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3. Annunciare la Parola – 7 febbraio 2021


7 febbraio

5ª DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

Una giornata di Gesù

PER RIFLETTERE E MEDITARE

Questo brano di Vangelo sembra presentare una giornata tipo di Gesù. Egli passa dalla sinagoga alla casa di Pietro e Andrea. Guarisce la suocera di Pietro e incontra una folla di ammalati, anzi, «tutti» gli ammalati e gli indemoniati della città, dice il Vangelo. È così diffusa la malattia! Gesù ne guarisce molti, preso dalla misericordia. Lo si vede qui e in tante altre circostanze in cui non riesce per così dire a frenare la sua compassione per l’uomo e la donna che soffrono.

Gesù guarisce
La prima lettura presenta il lamento di Giobbe. Dice: «La vita è un soffio». Tra le tante definizioni, questa sembra la più pessimistica, ma esprime tutta la brevità e l’inconsistenza del nostro esistere su questa terra. «I giorni scorrono più veloci di una spola». Il Vangelo presenta quasi una risposta a tanto pessimismo. Una parola di speranza espressa nei gesti di Gesù che compie miracoli. Un terzo del Vangelo di Marco presenta miracoli. I Vangeli domenicali di quest’anno ce li presentano fino alla nona domenica. Ma spesso si sospende prima, per l’inizio della Quaresima.
Gesù guarisce la suocera di Pietro. Le si avvicina, la solleva prendendola per mano. È una scena piena di umanità. Un rabbino non si sarebbe mai degnato di accostarsi a una donna e di prenderla per mano. Alla fine la suocera di Pietro si direbbe che ricambia e tutto appare singolarmente umano: appena non ha più la febbre, si mette a servire Gesù e gli altri.  

Noi e la malattia
Dobbiamo anzitutto toglierci due idee sbagliate, ma molto diffuse: la prima, che se stiamo male è per un castigo di Dio, o perché Dio non ci ama; la seconda, che sia facile avere fede quando si è ammalati. Perché non è così. Anzi, la malattia è una tentazione proprio contro la bontà di Dio. Non per niente, c’è un sacramento specifico per trovare la forza di sopportare la malattia grave.
Il senso della sofferenza ci sfugge. I tentativi di comprendere il dolore e la sofferenza si rivelano fallimentari anche per i cristiani. Non si può che tacere, come farà Giobbe di fronte al mistero del suo dolore. Sapendo che Dio è dalla nostra parte, perché vede la nostra sofferenza: in Gesù l’ha condivisa e l’ha salvata.
Ogni sofferenza è un invito a imparare ad amare, a scoprire la solidarietà. I miracoli di Gesù sono un appello a metterci a servizio dell’uomo, a mettere le risorse della scienza e della medicina a servizio dell’amore, anche se può sembrare utopistico.
La malattia ci rivela nella nostra piccolezza e fragilità. Pone interrogativi angoscianti sul senso della vita e del dolore. Ma la malattia aiuta anche ciascuno a entrare in se stesso, a vivere in modo meno superficiale, a dare un senso ai suoi giorni.

La preghiera di Gesù
Quella raccontata dal Vangelo di oggi è in qualche modo una giornata trionfale per Gesù, e avrebbe potuto lasciarsi prendere dall’entusiasmo. Invece appena può si ritira a pregare. Durante il giorno è stato preso dall’incontro con gli uomini, a contatto con la sofferenza e la malattia; di notte si incontra con il Padre e − non c’è dubbio − presenta al Padre le sofferenze dell’uomo.
Gesù anche in altre circostanze si alza prestissimo e si raccoglie in preghiera quando è ancora buio, in un luogo solitario. Sappiamo che la preghiera è di grande aiuto per comprendere il significato delle nostre sofferenze, ma anche per avere la forza e l’entusiasmo per portare il Vangelo ai nostri fratelli. Tutto questo è detto per noi. Se Gesù ha avuto bisogno della preghiera, è grave che noi ne facciamo così facilmente a meno. Qui si parla di preghiera vera, personale, di un dialogo intimo con il Padre.Tanti cristiani fanno solo l’esperienza della preghiera biascicata e di domanda, oppure si lasciano smuovere solo dallo straordinario, per il quale sono disposti ad affrontare anche lunghi viaggi e pesanti disagi. Mentre per la preghiera del cuore, quella che alimenta la fede quotidiana e attinge alla Parola di Dio, il tempo non lo si trova facilmente.

Guai a me se non evangelizzo
E poi c’è la predicazione. Quella di Paolo e degli apostoli, quella di Gesù. Egli predica dove c’è la gente: nella sinagoga, all’aperto, nelle piazze. Il mistero dell’incarnazione, cioè il fatto che Dio si è fatto uomo – “parola”, per incontrarci e parlarci – ci dice che la predicazione è parte integrante del messaggio cristiano. È questo il senso delle parole di Paolo, il significato del suo zelo missionario, la sua riconoscenza per essere stato chiamato a essere servitore della parola. Paolo è diventato veramente un uomo nuovo, ha un fuoco dentro ed è pieno di passione per il vangelo. Ci ricorda che annunciare il vangelo è una conseguenza dell’esserci incontrati con Cristo.
Dicevamo che nella Parola di Dio di quest’oggi viene tracciato un identikit di Gesù, ma in realtà anche del cristiano. Solidale e amorevolmente vicino a chi soffre; contemplativo anche all’interno della propria attività, annunciatore del Vangelo: così è il cristiano, che non interrompe il passaparola ricevuto dagli apostoli e continua nell’oggi la predicazione di Gesù.

UN FATTO – UNA TESTIMONIANZA

«Il Dio vivo è un Dio nomade che cammina con i diseredati della Terra. Come diceva l’amico Turoldo, forse “anche Dio è infelice”, soffre con noi, con i perdenti della Storia. È il Dio che ha viscere di donna, viscere materne, che è toccato dalla sofferenza di Wangoi, di Njeri, di Minoo. È il Dio crocifisso, il Dio impotente. Sto forse bestemmiando? Ma anche Gesù ha bestemmiato nella sua vita: “Bestemmia”, dicevano i sacerdoti; e Lui, sulla croce: “Dio mio, perché mi hai abbandonato?”» (Alex Zanotelli).