16 maggio
ASCENSIONE DEL SIGNORE
Giornata per le comunicazioni sociali
Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo
PER RIFLETTERE E MEDITARE
Gli abitanti di Nazaret, di Cafarnao e di Gerusalemme hanno avuto la fortuna di poter vedere con i propri occhi il Figlio di Dio fatto uomo. Fortuna unica. Ora Gesù con l’ascensione abbandona gli apostoli e l’umanità per ricevere piena la gloria che gli è stata negata su questa terra. Questo rappresenta anche la glorificazione di un uomo: ora uno di noi siede con il suo corpo alla destra di Dio. E anche la nostra carne, così fragile che a volte facciamo fatica ad accettare, è destinata alla gloria.
L’uomo Gesù alla destra del Padre
Con l’ascensione si concludono i Vangeli di Marco e di Luca, mentre gli Atti degli Apostoli cominciano proprio con questo episodio. Ma si tratta di descrizioni quanto mai essenziali. Marco si limita a scrivere: «Il Signore Gesù, dopo aver parlato con loro, fu elevato in cielo e sedette alla destra di Dio» (16,19).
Solo negli Atti degli Apostoli nel racconto di Luca c’è qualcosa che ricorda la solennità delle grandi teofanie antico testamentarie e compaiono due personaggi in bianche vesti. Secondo il biblista Gianfranco Ravasi questi simboli non sarebbero che una nuova, grande dichiarazione di fede nel Cristo risorto. Per Luca infatti l’ascensione è il vertice della Pasqua.
Che cosa significhi ascensione al cielo non è molto semplice da spiegare. A partire dalla parola «cielo»: che cosa può voler dire questa parola per la gente evoluta del nostro tempo? Un tempo si poteva pensare che la dimora di Dio, il paradiso, si trovasse proprio al di là delle nuvole. Ma oggi questa immagine è davvero improponibile. Ascensione al cielo di Gesù significa che Gesù è ritornato nel mondo di Dio, da dove era partito e da dove in realtà non si era mai allontanato. La Scrittura dice semplicemente che è «tornato al Padre», che siede alla «destra del Padre», pienamente glorificato, dopo la terribile prova della passione e morte.
Comprendiamo bene che questo è il nostro modo di esprimerci, perché molte categorie del mondo di Dio ci sfuggono. Del resto è Gesù stesso che quasi materializzata il suo discorso, per farci capire: «Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me. Nella casa del Padre mio vi sono molte dimore. Se no, vi avrei mai detto: “Vado a prepararvi un posto”? Quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, verrò di nuovo e vi prenderò con me, perché dove sono io siate anche voi» (Gv 14,1-3).
La nuova missione degli apostoli
Prima di salire al cielo Gesù affida agli apostoli la Chiesa, la predicazione del Vangelo, il regno di Dio. Si fida incredibilmente di loro, li prende come sono, come ha sempre fatto. Essi, comunque fragili, sono ancora lì con lui. Gesù li ha convocati e hanno obbedito. Gli vogliono certamente bene, anche se a modo loro. Anche se non hanno capito tutto della sua persona. Non sono i primi della classe, ma Gesù chiede a loro di cambiare il mondo, di gettare il granello di senape, sapendo che porterà frutto sulla sua parola. Presto scenderà su di loro lo Spirito Santo, allora tutto cambierà: la loro fede, il loro coraggio, l’entusiasmo.
Se dunque l’ascensione introduce Gesù in una dimensione nuova, anche gli apostoli sono chiamati a un profondo cambiamento di vita. Gli apostoli dovranno imparare a vivere senza di lui, a prolungare la predicazione del Vangelo. Dice Marco (e sono le due ultime righe del suo Vangelo: «Allora essi partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore agiva insieme con loro e confermava la parola con i segni che la accompagnavano». A conferma che Gesù non abbandona realmente i suoi, ma li accompagnerà nella loro predicazione e compirà «segni» che confermeranno le loro parole. Aggiunge Luca che gli apostoli tornano a Gerusalemme «pieni di gioia» (24,52).
Gesù presente tra noi
Gesù dunque con l’ascensione vive d’ora in poi una nuova dimensione, quella di Dio. Ma questo, contrariamente a quello che pensiamo, ci garantisce che sarà sicuramente e più facilmente vicino a noi: «È bene per voi che me ne vada…», ha detto agli apostoli nell’ultima Cena. Né loro, né noi lo vedremo con i nostri occhi, ma la sua presenza, garantita dalla sua parola, sarà nei fratelli: «Qualunque cosa avete fatto ai più piccoli, lo avete fatto a me» (Mt 25,40); «Avevo fame e mi avete dato da mangiare, avevo sete e mi avete dato da bere» (Mt 25,35). E nella Chiesa: «Chi ascolta voi ascolta me, chi disprezza voi disprezza me» (Lc 10,16). Soprattutto nell’Eucaristia: è la parola di Gesù che si realizza e si fa pane, rendendo presente lo stesso Gesù dell’ultima Cena.
Oggi è la giornata dell’impegno missionario per eccellenza. Gli apostoli per primi sono stati dei grandi testimoni della fede, poi li ha seguiti una schiera luminosa di missionari generosi, tante storia di amore e di sacrificio.È una giornata di fede, che ci sollecita a mettere ordine nella nostra vita, ad aprire gli occhi su come viviamo, su quali sentieri siamo incamminati, su come siamo orientati. «L’albero cade dalla parte da cui pende», diceva san Giovanni Bosco ai suoi giovani. E anche: «Un pezzo di paradiso aggiusta tutto». Questo infatti è il nostro destino ultimo, lo stesso di Gesù: un’eternità felice, una gioia senza fine per la quale sentiamo di essere stati creati.
UN FATTO – UNA TESTIMONIANZA
L’ambiente digitale caratterizza il mondo contemporaneo. Larghe fasce dell’umanità vi sono immerse in maniera ordinaria e continua. Non si tratta più soltanto di “usare” strumenti di comunicazione, ma di vivere in una cultura ampiamente digitalizzata che ha impatti sul modo di comunicare, di apprendere, di informarsi, di entrare in relazione con gli altri… Tuttavia non è sano confondere la comunicazione con il semplice contatto virtuale. Infatti, l’ambiente digitale è anche un territorio di solitudine, manipolazione, sfruttamento e violenza, possono esporre al rischio di dipendenza, di isolamento e di progressiva perdita di contatto con la realtà concreta, ostacolando lo sviluppo di relazioni interpersonali autentiche (da Chistus vivit, 86-88).