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3. Annunciare la Parola – 3 gennaio 2021


3 gennaio

2ª DOMENICA DOPO NATALE

È venuto ad abitare in mezzo a noi

PER RIFLETTERE E MEDITARE

Ci viene proposto ancora una volta il brano di Vangelo che è stato proclamato nella terza messa di Natale, la messa del giorno. L’inizio del Vangelo di Giovanni è sicuramente uno dei testi teologicamente più alti di tutta la Bibbia e rivela fino in fondo il mistero del Natale. «Et Verbun caro factum est» («Il Verbo si è fatto carne»): queste parole, diceva sant’Agostino, dovrebbero essere scritte a caratteri d’oro alla porta di tutte le chiese. Prima della riforma liturgica conciliare il sacerdote recitava questo brano di san Giovanni a sinistra dell’altare, al termine di ogni messa.

La Parola di Dio si fa carne

Nella prima lettura, il Siracide, un autore di cultura greca vissuto duecento anni prima di Cristo, immagina che la Sapienza personificata venga ad abitare nel popolo ebraico. Di fatto questo popolo sentirà sempre viva la presenza di Dio nelle sue vicende storiche.
Ma Giovanni nel suo prologo dice molto di più. Afferma che Gesù, il Figlio di Dio, è «Parola», «Verbo» (“Verbum” significa “parola” in lingua latina; in greco si dice “Logos”), e dice che per mezzo di questa Parola tutto è stato creato: «Dio disse: “Sia la luce!”. E la luce fu» (Gn 1,3), così inizia la storia dell’umanità. E poi con grande profondità teologica, afferma che per amore questa Parola ha posto la sua tenda nel popolo ebraico, inserendosi nelle nostre vicende umane, entrando nella nostra storia. Parola che ci si espressa sin da subito nel Natale, per come si è incarnata tra noi, facendosi bambino povero e indifeso, invitando per primi i pastori, gli ultimi nella scala sociale. Parola di Dio che poi racconterà Dio attraverso i miracoli, le parabole, ma anche di più con la sua vita, con le sue scelte.
Un progetto grandioso e inimmaginabile, che tuttavia non è stato compreso e accolto dal suo popolo. L’infinito si è reso finito, la ricchezza di Dio si è fatta povertà, l’invisibile è diventato sensibile, la luce si è nascosta nell’umiltà della nostra carne. Giovanni usa il termine carne (sarks) quasi a sottolineare la profondità dell’abbassamento, la debolezza assunta dal Figlio di Dio che si fa uomo. Il termine sarks (carne) Giovanni lo userà anche per indicare l’Eucaristia. Il logos si è fatto carne e noi potremo nutrirci di lui.

La parola si rivela e illumina

Con Gesù viene nel mondo la luce vera, quella che ci rivela il senso della nostra vita. È la luce di Betlemme, quella predetta da Isaia: «Il popolo che camminava nelle tenebre ha visto una grande luce» (9,1). Dio supera le barriere, si rivela all’uomo, viene a illuminare il mondo, suscita la fede e separa gli uomini in credenti e non credenti. Ma chi crede alla sua parola diventa figlio di Dio. C’è chi si lascia illuminare e chi sceglie le tenebre. In ogni tempo c’è chi preferisce che Dio rimanga qualcosa di oscuro e di lontano; un Dio potente, ma che non dia fastidio. Una divinità che vive nei cieli, indifferente alle vicende umane.
Giovanni ci assicura che Dio non gioca a nascondino con l’uomo. Sin dall’inizio ha voluto parlargli, rivelargli l’amore che lo ha spinto a chiamarlo all’esistenza. Lo ha fatto nella storia di Israele, con Abramo e Mosè, con la parola dei profeti. Poi si è fatto lui stesso Parola, una parola che è rivelazione, luce che illumina.
Gesù rivela Dio

Se vedere Dio e la sua gloria è il desiderio, la nostalgia di tutti gli uomini di tutti i tempi, di tutte le religioni, questo sarà sempre impossibile se non ci si apre a Gesù. Perché è lui che svela il volto di Dio e lo fa conoscere. È lui il volto del Padre.
Per millenni culture e religioni si sono inventato un dio su misura, a propria immagine e somiglianza. Dio è stato rappresentato dal sole, da un albero, da un animale. Dice Dostoevskij: «L’uomo non può vivere senza inginocchiarsi, non lo potrebbe sopportare, nessuno ne sarebbe capace. Se rigetta Dio, si inginocchia davanti a un idolo di legno o di oro o immaginario».
Se oggi certe immagini di Dio sono improponibili e inaccettabili, un numero crescente di persone non si adatta a vivere senza qualche spiritualità e si dà al buddismo, alla new age, a qualche culto esoterico.
Ma se oggi come sempre la fede è rara, è anche raro l’ateismo dichiarato e prevale di fatto l’indifferenza, che vuol dire trovarsi praticamente nella incapacità di aprirsi alla fede. Ma di fronte al mistero della vita, un essere ragionevole dovrebbe farsi delle domande.
Con Gesù possiamo vivere la comunione perfetta con Dio. La sua incarnazione è lo sposalizio con Dio dell’umanità. È ciò che ci salva e ci rende figli.
Con l’incarnazione, se vogliamo, il mistero diventa doppio: c’è quello di Gesù, in cui la divinità si rivela in un uomo. Ma dal momento in cui Dio ha messo la sua tenda tra di noi, il nostro vivere, anche se si svolge tra piccole cose, a volte addirittura meschine, è avvolto dalla grazia, dalla salvezza di Dio. Ci rimane dunque solo il compito di vivere quello che siamo.

UN FATTO – UNA TESTIMONIANZA

«La notte di Natale andavamo in chiesa. Quando avevo cinque o sei anni abitavamo in un paesino in montagna e bisognava camminare nella neve. Poiché ero il più giovane, mio papà mi teneva per mano. La mamma, il mio fratello maggiore e le mie sette sorelle ci seguivano. Mio padre mi indicava nel cielo aperto la stella dei pastori che gli stessi Magi avevano visto. Quelle immagini mi ritornano in mente quando si legge il testo dell’apostolo Pietro dove scrive: “Guardate a Cristo come luce che brilla nella notte, finché non splenda il giorno e non si levi nei vostri cuori la stella del mattino” (2Pt 1,19). Una pianta che non è rivolta verso la luce intristisce. Un credente che si soffermasse sulle ombre potrebbe far crescere dentro di sé la fiducia del cuore?» (frère Roger Schutz).