PER COMPRENDERE LA PAROLA
Mentre il richiamo alla conversione, la domenica precedente, era severo, quello della 4a domenica è immerso nella gioia del rinnovamento: “Rallegrati, Gerusalemme!”.
PRIMA LETTURA
Inizia una nuova tappa della storia della salvezza, l’entrata nella Terra promessa: la prima Pasqua è arrivata, la promessa fatta ad Abramo si realizza.
“L’infamia d’Egitto”: in base al contesto immediato, l’espressione indica di per sé la non-circoncisione degli Egiziani. La lettura liturgica l’interpreta in modo diverso: finita l’emigrazione, eccovi a casa vostra; finita la schiavitù, eccovi finalmente liberi. È comunque interessante osservare che la gioia di essere arrivati alla fine dell’Esodo si manifesta nel rito di consacrazione a Dio. La Pasqua del cristiano passa attraverso il Battesimo, rito di consacrazione nella nuova Alleanza.
L’entrata nella Terra promessa è seguita dalla festa della Pasqua, come Mosè aveva ordinato nel deserto. La vittoria non deve far dimenticare i duri combattimenti, la sicurezza raggiunta non deve far dimenticare che Dio ha dispiegato la forza della sua mano e il vigore del suo braccio. Ruolo permanente del culto: mantener vivo il ricordo del dono di Dio.
La manna cessò: il cibo procurato da Dio nel deserto non è più necessario, Israele può vivere “dei prodotti della terra”. Quando saremo arrivati al termine della nuova Pasqua, non ci sarà più Eucaristia.
SALMO
È la preghiera di un individuo che loda il Dio che libera dalla paura e dall’angoscia, il Dio che ascolta e risponde alla nostra ricerca. Tutti coloro che hanno un cuore di povero sono invitati ad unirsi a questa lode.
SECONDA LETTURA
È animata dalla stessa aria di certezza e di vittoria per coloro che sono in Gesù, e per lo stesso mondo.
Ricorda l’opera di Dio mediante Gesù Cristo, nel quale è avvenuto uno scambio meraviglioso. Cristo: identificato col peccato degli uomini. Noi: partecipi della santità di Dio.
Quest’opera di riconciliazione però non è terminata: deve continuare, e anzi ognuno dei riconciliati deve farsi responsabile della riconciliazione degli altri.
Perciò risuona un appello pressante, urgente: “Lasciatevi riconciliare…”.
VANGELO
È il racconto del figlio perduto e ritrovato.
Vi troviamo anzitutto – è il “culmine” della parabola – l’invito rivolto ai farisei a condividere il disegno del Dio di misericordia, a far proprie le sue idee di riconciliazione dei peccatori. La parabola è stata provocata dalle recriminazioni dei farisei, rappresentati poi nel racconto dal fratello maggiore: avvolto nella sua fedeltà, orgoglioso del suo passato di obbedienza, non può accettare il perdono del fratello minore e partecipare alla gioia del padre che ha ritrovato il figlio.
Vi troviamo inoltre una precisa analisi del peccato e del pentimento:
– l’incoscienza iniziale frammista di ingratitudine: gioia di “volare con le proprie ali”, dimenticando colui dal quale si è ricevuta l’indipendenza;
– la progressiva degradazione che termina nella miseria e nella vergogna (pascolare i porci: il colmo per un ebreo);
– la scossa della miseria che fa rimpiangere il passato e cercare il modo di ritrovarlo, umiliandosi e chiedendo perdono;
– il ritorno timoroso, che non prevede minimamente l’amore che incontrerà;
– soprattutto il comportamento del padre che ci rivela maggiormente il cuore di Dio: la sua attesa insieme preoccupata e appassionata: tornerà?; l’affrettarsi, tanto significativo per un Orientale, all’incontro; la tenerezza, i baci; la premura di restituire al figlio i segni della sua primiera dignità: l’anello, simbolo di autorità, i sandali, portati dall’uomo libero; la festa, con cibi, canti e danze, e il suo motivo: una vera risurrezione.
Si noti il contrasto di questa parabola col Vangelo della domenica precedente: s. Luca, l’evangelista della conversione urgente, della vigilanza, è pure l’evangelista della misericordia (è l’unico a riportare questa parabola).
PER ANNUNCIARE LA PAROLA (piste di omelia)
Siete convinti che Dio è artefice di cose nuove?
Noi siamo presto impazienti e facilmente scoraggiati. Niente di nuovo sotto il sole. Più le cose cambiano e più rimangono tali e quali. Tutti se ne lamentano nella propria vita: sempre il solito tran-tran. I genitori, gli educatori dubitano spesso dell’efficacia del loro lavoro: il figlio, il giovane non cambia. Non manchiamo forse di speranza?
Di fronte a questo pessimismo, accogliamo con gioia la Parola di questo giorno.
– Per Israele, l’umiliazione dell’Egitto, la lunga marcia dell’Esodo hanno pur ottenuto un risultato. Un popolo nuovo passato attraverso il Giordano.
– In Gesù Cristo, ci dice s. Paolo, tutto è nuova creatura: l’uomo di peccato è passato nella giustizia di Dio.
– Il giovanotto perduto non pensava di ritrovare la sua dignità di figlio, ma soltanto un posto sotto il tetto, come semplice garzone: il padre non la pensa così. Il morto è ritornato in vita. Si può immaginare una trasformazione più meravigliosa, una novità più incredibile?
Il nostro pessimismo proviene in realtà dal fatto che contiamo troppo su di noi e non abbastanza su Dio: è lui che opera il nuovo. “Questo povero grida e il Signore lo ascolta”. A noi manca per di più il senso dei tempi lunghi: il padre della parabola l’aveva, egli che divise le sue sostanze e poi seppe aspettare.
Pur chiedendo sempre l’umiltà e la pazienza, sappiamo ritrovare tutti i segni di novità che Dio fa apparire nella nostra vita e in quella dei nostri fratelli.
Il sacramento del perdono
La confessione non è vista di buon occhio. Se ne fa volentieri a meno. È vero che aveva bisogno di cambiare. Che cosa l’abbiamo fatta diventare abitualmente? Un momento d’angoscia a “spulciare” la nostra coscienza. Un momento di confessioni stereotipe senza vero legame con la nostra vita profonda… Un incontro sussurrato in un angolo buio… Che differenza dal dolore del figlio che constata di non trovarsi più a casa sua… Che distanza dal commosso abbraccio del padre e del suo prodigo… Che distanza dal banchetto, dalla danza e dai canti…
Forse vi è qualcosa di più profondo: la nostra difficoltà a riconoscerci peccatori. Ammettiamo magari che nella nostra vita ci sia del disordine, ma non siamo abbastanza convinti della nostra responsabilità. Riconosciamo certe colpe, ma non vediamo come Dio ne sia colpito, nel suo onore, nel suo amore. Non osiamo più pensare che egli possa fare qualcosa per rimetterci a posto.
A Pasqua ci si confessa. Si tratta anzitutto di guardare Dio, di scoprire nuovamente che è mio Padre, preoccupato per me, per la mia santità, per la mia felicità. Soltanto allora, in questa luce, diventeranno chiare le nostre vere miserie. Non ci sentiremo più impacciati nella stizza dell’umiliazione, ma arriveremo all’umiltà. “Beneditemi, Padre, perché ho peccato” non sarà più il solito rituale dovere, ma la gioia della speranza.
Il prezzo della riconciliazione
Tutti facciamo fatica a perdonare. Quando ci riusciamo, quale gioia, quale rinnovamento dell’amore o dell’amicizia! Fortunatamente capita di farne esperienza in casa, in famiglia, fra amici. Nello stesso tempo, però, quanti rancori conservati, quante finzioni e quante manovre per una parvenza di riconciliazione!
Ciò che Dio ci presenta in Gesù Cristo è cosa ben diversa. Dio, l’offeso, prende tutto su di sé: “Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo trattò da peccato in nostro favore” (2ª lettura). Il padre del prodigo non si preoccupa della “riparazione”: subito restituisce al figlio la sua piena condizione e organizza la festa. La lunga, ansiosa attesa non è dimenticata, ma è diventata motivo di gioia: “Era perduto ed è stato ritrovato” (Vangelo).
Noi rischiamo di capir male e di abusare della tenerezza di Dio. Il prezzo della riconciliazione è Gesù in croce, è il suo sangue versato. Disgraziati noi se il perdono ci porta a credere che, dopo tutto, il peccato non è una cosa così grave. L’Eucaristia ci preserva dal dimenticare, come la celebrazione della Pasqua impedirà a Israele ormai sicuro nella Terra promessa di dimenticare quale forza l’aveva aiutato (1ª lettura).
Per sapere se valutiamo adeguatamente il prezzo della nostra riconciliazione ecco un buon criterio: sappiamo anche noi perdonare, come Dio, e diventare quindi a nostro modo ministri di riconciliazione (2ª lettura)?
(tratto da: M. Gobbin, Omelie per un anno – vol. 2, anno C, tempi forti – Elledici 2003)