12 luglio
15ª DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO
Ecco, il seminatore uscì a seminare
PER RIFLETTERE E MEDITARE
Una parabola piena di ottimismo e di fiducia. Gesù paragona se stesso a un seminatore generosissimo, che sembra addirittura sprecare tempo e fatica nel gettare il seme anche là dove non potrebbe attecchire: sulla strada, tra le pietre e le spine. È una scelta che nasce dal suo amore esagerato per ognuno di noi, nella speranza che anche l’uomo più refrattario possa accogliere il seme della sua parola.
Una lettura attualizzata
Anni fa durante un convegno a Collevalenza il cardinal Martini ha attualizzato in modo curioso questa parabola evangelica, collegando la semina a vari gruppi umani. Il primo gruppo, diceva, è quello degli uomini-asfalto: sono coloro che rifiutano esplicitamente il legame con Dio e con la sua parola. In essi sembra scomparsa ogni inquietudine e ogni domanda. Sulla strada, sull’asfalto impenetrabile, non cresce niente e non può penetrare alcun discorso religioso.
Ci sono poi gli uomini-terra sassosa: gli incostanti, gli incoerenti, i superficiali, gli individualisti. Battezzati che affermano di credere in Dio, ma si ritengono estranei alla Chiesa, rifiutano l’humus ecclesiale, rifuggono dall’esperienza comunitaria e parrocchiale. Si può parlare di post-cristiani, perché il cristianesimo è già dietro di loro. Se c’è è qualcosa di folcloristico, culturale, tradizionale, ma non vale per l’esistenza quotidiana.
Nella terza categoria ci sono gli uomini-terra cespugliosa (le spine). È gente soffocata dalla mentalità consumistica, che a volte fa riferimento a Gesù Cristo e alla Chiesa e tuttavia conduce una vita molto pagana, rimanendo indifferente ai valori del cristianesimo. Sono coloro a cui basta un ritualismo esteriore, che vogliono il battesimo, la comunione e la cresima per i propri figli, che vanno talora in Chiesa e chiedono i funerali religiosi, ma non comprendono la necessità di una fede per la vita.
Il terreno buono
Infine, secondo il cardinal Martini c’è la terra buona, che può produrre il trenta, il sessanta o il cento per cento. Si tratta di differenze grandi. E diceva che il trenta per cento sono probabilmente i credenti tradizionalisti, molto ligi alle pratiche, però incapaci di aprirsi a nuove proposte. Il sessanta sono tutti i «movimentisti»: persone di grande zelo e religiosità, ma poco legati alle comunità locali. E poi il cento per centro, che è la mèta cui tutti dobbiamo tendere.
La nostra vita
Con questa parabola Gesù sembra correggere Isaia (prima lettura), secondo il quale la parola di Dio, scendendo come la pioggia e la neve, porta sicuramente frutto. In realtà, precisa Gesù, molto dipende dalla qualità del terreno su cui cade il seme.
Nella parabola di quest’oggi infatti Gesù dice che tre quarti del raccolto vanno persi. E forse era proprio questa l’esperienza del contadino ebraico, che aveva a che fare con un terreno arido, pieno di spine e di pietre.
Se ci pensiamo, questa bellissima e realistica parabola, cade su ogni fatto che riguarda la nostra vita. Ma purtroppo spesso il seme della parola incontra un cuore come il nostro, indaffarato in troppe cose, duro come la roccia.
Il seminatore della parabola è Gesù, che non si mette dalla parte di chi miete, ma di chi semina, e lo fa con una generosità «sprecona» che sorprende. Promette un raccolto impossibile, semina anche sulla dura pietra, anche là dove non ci si può aspettare nulla di buono. Ma il risultato, come dicevamo, è legato al terreno, dipende da chi ascolta, da noi.
L’atteggiamento di Gesù nella spiegazione che ne dà non è però negativo. Parlando di un raccolto del cento per cento, un dato praticamente inverosimile, rivela la possibilità di frutti straordinariamente positivi. Ma soprattutto in campo spirituale sappiamo che può avvenire così. Proprio perché il seminatore è Gesù e si tratta della sua parola, può portare molto frutto.
Quanto a chi è chiamato a seminare, non deve stancarsi di farlo e di offrire la parola anche a chi non sembra disponibile. Senza giudicare, senza pensare e dire «Non merita», «È tempo perso», «Ci ho già provato troppe volte». Non così fa Dio con noi.
Ma dobbiamo anche chiederci se siamo capaci di usare i toni giusti, le parole giuste, i mezzi più idonei, i momenti più opportuni per raggiungere e farci capire e accogliere da chi ascolta.
UN FATTO – UNA TESTIMONIANZA
«Cambiate finché è possibile, voltate con l’aratro le parti dure, togliete le pietre dal campo, strappatene le spine. Non abbiate il cuore duro così da far morire subito la parola di Dio. Non abbiate un terreno leggero, in cui la carità non può radicarsi profondamente. Non permettete alle preoccupazioni e ai desideri mondani di soffocare il seme buono…» (sant’Agostino).