«Oh, no!». I due sassolini azzurri compresero. Loro erano le pupille di Gesù.
Chissà come stavano bene, come brillavano, come erano ammirati, lassù.
Rimpiansero amaramente la loro decisione. Quanto erano stati insensati!
Al mattino, un sacrestano distratto inciampò nei due sassolini e,
poiché nell’ombra e nella polvere tutti i sassi sono uguali,
li raccolse e, brontolando, li buttò nel bidone della spazzatura del secchio.
Puoi buttarti giù fin che ti pare: resti la pupilla degli occhi di Dio.
(tratto da: B. Ferrero, 365 Piccole Storie per l’anima, Vol. 1, pag. 9 – Elledici 2016)