PER COMPRENDERE LA PAROLA
Non bisogna rendere male per male. È la legge del perdono riportata dal Vangelo. La liturgia usa la 1ª lettura come esemplificazione di questo tema.
PRIMA LETTURA
È un episodio a gloria di Davide, in quanto contribuisce a consolidarne l’autorità di fronte a coloro che gli si oppongono. Saul stesso lo riconosce al termine del racconto: “Tu saprai fare e riuscirai in tutto” (v. 25).
Il racconto proviene da una tradizione popolare. Il cap. 24 ne offre una versione diversa; vi troviamo quasi la vivacità d’un fumetto. Il cap. 26 fa intervenire Dio per spiegare l’impresa straordinaria: Dio immerge l’accampamento in un profondo sonno, per cui nessuno si accorge dell’incursione di Davide. Perciò Davide, che non approfitta certamente della situazione offertagli da Dio, dà prova di magnanimità.
Un’altra ragione spiega il comportamento di Davide: a tutti coloro che più tardi saranno suoi sudditi vuole inculcare l’idea che la persona del re è intoccabile (cf 2 Sam 1).
SALMO
È un inno di ringraziamento a Dio per la sua bontà. Il Signore la manifesta soprattutto quando non ci tratta secondo le nostre colpe.
SECONDA LETTURA
Il cap. 15 affronta il conflitto provocato in seno alla comunità da coloro che non credono nella risurrezione dei morti (cf domenica precedente). Contro di loro Paolo ha sostenuto la realtà di tale risurrezione. Ora cerca di spiegare ai Greci (tali sono i Corinzi) in che senso egli intende la risurrezione.
Lo fa anzitutto (vv. 35-45) partendo da un’antropologia nella quale non si trova a suo agio: “Gli esseri viventi non sono tutti uguali”…
Poi rievoca (vv. 45-49) i due capi dell’umanità, Adamo e Gesù. Lo fa anche in Rm 5 per contrapporre peccato e morte a giustificazione e vita. Qui afferma che da Adamo riceviamo la vita che chiamiamo terrena, mentre da Cristo riceviamo la vita che ci fa appartenere al cielo. Questo dualismo presenta dei limiti per molti nostri contemporanei. Comunque, questa prospettiva biblica – e non filosofica – ci insegna che noi siamo destinati al cielo, non per un’immortalità naturale dell’anima, ma per un’appartenenza e una conformità al Cristo risorto.
La traduzione liturgica, nella sua esattezza, facilita la comprensione del testo.
VANGELO
È il seguito delle Beatitudini: Luca aggiunge alcune precisazioni sull’applicazione della legge del Regno.
Gesù insiste anzitutto su una delle qualità dell’amore: la gratuità. Si deve amare senza aspettarsi un contraccambio, amare persino i nemici. Gesù indica alcuni esempi così concreti che la sua esigenza lascia turbati: in realtà l’amore non ammette limiti, non ammette calcoli.
In tale contesto, viene indicata “la Regola d’oro” (cf Mt 7,12). Tale regola viene già enunciata, ma in forma negativa, nell’Antico Testamento (Tb 4,15) (e anche nella Dichiarazione dei diritti dell’uomo). Il Vangelo ne offre una formulazione positiva, più esigente.
Siccome però il Vangelo non è un testo di morale sociale, Luca riporta i motivi che giustificano le esigenze della legge evangelica. Bisogna superare il comportamento dei peccatori (Matteo parla di pubblicani e pagani: 5,46-47). Si tratta soprattutto (cf Mt 5,41) di imitare il Signore nella sua misericordia infinita.
La pericope termina con un invito alla liberalità, espressione dell’amore generoso.
PER ANNUNCIARE LA PAROLA (piste di omelia)
Amare senza condizioni né limiti (Vangelo e 1ª lettura)
È bene ricordare che la legge evangelica non è una piacevole banalità, e che nessuno è – anche sul piano morale – naturalmente cristiano.
Così come è riferita da Luca, la legge di Gesù dà il capogiro: non rendere male per male (come Davide con Saul); lasciarsi sfruttare e derubare; dare senza aspettarsi alcun ricambio umano; amare i nemici.
Nessuno mette totalmente in pratica una simile morale, e si cercano giustificazioni: si parla quindi di utopia, di paradosso semitico…
Invece, prima di liquidare questa pagina del Vangelo, bisognerebbe ricordare che molti discepoli l’hanno vissuta: santi famosi e tante persone che hanno consacrato gratuitamente la loro vita a poveri disgraziati che per loro erano nulla e che non dimostravano alcuna riconoscenza.
Amore fraterno e spirito filiale
Nel campo dell’amore fraterno il Vangelo è molto esigente.
Per arrivare a questo amore, però, la via non è quella di cercare in se stessi la forza d’una rinuncia eroica a vantaggio degli altri. Non è questa la via cristiana.
A noi è chiesto di credere nella bontà del nostro Padre celeste, di sforzarci di ispirarci ad essa e di lasciare soltanto a Dio il pensiero di ricompensarci.
La prima ricompensa sarà di diventare i migliori figli del nostro Padre (Lc 6,35). Inoltre, Dio si comporterà con noi sempre meglio di quanto noi ci saremo comportati con gli altri. Se noi abbiamo misericordia per gli altri, Dio avrà misericordia per noi. Se noi non giudichiamo, Dio rinuncerà a giudicarci. Se trattiamo generosamente gli altri, Dio sarà ugualmente generoso con noi (Lc 6,36-38).
Il Vangelo non è per gli eroi, né per i superuomini. È per coloro che hanno in Dio la fiducia di un cuore di figlio.
Amare come Dio
Gesù non è un moralista. La sua missione è di farci conoscere quel Dio che nessuno ha mai visto (Gv 1,18). Il suo insegnamento morale è un modo per rivelare Dio: fate così e sarete “come il Padre vostro”, misericordiosi, benevoli verso gli ingrati e i malvagi. Amate gratuitamente e sarete i figli dell’Altissimo (vedi il salmo del giorno).
Verità umana profonda, rivelata dalla pedagogia evangelica: si conosce Dio soltanto facendo proprio il suo comportamento spirituale. Un principio che si può estendere alla conoscenza del prossimo: lo si conosce veramente soltanto ispirandosi all’ideale che lo fa vivere.
Davide rinuncia a vendicarsi di Saul, perché “consacrato del Signore”. Il discepolo di Cristo sa che ogni uomo è sacro agli occhi di Dio, che è chiamato a diventare figlio di Dio. Per questo motivo non si vendica di nessuno.
Conseguenza d’una morale ispirata dal comportamento di Dio: se si vive il Vangelo, anche senza tante parole si rivela Dio agli altri. Ciò però suppone che ci si comporti in modo diverso dai peccatori (Lc 6,32-34).
Adamo e Cristo (2ª lettura)
Paolo non si pone sul piano morale, ma sul piano della vita dell’umanità:
– da Adamo gli uomini ereditano una vita che appartiene solo alla terra;
– da Cristo ricevono la vita del cielo.
Anche se la prospettiva è diversa, il parallelismo è pregnante:
– Cristo comunica un senso umano, un senso dell’amore diverso da quello dei “peccatori” (cioè, in questo caso, di coloro che non accettano il Vangelo);
– così pure comunica una vita alla quale non partecipano coloro che accettano unicamente la vita che proviene da Adamo.
La vita celeste, la vita divina è l’Amore, ma quale ce l’ha rivelato Cristo.
(tratto da: M. Gobbin, Omelie per un anno – vol. 2, anno C, tempo ordinario – Elledici 2003)