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3. Annunciare la Parola – 6 settembre 2020


6 settembre
23ª DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

Per amore solo per amore


PER RIFLETTERE E MEDITARE

Bisogna saper sorridere sui piccoli difetti nostri e degli altri, però chiudere un occhio su tutto è segno di superficialità. La parola di Dio questa domenica ci pone proprio questa questione della massima concretezza con la quale le nostre comunità si confrontano ogni giorno. La pone Gesù stesso: «Se tuo fratello commetterà una colpa contro di te…», dice. Ma Matteo, che riporta le parole di Gesù, fa capire che doveva trattarsi di una mancanza grave, tanto da coinvolgere la comunità attraverso un procedimento in tre tempi.

Prima la misericordia

Trattandosi di un contesto ebraico, è probabile che Gesù abbia pensato a come si regolava abitualmente la sinagoga ebraica, dalla quale veniva escluso chiunque non accettava la legge in tutte le sue implicanze. Ma se lo avesse fatto, chiarisce subito che il comportamento dei suoi apostoli e dei futuri cristiani sarebbe stato un altro, perché decisamente diversa era la finalità: non l’esclusione di chi aveva sbagliato, quanto il suo ricupero.

Matteo lo dice chiaramente proprio nella frase conclusiva del paragrafo precedente, dove si afferma che «è volontà del Padre vostro che è nei cieli, che neanche uno di questi piccoli si perda» (Mt 18,14).

Come comportarsi allora quando un discepolo sba­glia o fa del male a qualcuno? Naturalmente si parla di fatti gravi, di mancanze pubbliche che possono danneggiare la comunità. Fatti che rendono difficile ogni dialogo. Non sarà mai semplice richiamare un ladro, un giovane tossicodipendente o addirittura uno spacciatore, un industriale che non rispetta le leggi, un marito/una moglie infedeli. Paolo richiama i Corinzi per un grave caso di immoralità («Si sente dovunque parlare di immoralità tra voi, e di una immoralità tale che non si riscontra neanche tra i pagani, al punto che uno convive con la moglie di suo padre» (1Cor 5,1).

Purtroppo la prima nostra reazione è quella del giudizio negativo senza appello, la presa di distanza, oppure, ancor più di frequente, lo spargere la notizia ai quattro venti, ad amici e conoscenti. Ci piace mettere il naso negli affari altrui, spettegolare. Magari non lo facciamo con cattiveria, forse pensiamo che, parlandone, in qualche modo qualcuno avrà il coraggio di avvisare chi sta sbagliando. Invece Gesù invita tutti a fare sin dall’inizio un tentativo di ricupero verso chi ha sbagliato. Non avere fretta di allontanare qualcuno dalla comunità.

 

Di fronte a questo impegno tanti potrebbero dire: «Io mi faccio gli affari miei!»; oppure chi ha sbagliato potrebbe dirci: «Pensa per te! Impicciati degli affari tuoi». E il dialogo si tronca sul nascere.

Per Gesù invece è importante non tirarsi indietro, ma intervenire incontrando il fratello a tu per tu, senza timidezze o disprezzo. Quando ci si parla, diventa più facile riconoscere l’errore che si è commesso. L’altro potrebbe spiegarsi, giustificarsi, comprendere meglio le motivazioni del suo comportamento. E soprattutto si può capire se si tratta di una mancanza che offende solo me, che infastidisce solo me, o se invece è così importante da rompere in qualche misura l’armonia e la fraternità nella comunità.

Ma dopo aver provato a riconquistare il fratello «fra te e lui solo», se non ha funzionato Gesù suggerisce: «Prendi con te due o tre persone». E scegli tra queste chi sia più adatto a intervenire, più bravo a parlargli. Perché il dialogo diventi più convincente e sia più facile «guadagnare il fratello».

Solo a questo punto, se fallisce anche questo nuovo tentativo, dovrai rendere più ufficiale il richiamo e lo dirai all’assemblea (il termine usato è ecclesìa), cioè coinvolgerai l’intera comunità, soprattutto chi ha posti di responsabilità. Ma anche in questo caso per un estremo tentativo di ricuperare il fratello.

Se infine anche questo tentativo fallisce e il colpevole non si lascia correggere, allora può essere un dovere allontanare il recidivo dalla co­munità. Ma questa più che una vera e propria espulsione, sarà una semplice presa d’atto, perché sarà lui a mettersi fuori dalla comunità.

Nella nostra vita quotidiana

Le parole di Matteo fanno riferimento alla vita della prima comunità cristiana, ma ciò che stiamo dicendo può essere applicato anche all’interno di quella cellula di Chiesa che è la famiglia. Il parlarsi, costruire un clima di dialogo aperto e costruttivo, potrebbe risolvere tante rotture e superare i conflitti. Si deve però essere animati da sincero amore per volerlo fare. Dice sant’Agostino. «Sia che tu taccia, taci per amore, sia che tu parli, parla per amore; sia che tu corregga, correggi per amore; sia che tu perdoni, perdona per amore». Ma il più delle volte si lascia correre, lasciando che i rapporti si logorino.

Anche ciò che dice Gesù della preghiera che viene ascoltata se è fatta da due persone che si accordano e che vivono in comunione si applica bene alla famiglia. Gesù si rende presente, quando una famiglia si sente unita nel suo nome.

Ma, per concludere, di fronte al problema della correzione fraterna, la prima verifica da fare è quella di domandarci se le nostre comunità cristiane sono costruite sulla fratellan­za vera, in modo che un intervento di questo tipo sia possibile. Gesù dice: «Se il tuo “fratello” commette una colpa…». Siamo davvero una comunità di fratelli o persone anonime che una volta ogni tanto si ritrovano negli stessi banchi in chiesa?

Perché, se si è comunità, non sarà difficile scoprire an­che la propria responsabilità nei confronti di chi ha sbagliato. E in questo caso sarà l’intera comunità a farsi carico del fratello, in uno stesso sforzo di ricupero e di riconversione.

UN FATTO – UNA TESTIMONIANZA

«Ho imparato molto dai cani. Anni fa, facevo ingoiare tutti i giorni una cucchiaiata d’olio di fegato di merluzzo al mio cucciolo di pastore tedesco. Lo tenevo per il collo, gli aprivo la bocca a forza per fargli entrare il cucchiaio. Un giorno, il cane mi sfuggì di mano, rovesciando la medicina sul pavimento. Poi cominciò a leccare il cucchiaio. L’olio di fegato gli piaceva, ma non il mio modo di darglielo» (Emily Ann Smith) .