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3. Commento alle Letture – II DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

14 GENNAIO

II DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

(Giornata mondiale del migrante e del rifugiato)

CHIAMATI AD ABITARE CON GESÙ

COMMENTO

La chiamata di Samuele è una bellissima icona della vocazione di ciascuno di noi. Una buona predisposizione all’ascolto e una aperta disponibilità a mettersi a servizio del Signore e dei fratelli aprono la strada alla voce del Signore, che chiama per nome, per affidare una missione. Il Signore conosce il vero nome di ciascuno di noi e in esso è scritto tutto ciò che noi possiamo compiere come veri figli di Dio. E quando il Signore ci chiama e rispondiamo di sì, noi abbiamo la luce interiore sufficiente per comprendere chi siamo e quale bene siamo capaci di realizzare nella nostra vita. L’esperienza dei primi discepoli chiamati da Gesù ci aiuta ad allargare ulteriormente il tema della vocazione.
La meditazione può correre e approfondirsi, concentrandosi sui verbi. Il Battista sta, ha ormai concluso la sua missione, ma fissa lo sguardo su Gesù, che invece passa e ha molta strada da percorrere, e lo riconosce come «Agnello di Dio». L’evangelista, ponendo questo appellativo sulla bocca del Battista, anticipa l’opera salvifica di Gesù, che è chiamato a sostituire definitivamente gli agnelli pasquali degli ebrei, salvando l’umanità dalla schiavitù del peccato. I discepoli di Giovanni, accolto l’annuncio che il Messia atteso è ormai arrivato, senza indugio lasciano il Battista e seguono il vero e definitivo Maestro. Gesù, chiedendo «che cosa cercate?», li aiuta a riconoscere il loro desiderio più profondo ed essi lo esprimono con una nuova domanda: «dove dimori?». Questo verbo, che in greco suona “ménein”, è ripetuto qui tre volte (dimori, dimorava, rimasero), ma in Gv 15,4-10, è ripetuto dieci volte. Si traduce con abitare, dimorare, rimanere. È il verbo che Giovanni usa per dire che Gesù abita nel Padre e il Padre abita in lui…, che i discepoli devono abitare in lui…, che le sue parole devono abitare in loro…, che il Padre e lui abiteranno nei discepoli. Si capisce allora che i discepoli chiedono a Gesù di indicare non la sua casa di mattoni, ma la casa spirituale. E dal momento che escono da quell’incontro con la chiara convinzione che Gesù è il Messia, possiamo pensare che nelle ore passate con loro (Giovanni ricorda con precisione e forse con un po’ di nostalgia l’ora precisa dell’incontro) Gesù ha iniziato a farsi conoscere e a presentare loro il Padre.
Andrea appena vede suo fratello, che certamente condivideva con lui l’attesa, lo investe con una comunicazione esplosiva: abbiamo trovato. E Gesù, nel momento in cui vede Simone, fissa lo sguardo su di lui, come chi lo conosce profondamente, e gli dà un nome nuovo. Gesto che esprime il potere di Dio e del re, i quali nel Primo Testamento, dando un nome nuovo, conferivano una nuova identità e una nuova missione. È proprio quello che fa Gesù, che riassume in sé il potere del Figlio di Dio e del Messia-Re, nei confronti di Pietro. È chiaro che i cristiani che leggono il vangelo sanno benissimo che qui è prefigurata la missione di Pietro di guidare la Chiesa dopo la partenza di Gesù.

 

UN FATTO – UNA TESTIMONIANZA

«Il vertice narrativo di Matteo 2,1-12 è costituito dalla frase: si prostrarono e lo adorarono. È il giorno della genuflessione anche per noi. E anche dell’offertorio dei doni. Ma soprattutto, della decisione di tornare a casa seguendo un’altra strada» (Tonino Bello).