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3. Annunciare la Parola – 6 t.o. C, 17 feb ’19

PER COMPRENDERE LA PAROLA

Il legame fra la 1ª lettura e il Vangelo nella forma è chiaro. Si tratta di due esempi di maledizione-benedizione contrapposte. Nella sostanza invece il rapporto è solo indiretto: in Geremia: fiducia nell’uomo o fiducia in Dio; nel Vangelo: beatitudine e maledizione nel Regno di Dio.

PRIMA LETTURA
Non è un testo secondo lo stile abituale di Geremia. Si tratta d’un insegnamento sapienziale, costruito seguendo un parallelismo abbastanza sviluppato.
L’autore pone i contemporanei davanti a una scelta: maledizione o benedizione. A tale scopo, riprende il tema delle due vie, frequente nella Bibbia.
Mettere la propria fiducia nell’uomo: è l’aridità, l’accecamento, il deserto. Fuori di Dio l’uomo non può riconoscere la grandezza della propria esistenza.
Invece l’uomo che mette la sua fiducia in Dio, che fonda la sua vita sul rapporto con Dio, non teme il caldo, non ha paura dell’aridità, non è sterile. Le sue foglie rimangono verdi, perché è piantato lungo l’acqua.
Il parallelismo è chiarissimo fra le due parti del testo:
– fiducia nell’uomo = terra desolata, arida, nessuna felicità;
– fiducia in Dio = acqua corrente, foglie verdi, frutti.
Scegliere Dio vuol dire felicità, scegliere se stesso vuol dire infelicità.

SALMO
Riprende i temi della 1ª lettura, aggiungendovi altre immagini. In una lettura cristiana, Cristo in croce è il giusto per eccellenza.

SECONDA LETTURA
È il seguito della domenica precedente. Il pensiero greco, segnato dal platonismo, non può capire la risurrezione dei morti (la risurrezione della carne, cf At 17,32).
Per Paolo, la risurrezione di Cristo è l’avvenimento centrale della fede cristiana: “Cristo è risuscitato dai morti, primizia di coloro che sono morti”.
Senza la risurrezione, la fede cristiana sarebbe illusione e utopia. Senza di essa gli uomini rimarrebbero schiavi dei loro peccati. La fede diventerebbe peggio del nulla.
La risurrezione trasforma l’intera esistenza umana. Col Cristo risorto è cominciata una nuova creazione.

VANGELO
È la versione delle “beatitudini” secondo la tradizione lucana (6,20-49). Diversamente da Mt 5, Cristo discende dal monte e si ferma in un luogo pianeggiante. È sceso dal monte dove aveva pregato dopo la scelta dei Dodici. E ritornato in mezzo al popolo. Luca sottolinea volentieri questo contatto diretto di Gesù con le folle.
L’insegnamento di Gesù è in stretto rapporto con ciò che vivono i destinatari: alcuni cristiani se ne stavano tranquilli nella loro ricchezza, altri erano perseguitati, altri avevano fame ora… (tono molto diretto: “Ora” ripetuto, “in quel giorno”).
La situazione dell’epoca non presenta niente di nuovo: anche i loro padri trattavano così i profeti. È una situazione che fa parte dell’esistenza cristiana di ogni tempo.
L’opera di Dio non si sviluppa necessariamente in continuità con l’opera del mondo e degli uomini. È piuttosto in contraddizione con ciò che a noi sembra felicità o infelicità (differenza fra maledetto e infelice: 1ª lettura). Avverrà un capovolgimento delle situazioni: “I primi saranno gli ultimi…”.


PER ANNUNCIARE LA PAROLA (piste di omelia)

La felicità
Per molti è una questione di fortuna o di denaro: col denaro si possono avere tutti i beni materiali e acquistare cultura, considerazione, potere, ecc. Per la Scrittura è una questione di scelta: in chi porre la propria fiducia?
Gesù va oltre: coloro che noi giudichiamo disgraziati, egli li dichiara beati. Chi sono oggi questi “beati”? Sanno in che cosa consiste la loro felicità? Possono credervi se coloro che dovrebbero predicarla vivono in realtà in una felicità diversa e fanno di tutto per attirarvi anche loro?
Il Vangelo ci appare duro e utopistico. E lo è per una vita che si limitasse alla terra. La sua validità si fa evidente soltanto se crediamo alla risurrezione.
Ma già da quaggiù il suo insegnamento è verificabile. Tanti uomini vi hanno creduto (Francesco d’Assisi, per esempio, Charles de Foucauld, ecc.). Alcuni propongono alla nostra società obiettivi diversi dalla ricchezza. Tutti noi abbiamo bisogno della scossa del Vangelo per ridar ordine alle nostre idee di felicità e per orientare le nostre scelte.

La speranza cristiana
La felicità materiale non è sopportabile se è limitata al solo presente. Perché è corrosa dall’inquietudine del domani.
La felicità di cui parla Cristo vale insieme per l’oggi e per il domani. Dice ai poveri: Vostro è il Regno di Dio (al presente); sarete saziati… riderete (al futuro).
La speranza del cristiano si fonda interamente sulla fede nel Cristo risorto: qualche cosa è cominciato. È un fatto. In lui ora abbiamo una vita nuova che il Vangelo chiama “Regno di Dio”.
Se Cristo non è risorto, allora i poveri e gli afflitti sono le creature più infelici e senza rimedio. La loro vita è un fallimento definitivo. E coloro che hanno scelto volontariamente la povertà sono degli sciocchi.
La speranza del cristiano non è quindi un vago ottimismo, ma la fiducia in qualcuno: il Signore. “Benedetto l’uomo che confida nel Signore” (1ª lettura). Cristo è risorto, ma per essere “primizia di coloro che sono morti”, “affinché dove sono io, siate anche voi”.

In chi mettere la propria fiducia?
Chi sono oggi i maestri di pensiero e di vita? Scrittori, responsabili della pubblicità, capi di movimenti…
Il cristiano non è un “credulone”. Egli ha precisi criteri per distinguere nei messaggi che gli si rivolgono ciò che è benedetto e ciò che è maledetto: quanto si limita alla felicità terrena è inevitabilmente illusione e miraggio. “Maledetto l’uomo che confida nell’uomo” (1ª lettura).
Da parte nostra, che profeti siamo? Preoccupati anzitutto che si dica bene di noi? di “che cosa se ne dirà”? Dimostriamo fermezza nelle nostre convinzioni? coraggio per manifestarle? Negli impegni della vita quotidiana siamo a servizio degli autentici valori: la verità, la libertà, la giustizia e l’amore? Il nostro messaggio supera le nostre idee personali, la nostra stessa persona?


(tratto da: M. Gobbin, Omelie per un anno – vol. 2, anno C, tempo ordinario – Elledici 2003)