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3. Annunciare la Parola – 6 Pasqua C, 26 mag ’19

• At 15,1-2.22-29 – Abbiamo deciso, lo Spirito Santo e noi, di non imporvi nessun altro obbligo al di fuori di queste cose necessarie.
• Dal Salmo 66 – Rit.: Popoli tutti, lodate il Signore.
• Ap 21,10-14.22-23 – L’angelo mi mostrò la città santa che scendeva dal cielo.
• Canto al Vangelo – Alleluia, alleluia. Se uno mi ama, osserverà la mia parola, dice il Signore, e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui. Alleluia.
• Gv 14,23-29 – Lo Spirito Santo vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto.

PER COMPRENDERE LA PAROLA

Questa domenica predispone già la comunità alla Pentecoste. L’opera dello Spirito sarà un’opera di approfondimento e di pace (Vangelo), un’opera di apertura a tutti i popoli, Ebrei e pagani (1ª lettura), un’opera di rinnovamento e di creazione che annuncia la nuova Gerusalemme (2ª lettura).

PRIMA LETTURA
Dopo il primo viaggio di Paolo e Barnaba (nel 47-48), si presenta inevitabilmente un problema: la Chiesa è destinata a rimanere legata al giudaismo oppure no? Ci vuole la circoncisione per essere salvati? All’epoca si trattò di un conflitto piuttosto grave (v. 2). Era in gioco l’autorità di Paolo e di Barnaba, l’autenticità delle loro parole e della loro missione. Di qui il ricorso ai Dodici e alla Chiesa di Gerusalemme. L’avvenimento è fondamentale:
– per far conoscere la carica spirituale, il modo di vita e il ruolo dell’autorità nella Chiesa primitiva;
– per sottolineare anche l’affrancamento della comunità dei discepoli dal giudaismo e dalle sue esigenze legali.
Il brano di questa domenica presenta l’origine del conflitto e il documento che lo risolve. Omette la discussione in se stessa. L’intervento orale – su proposta di Giacomo – è identico alla lettera conclusiva. Tutte le autorità della Chiesa nascente si mettono d’accordo:
– la delegazione di Antiochia (bisogna supporre che abbia voce deliberativa),
– Pietro, che ricorda l’episodio di Cesarea (At 10,11),
– Giacomo, che pure è di tendenza diversa ed è preoccupato per i giudaizzanti.
La risposta di Gerusalemme è precisa: è una risposta di Chiesa (v. 22). È confermata e sostenuta dall’invio di Giuda e di Sila ad Antiochia. “Abbiamo deciso, lo Spirito Santo e noi…”. Nella Chiesa primitiva, questa non è una formula di convenienza.
Una cosa è certa al momento: il rito ebraico della circoncisione non è necessario per entrare nella Chiesa. La lettera di Gerusalemme – un testo conciliare – ricorda soltanto l’obbligo di astenersi dalle carni offerte agli idoli e dalle unioni illegittime. Un’esigenza senz’altro modesta… Non sta certo in questo il nucleo minimo della morale dei discepoli di Gesù, che invece rimane l’insegnamento del Vangelo. Le condizioni proposte vogliono unicamente rendere possibile la convivenza fra cristiani di diversa provenienza (cf Gal 2,11-15).

SALMO
Questo salmo sottolinea – in risposta alla 1ª lettura – l’universalità del Vangelo (si noti la terminologia universalista: terra, genti, nazioni: “Lo temano tutti i confini della terra”).

SECONDA LETTURA
È tratta dalla visione finale della nuova Gerusalemme nell’Apocalisse (21,9–22,5). È il seguito della lettura della 5a domenica. Dopo il giudizio del mondo compare, splendore del nuovo mondo, la Città santa.
Già nell’Antico Testamento Gerusalemme non era soltanto la capitale politica, bensì il luogo di adorazione di Dio.
Nel Nuovo Testamento, Gerusalemme è il luogo della morte e risurrezione di Cristo, il luogo della Pentecoste, il luogo delle origini, della nascita. La nuova Gerusalemme è l’espressione del nuovo popolo di Dio, nel suo compimento e nella sua pienezza.
La nuova Gerusalemme viene descritta con immagini prese dai profeti (Isaia ed Ezechiele). Già nell’Antico Testamento il numero 12 era un segno di pienezza per il popolo di Dio.
La nuova Gerusalemme realizza ciò che al presente può essere annunciato soltanto con simboli e segni. Quando Cristo tornerà, i simboli saranno superflui, perché la presenza della realtà divina sarà evidente.

VANGELO
Questo passo del discorso dopo la Cena (finale della prima parte) è la risposta a una domanda di Giuda Taddeo: “Signore, come è accaduto che devi manifestarti a noi e non al mondo?” (v. 22). Una domanda spiegabile prima della Pentecoste. Gesù vi risponde annunciando la venuta dello Spirito.
Cristo se ne va (v. 26). Ma questa partenza è la condizione per una presenza nuova e diversa di Cristo nella Chiesa. Lo Spirito Santo non sostituisce Cristo, non occuperà il posto lasciato libero dalla sua partenza, anzi renderà Cristo più presente. Mandato dal Padre, in nome di Cristo: “Vi ricorderà tutto ciò che vi ho detto” (v. 26).
La pace portata da Gesù non è una coesistenza pacifica: è un dono del Signore che immerge il credente nella fiducia. Gesù ritornerà. È questa la speranza che lo Spirito dà alla Chiesa.


PER ANNUNCIARE LA PAROLA (piste di omelia)

La pace, la gioia…
Giovanni scrive verso la fine del I secolo, quindi molto tempo dopo la morte di Cristo. Innegabilmente i destinatari del suo Vangelo hanno dato con piena sincerità la loro vita a Cristo, nella fede. Le prove però non mancano: persecuzioni, errori dottrinali… Non è facile credere.
Si tratta d’una generazione che non ha conosciuto Cristo. Si sentono come orfani. Per la fede, l’invisibilità di Dio, la lontananza di Cristo nel tempo costituiscono sempre una difficoltà.
Altrove Gesù risponde (20,29): “Beati quelli che pur non avendo visto crederanno”. Qui è la stessa cosa: “Dovreste rallegrarvi perché vado dal Padre”. Gesù se ne va. Si tratta anzitutto della sua morte. Senza questo estremo annientamento non conosceremmo Dio, il suo amore illimitato, il suo perdono. Gesù se ne va. Ha finito di conversare visibilmente con i discepoli che ha fatto suoi amici. D’ora in avanti gli uomini dovranno mettersi alla ricerca del Dio del Vangelo, senza pensare di poterlo trattare con facile familiarità. La vera conoscenza di Dio suppone questo prezzo: “Se dici: lo conosco… non è lui” afferma sant’Agostino. Gesù se ne va. Ne consegue una maggiore vicinanza: in noi opera il suo Spirito. D’ora in avanti la ricerca umana, quando sia leale e fedele, è marcia verso Dio. Gesù non è più presente come un maestro. Si rimette alla nostra libertà, che col suo Spirito rende sensibili alla verità e all’amore.
Infine, in Cristo tornato al Padre l’uomo diventa religioso, capace di progressi meravigliosi nella conoscenza di Dio.
Cristo in realtà ha posto invisibilmente la sua dimora in mezzo a noi, fonte di pace e di gioia.

Le tradizioni e la tradizione
– Tutti ereditiamo certe usanze alle quali teniamo. Tali usanze, talvolta molto valide, ma non indispensabili, non sono identiche da una famiglia all’altra, da un paese all’altro.
– Ogni società durevole moltiplica le sue prescrizioni, i buoni consigli, le esigenze. “Il parroco di qualche nuovo Santo fa la sua predica sempre più pesante”, osserva il ciabattino. Altrettanti mezzi sicuri per giungere sempre meglio a Dio, si afferma.
– In questo modo si è sviluppata – Paolo ne è testimone – la legge di Israele, fino a pesare in modo insopportabile sulle spalle di coloro che volevano osservarla.
– Cristo era forse venuto ad aggiungere il suo aumento di esigenze a una tradizione già troppo pesante? Molto presto, fin dalle prime conversioni di pagani, la Chiesa si è posta questo problema che rimane tutt’oggi attuale. Le tradizioni di ogni origine, le usanze locali, le scoperte della pietà si sono fuse insieme, passando attraverso la “Tradizione”; e poi in Cina o in Africa hanno incontrato usanze e riti che sarebbe stato bene rispettare, addirittura favorire. C’è forse un ordine di Cristo che imponga di far diventare tutto ciò obbligo, cammino di salvezza?
– Riuniti a Gerusalemme, “gli apostoli e gli anziani” hanno, fin dalle origini, risolto il problema: la fedeltà a Cristo è cosa ben diversa dall’osservanza, di stile giudaico, delle innumerevoli prescrizioni accumulatesi nei secoli. Essa è una fede nel mistero vissuto da una persona mandata da Dio per condurci a lui. Facendo ciò, presentavano il cristianesimo nella sua originalità, sia in rapporto alle filosofie, sia in rapporto alle altre religioni.
– Per ogni cristiano e per ogni comunità, rimane il dovere di verificare la propria fedeltà. Ma soprattutto per la Chiesa intera rimane il compito di garantire tale fedeltà, sia proclamandone la totale esigenza, sia liberandola da tutte le tradizioni che soffocano la voce della tradizione autentica, che è il ricorso permanente di tutte le generazioni a Cristo.


(tratto da: M. Gobbin, Omelie per un anno – vol. 1, anno C, tempi forti – Elledici 2003)