19 luglio
16ª DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO
Tolleranza e misericordia di Dio
PER RIFLETTERE E MEDITARE
Delle tre parabole proposte oggi, la prima presenta un’altra strana seminagione da parte di Dio. Una settimana fa si parlava di un contadino che seminava sulla strada, tra le pietre e le spine… Oggi sembra quasi che sbagli seminagione e insieme al grano buono semini anche la zizzania. In realtà non è lui a seminare le erbacce, ma è il suo nemico, che lo fa di notte, mentre il padrone e i servi dormono.
Lettura simbolica della parabola
Ai cristiani della prima ora la parabola del grano buono e della zizzania infondeva certamente conforto e fiducia. Vivendo immersi in una società pagana chiusa ai valori e gestita da un potere dispotico e violento, diventava difficile predicare il Vangelo e vivere la vita cristiana.
Ma allargando il discorso, la parabola dice che il campo è il mondo, la società, la stessa Chiesa, siamo noi, che vediamo tanto bene svilupparsi, tanti fermenti positivi, ma mescolati a tanto male, soffocati dalla zizzania.
È il «nemico» che ha seminato l’erbaccia. Non siamo stati noi, non ne siamo noi i responsabili, anzi vorremmo sapere chi lo ha fatto. Pensando a tragedie immani, come ai campi di sterminio e alle guerre di aggressione o la tortura, ma anche a chi davanti ai nostri occhi si presenta malvagio e fa il male, ci domandiamo: che fare?
I servitori sono impazienti: colti nel sonno dal nemico, appena vedono l’erbaccia crescere vorrebbero ripulire il campo e strappare la zizzania.
Al tempo di Gesù o nei primi secoli della comunità cristiana, ma anche nei nostri giorni, non sono mai mancati e non mancano coloro che vorrebbero anticipare i giudizi di Dio e si manifestano intolleranti verso coloro che guastano la società, oppure verso chi, pur essendosi messo al seguito di Gesù, vive male il cristianesimo.
Spesso queste persone zelanti sono in buona fede, vorrebbero difendere i più giovani, i più deboli, affermare il bene a ogni costo. È l’impazienza, l’inquietudine dei migliori, che vorrebbero mandare al fuoco ogni pianta che non porta frutto, come minacciava Giovanni Battista (Mt 3,7-10) o che per difendere la purezza della fede fanno sgozzare centinaia di falsi profeti come Elia (1Re 18,40).
Ma il male, lo scandalo, le proposte negative non possono essere facilmente eliminate. In ogni caso Gesù rifiuta interventi radicali. «C’è una tolleranza che è sinonimo di indifferenza; non è certo il caso della parabola, che parla di una tolleranza generata dall’amore» (Bruno Maggioni).
Le altre due parabole
Alla parabola della zizzania, seguono due belle parabole sul regno di Dio, paragonato a un granello di senape, che cresce a dismisura e in brevissimo tempo, pur essendo il più piccolo di tutti i semi. Questo granello è Gesù stesso, seme gettato in terra a marcire, che risorge e porta molto frutto.
L’altra parabola paragona il regno di Dio al lievito che fermenta la pasta dal di dentro, e la fa diventare pane buono. Il lievito è invisibile, ma se non lo si mette, l’evoluzione della farina in pane buono non avviene. Sono il simbolo del bene che siamo chiamati a compiere noi cristiani. La nostra testimonianza, anche quando è piccola e sproporzionata come un granello di senape e il lievito, lascia sempre il segno e costruisce il regno.
Queste due parabole sono state comprese facilmente dagli apostoli, mentre quella della zizzania chiedono a Gesù che gliela spieghi. E le parole di Gesù sicuramente li avrà sorpresi, perché, come in questo caso, la tolleranza di Dio a volte appare addirittura incomprensibile. Soprattutto perché non è la pazienza di chi aspetta al varco il peccatore in attesa del giorno del giudizio, ma è la tolleranza dell’amore, che dà tempo a ciascuno di pentirsi e di diventare erba buona.
Nei nostri giorni
La parabola del grano e della zizzania è sempre di attualità, perché anche oggi ci sono tra noi, come dicevamo, gli intolleranti, i puri, coloro che vorrebbero mandare a morte, seppellire in galera ed escludere dalla società tutti quelli che si comportano male, e sono impazienti di vedere realizzati i severi giudizi di Dio.
Convinciamoci intanto che il male c’è. È la triste constatazione di tanti genitori che vedono i loro figli perdersi. Come loro, gli educatori e i responsabili della pastorale si domandano: chi mai ha messo la zizzania nelle nostre famiglie, nella società, nella Chiesa? C’è un «nemico» che semina di notte, mentre noi non siamo abbastanza vigili e attenti. C’è il male, prendiamone atto. E di fronte al male scopriamo con stupore il silenzio di Dio che facciamo fatica a comprendere. Come spiegarlo? È il trionfo apparente di ciò che è sbagliato, la serenità incosciente di tanti che allegramente distruggono la società o si autodistruggono.
Ma il silenzio di Dio, come afferma la parabola, nasce dallo stile di Dio, che è misericordia infinita, e sa che la zizzania può trasformarsi miracolosamente in grano buono. Così è stato per tante personalità straordinarie come san Paolo, sant’Agostino, san Francesco d’Assisi, Charles de Foucauld… I grandi sant’Ignazio e san Camillo de Lellis.
Non giudichiamo e non arroghiamoci un diritto che è solo di Dio, perché noi stessi in fondo siamo un misto di grano buono e di zizzania e la pazienza la dobbiamo esercitare anche con noi stessi, perché non sempre riusciamo a fare il bene che ci proponiamo di fare.
UN FATTO – UNA TESTIMONIANZA
«Tardi ti amai, o bellezza sempre antica e sempre nuova, tardi ti amai! Tu eri dentro di me e io fuori, e lì ti cercavo. Tu eri con me, ma io non ero con te. Mi tenevano lontano le tue creature, che non esisterebbero se non fossero in te. Mi chiamasti, e il tuo grido vinse la mia sordità. Ti assaporai, e ho fame e sete di te. Mi toccasti e aspiro ardentemente alla tua pace. Quando aderirò a te con tutto me stesso, non vi sarà più posto per il dolore e la fatica e la mia vita sarà viva, piena di te» (sant’Agostino).