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2. Esegesi – XXVII C, 6 ott ’19

SE AVESTE FEDE COME…

Abacuc 1,2-3; 2,2-4 – Soccombe colui che non ha l’animo retto
2 Timoteo 1,6-8.13-14 – Ti ricordo di ravvivare il dono di Dio
Luca 17,5-10 – Stringiti le vesti ai fianchi e servimi

Ravvivare risposte di fede
Il profeta, nella prima lettura, scrive all’interno di un orizzonte storico scandito dallo scontro tra due grandi potenze dell’Oriente, l’impero d’Assiria e il nuovo impero babilonese. Abacuc, in questa situazione, è un uomo che non si chiude in se stesso, ma che sa domandare, rivolgendosi a Dio con sentimenti di insofferenza verso l’ingiustizia e la violenza presenti nel mondo: Fino a quando…? Perché…? (Ab 1,2). La bellezza della risposta di Dio sta nel suo desiderio di fissare nella memoria del suo popolo la sua opera di salvezza attraverso parole scritte in modo indelebile. Il profeta non tiene per sé la Parola del Signore, ma la trasmette al popolo e lo invita a vivere con due atteggiamenti, la rettitudine e la fede. Lo stesso «ravvivare» (2Tm 1,6) richiesto da Paolo a Timoteo indica l’azione di riattizzare un fuoco di fede a partire dalle braci nascoste sotto la cenere: il dono è stato fatto e va riconosciuto e valorizzato. La timidezza produce vergogna nel rendere testimonianza a Gesù, mentre lo Spirito di forza comporta il soffrire insieme per il Vangelo. A questa sofferenza Paolo invita Timoteo, ricordandogli che lui per primo soffre per il Vangelo conformemente alla potenza di Dio.

Facendosi piccoli
La buona notizia ha bisogno di essere rivisitata con un coinvolgimento pieno della vita. Alla richiesta degli apostoli di aumentare la loro fede, il Signore risponde manifestando la loro incredulità attraverso l’immagine del chicco di senape e del gelso sradicato e trapiantato nel mare. Cristo Gesù non risponde con una ricetta, dei punti da mettere in pratica e su cui poi fare una verifica. Risponde con un’immagine bellissima in cui la persona non ha bisogno di «fare», ma di «farsi» piccolo come un granello di senapa. La forza di dire a un albero di sradicarsi dalla terra, luogo della sicurezza, per trapiantarsi nel mare, esposto a tutte le intemperie, non è nelle proprie capacità, ma nell’abbandono. È solo creando giorno per giorno, come con un cesello prezioso, la relazione con Dio, che si può realizzare l’impossibile. La fede è il dono di lasciare noi stessi per mettere le radici nel mare della sua misericordia. Basterebbe accogliere solo una goccia del fiume immenso che Lui ha donato alla nostra vita. E questo è detto a ciascuno e a tutti, senza riservarlo a particolari doni e a speciali funzioni.

Valorizzando lo stile umano
Ognuno nel suo piccolo è ministro autorizzato, competente e potente della misericordia divina proprio per tutto quello che ha ricevuto nella sua vicenda personale. Con l’esempio del servo che deve continuare a servire, Cristo Gesù vuole mostrare la perseveranza e l’umiltà della fede. Inoltre, dicendo che il padrone terreno non si riterrà obbligato verso il suo servo (Lc 17,9), insegna che non c’è ragione di gloriarsi delle opere buone e rivela lo stile umano della servitù. Attira l’ipotesi di poter interpretare la figura del padrone di quel servo. Si può pensare al Signore stesso. Ma si può pensare anche ad ogni persona che siamo chiamati a «servire». Ogni persona è il «padrone» da servire sino in fondo. Per poi concludere che in questo non c’è niente di speciale. Cristo Gesù non presenta la sua opinione, ma il concetto che dobbiamo avere verso noi stessi, di grande umiltà, e ricorda: «Io sto in mezzo a voi come colui che serve» (Lc 22,27).

Per rispondere gratuitamente
Il Vangelo con queste accentuazioni apre orizzonti nuovi, allarga i rapporti, annulla le frontiere, realizza la vita chiamando tutti a partecipare. Chi ama secondo giustizia non ha ancora realizzato l’amore, è ancora un servo inutile. Dio contesta il nostro lavoro, mette in discussione non il lavoro fatto male, ma il lavoro che troppe volte ci rende schiavi e bisognosi di riconoscimento. Non siamo al mondo innanzitutto per fare. Siamo al mondo per la gioia e se il lavoro non permette la gioia, significa che è diventato un idolo e va quindi distrutto. Quando nella vita abbiamo solo lavorato, siamo ancora servi inutili, non abbiamo ancora imparato l’amore. La fede che il Vangelo ci propone è una risposta di amore gratuito. Rispetto ai nostri interventi che anche in nome dell’amore a volte sono provocatori e grossolani, perché offendono la persona che vogliamo aiutare. È invece importante farsi perdonare in ogni gesto di carità che facciamo verso ogni piccolo e povero.


PER IL CONFRONTO NEL GRUPPO
– Abbiamo la pazienza di far crescere la fede?
– Sappiamo valorizzare i passaggi piccoli nella nostra crescita spirituale?


IN FAMIGLIA
Ricerchiamo nella nostra casa la realtà più piccola, e una volta individuata mettiamo in evidenza che cosa notiamo in lei di positivo, quali elementi troviamo interessanti. A partire da quanto riusciamo a cogliere accogliamo nella nostra vita quello che ci può dare forza e sostegno per un cammino di trasformazione.


(tratto da: R. Paganelli – Vivere la domenica aprendoci alla Parola, anno C – Elledici 2015)