Commento su Ap 11,19a; 12,1-6a.10ab
«Signum magnum apparuit in coelo».
Nel cielo un segno grandioso: il mistero della Chiesa, descritto pensando a Maria. Perché non è possibile che Giovanni possa parlare della Chiesa senza pensare a Maria, lui che con la madre di Gesù ha avuto un’esperienza unica.
Questa «donna» è anzitutto la Sposa del Cantico dei Cantici, «che sorge come aurora, bella come la luna, splendente come il sole, terribile come un esercito schierato». È l’anti-Eva, la Donna che vince il Dragone. «Essa partorì un figlio maschio». La Chiesa inizia nell’Antico Testamento come popolo di Dio: Gesù il Messia nasce da Israele e la Chiesa è la continuazione di Gesù.
Si parla dell’Israele completo: il popolo di Dio. Per Giovanni c’è un unico popolo di Dio. Gesù è figlio della Chiesa, dunque nostro fratello. L’Antico Testamento è già storia della Chiesa. «Abramo è nostro», dirà S. Girolamo.
C’è un richiamo a Gn 3: «Il figlio della donna ti schiaccerà il capo». Questo figlio è destinato a governare tutte le nazioni con scettro di ferro (Sal 2). È subito rapito (passivo teologico) verso Dio. La donna fugge nel deserto (di questo mondo) dove Dio le ha preparato un rifugio perché sia nutrita per milleduecentosessanta giorni = tre anni e mezzo. Quarantadue mesi (quaranta più due): tempo di prova che si prolunga.
Nel capitolo 12 dunque Giovanni presenta il tema centrale dell’Apocalisse: l’Incarnazione. Questa visione inizia già nel v. 19 del cap. 11, dove si dice: «Si aprì il tempio di Dio che è nel cielo e apparve nel tempio l’arca della sua alleanza ». Noi sappiamo che la teologia del Nuovo Testamento, soprattutto Luca, vede Maria, incinta del Messia, come arca. È interessante che il vangelo dell’Assunta sia quello della Visitazione.
In questa Donna c’è il futuro della Chiesa, il nostro futuro, la Chiesa nella dimensione celeste: la luna, che indica il tempo, è «sotto i piedi», in sottomissione all’eternità; il tempo è assorbito dall’eternità. Chi vive la Liturgia della Chiesa anticipa questa realtà. Nella festa dell’Assunzione siamo interessati tutti: è la festa del nostro futuro.
Proponiamo alcuni spunti di «meditatio» sul Paradiso.
1. Il Paradiso costituisce un mondo che non è lecito immaginare fantasiosamente, ma che dobbiamo solo attendere dalle mani di Dio. Dobbiamo parlarne, ma non descriverlo.
Qualcosa del Paradiso è comunque sfumatamente percettibile in certi momenti che forse abbiamo a tratti sperimentato, di incontro con Dio e con i fratelli, qualcosa che è parente con l’eternità. Certe ore o giornate di gioia pura e di comunione intensa che avremmo voluto «trattenere», in modo che non terminassero mai.
2. Per puntare decisamente alle realtà celesti («ad superna semper intenti»: colletta dell’Assunta) bisogna assolutamente essere fedeli alle realtà terrestri. Le persone più tese all’eternità (i santi) sono state le persone più attente ai problemi dell’uomo, le persone più concrete, con «i piedi per terra». Curiosamente, per capire l’uomo bisogna guardare Dio.
3. Il Paradiso sarà secondo il livello d’amore raggiunto nel cammino terreno. I gradi di gloria sono disuguali. La gloria di Maria supera quella di tutti. È evidente che la gloria di chi ha vissuto nella mediocrità spirituale non può essere paragonabile alla gloria di chi si è consumato nella carità eroica. Tutto dipende dalla misura dell’amore. Il «Purgatorio» purificherà, ma non aumenterà il grado di gloria futura. Ecco perché è saggio anticipare il Purgatorio sulla terra, per «crescere» spiritualmente.
4. Dire che uno resterà nel grado di gloria raggiunto dalla misura del suo amore non è da intendere in modo statico (la staticità sarebbe noia eterna), ma in senso «sconfinatamente dinamico» (G. Gozzelino), come una «esplorazione» gioiosa di Dio.
I santi amano, godono, lodano, soffrono con i loro fratelli «viatori». Finché sulla terra c’è un fratello che soffre e fatica, il Paradiso soffre, pur nella pace perfetta finalmente raggiunta.
5. Il Paradiso, essendo meta-storia, al-di-là del tempo e dello spazio, non è per nulla un luogo, ma una situazione.
Anche se il male nella storia sembra vincere, la vittoria dell’uomo è già avvenuta, anticipata una volta per tutte dall’esito della vicenda terrena di Gesù, paradossalmente mediante il fallimento della sua missione e la sconfitta della croce.
Per arrivare alla gloria è necessario passare attraverso la croce: una legge che fa dire a Francesco d’Assisi: «Tanto è il bene che m’aspetto che ogni pena m’è diletto».
6. Tutto l’universo parteciperà alla «pasqua» dell’umanità («palingenesi»: rigenerazione, nuova genesi). Cieli nuovi e terra nuova. La nuova creazione è stata inaugurata dalla risurrezione di Cristo. «Tutta la creazione geme e soffre nelle doglie del parto» (Rm 8). Il mondo nuovo non è un altro mondo, ma questo mondo trasfigurato: è la creazione giunta al settimo giorno.
Il corpo glorificato di Gesù è biologicamente imparentato con questo mondo: «Datemi da mangiare: non sono un fantasma!». È inaccettabile la visione cataclismatica della storia, che vede il mondo come una realtà inguaribile, destinata all’annientamento. Tutto deve essere ricapitolato in Cristo.
Vediamo allora come sia estremamente importante e urgente scoprire la domenica come sacramento del futuro, sacramento della domenica senza tramonto.
Da “Le luci del sabato” Domenico Machetta © Elledici
(altra proposta per l’omelia)
Forse ogni anno ci sorprende la Prima Lettura della festa dell’Assunta, quella visione di san Giovanni, col susseguirsi incalzante di immagini forti, avvenimenti drammatici. Quasi episodi di cronaca nera, sequenze di film di fantascienza.
– Due immagini, soprattutto. Quella donna vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi e sul capo una corona di dodici stelle. E poi l’enorme drago rosso, con sette teste e dieci corna. C’è poi la vicenda, drammatica: la donna sta per dare alla luce un bambino, e il dragone è lì pronto a divorarlo. Siamo un po’ abituati al simbolismo della Bibbia: di fronte a parabole e visioni, noi andiamo a cercare le verità della fede nascoste sotto il velo dei segni, delle immagini. Ma in questa visione i segni non sono un po’ eccessivi?
– Cerchiamo di farci aiutare a capire. Il 15 agosto 2007 papa Benedetto XVI era a Castel Gandolfo in vacanza, una delle sue consuete vacanze lavorative. Celebrò la messa dell’Assunta nella chiesa parrocchiale, e come tema dell’omelia scelse il brano dell’Apocalisse. Facciamoci aiutare da lui a capire: lui papa e teologo, e nostro educatore nella fede. Tanto più che ha detto cose di vivo interesse.
– Anzitutto il Papa ha proposto una chiave di lettura del brano biblico. Ha detto: «Nella sua grande opera “La Città di Dio”, sant’Agostino dice che tutta la storia umana, la storia del mondo, è una lotta tra due amori: l’amore di Dio fino alla perdita di se stesso, fino al dono di sé, e l’amore di sé [l’egoismo] fino al disprezzo di Dio e all’odio degli altri». Agostino, va detto subito, riguardo alla storia umana era per l’happy end: l’egoismo col suo strapotere sembrerebbe travolgere tutto, ma alla fine chi riporta la vittoria è l’amore di Dio.
Ha proseguito il Papa: «Questa interpretazione della storia come lotta tra due amori, tra l’amore e l’egoismo, appare anche nell’Apocalisse. Qui, questi due amori appaiono in due grandi figure. Innanzitutto c’è il dragone rosso fortissimo, con una manifestazione inquietante del potere senza grazia, senza amore, dell’egoismo assoluto, del terrore, della violenza».
– E noi a domandarci: però, chi sarà mai questo dragone? Ci spiega il Papa: «Nel momento in cui san Giovanni scrisse l’Apocalisse, per lui questo dragone era realizzato nel potere degli imperatori romani anticristiani, da Nerone fino a Domiziano. Questo potere appariva illimitato. Il potere militare, politico, propagandistico dell’impero romano era tale, che davanti a esso la fede, la Chiesa, appariva come una donna inerme, senza possibilità di sopravvivere, tanto meno di riportare vittoria. E tuttavia sappiamo che alla fine ha vinto la donna inerme. Ha vinto non l’egoismo, non l’odio, ma l’amore di Dio. E l’impero romano si è aperto alla fede cristiana».
– Il Papa aggiunge che il simbolo del drago ha poi avuto riscontri anche nei secoli successivi: «Questo dragone indica non soltanto il potere anticristiano dei persecutori della Chiesa di quel tempo, ma le dittature materialistiche e anticristiane di tutti i periodi». E facendo riferimento ai tempi a noi più vicini: «Vediamo di nuovo realizzato questo potere, questa forza del dragone rosso, nelle grandi dittature del secolo scorso: la dittatura del nazismo e la dittatura di Stalin… Appariva impossibile che la fede potesse sopravvivere davanti a questo dragone così forte, che voleva divorare il Dio fattosi bambino e la donna, la Chiesa. Ma in realtà, anche in questo caso, alla fine l’amore fu più forte dell’odio».
– E oggi? «Anche oggi – ha aggiunto il Papa – esiste il dragone in modi nuovi, e diversi. Esiste nella forma delle ideologie materialiste, che ci dicono: è assurdo pensare a Dio; è assurdo osservare i comandamenti di Dio… Vale soltanto vivere la vita per sé… Vale solo il consumo, l’egoismo, il divertimento». In sostanza: «Di nuovo sembra assurdo, impossibile, opporsi a questa mentalità dominante, con tutta la sua forza mediatica, propagandistica». E conclude il Papa: «Anche adesso questo dragone appare invincibile, ma anche adesso Dio è più forte del dragone, l’amore vince, e non l’egoismo».
– Poi il Papa ha spiegato «l’altra immagine: la donna vestita di sole». Un’immagine che racchiude più significati. «Un primo significato – dice – è senza dubbio che la donna vestita di sole è la Madonna, Vestita di sole, cioè di Dio. Vive in Dio, circondata e penetrata dalla luce di Dio. Circondata dalle dodici stelle, cioè dalle dodici tribù d’Israele, da tutto il Popolo di Dio… E ha ai piedi la luna, immagine della morte e della mortalità. Maria ha lasciato dietro di sé la morte; è totalmente vestita di vita, è assunta con corpo e anima nella gloria di Dio». E così, aggiunge il Papa, «Maria posta nella gloria, avendo superato la morte, ci dice: “Coraggio, alla fine vince l’amore!…”». «Questo – prosegue il Papa – è il primo significato della donna che Maria è arrivata a essere. La “donna vestita di sole” è il grande segno della vittoria dell’amore, della vittoria del bene, della vittoria di Dio».
– Infine il Papa indica un secondo significato forte: «Questa donna che soffre, che deve fuggire, che partorisce con un grido di dolore, è anche la Chiesa. La Chiesa pellegrina di tutti i tempi. Di nuovo, in tutte le generazioni, essa deve partorire Cristo, portarlo al mondo con grande dolore… In tutti i tempi perseguitata, vive quasi nel deserto. Perseguitata dal dragone. Ma in tutti i tempi, in tutte le diverse situazioni, nelle diverse parti del mondo, la Chiesa… soffrendo vince. Ed è la presenza, la garanzia dell’amore di Dio contro tutte le ideologie dell’odio e dell’egoismo».
– Conclude il Papa: «Vediamo che anche oggi il dragone vuol divorare il Dio fattosi bambino. Ma non temete per questo Dio apparentemente debole. La lotta è già cosa superata… Anche oggi questo Dio debole è forte: è la vera forza. E così la festa dell’Assunta è l’invito ad avere fiducia in Dio. Ed è anche invito a imitare Maria».
(da “All’Altare di Dio”, E. Bianco – @ Elledici 2010)