NON DIGIUNATE PIÙ
Siracide 27,5-8 (NV) [gr. 27,4-7] – La parola rivela il sentimento
1 Corinzi 15,54-58 – La morte è stata inghiottita
Luca 6,39-45 – L’albero si riconosce dal frutto
Un agire segnato dalla Parola
La sapienza maturata nei secoli fa dire al profeta che vi è uno stretto legame tra il cuore e la parola; il parlare, non può essere altro che l’esplicitazione dei sentimenti e dei pensieri. Per questo stesso motivo, dunque, la parola pronunziata assume un valore altissimo perché costituisce la manifestazione, la conoscibilità, l’epifania della persona; questo è vero sia per l’uomo che per Dio stesso. Quando la persona parla, lo voglia o no, si espone, si mette a nudo e si sottopone anche al giudizio degli uomini e di Dio. Nell’immagine del «vaglio», si dice che la parola lascia trasparire la negatività dell’uomo; la parola come «fornace» suggerisce la possibilità di un discernimento in cui si evidenzia ciò che in noi è incorruttibile in quanto proveniente da Dio e quanto invece è prossimo a finire, perché non resistente al fuoco dello Spirito. L’immagine del «frutto» è ancora più ricca: essa lascia intravedere la pluriformità della parola che è eloquente non solo quando viene espressa verbalmente, ma anche, e forse ancor più, quando è parola «sofferta» nel silenzio della passione; inoltre la parola paragonata al «frutto» rivela che essa stessa è un cibo che, alimentando il cuore degli uomini, introduce nel mondo effetti buoni o cattivi. Se si considera, infine, che il Cristo è Parola di Dio fatta carne e che Egli è per eccellenza l’uomo nel quale Dio stesso ha parlato, la prima lettura canta pienamente la lode del Signore, a motivo di tutte le parole buone e salvifiche che ci ha detto.
La morte è stata inghiottita
Paolo esulta in un inno di vittoria, e ci trasmette l’idea che la morte è stata vinta. Il verbo «inghiottire» dà l’idea del divorare senza lasciare traccia del potere del peccato, che è la Legge, che indica il precetto, ma non dà la forza interiore per adempierlo. Quindi la Legge trasgredita moltiplica i peccati. Anche se la vittoria definitiva è ancora nel futuro, Paolo rende grazie a Dio, che nella risurrezione di Cristo ci concede già adesso una primizia di questa gioia. Significativo è il modo di questa vittoria che consiste nell’essere strappati al peccato che trova nella legge tutta la sua forza per essere immersi nella grazia di Cristo Gesù, alla luce del quale anche la legge diventa rivelazione della misericordia di Dio. Il pungiglione della morte non è la legge, ma il peccato. In Cristo Gesù la legge non è più l’indicazione delle cose da fare o da evitare per salvarci, ma lo strumento che ci permette di dimorare nella salvezza data gratuitamente.
Non giudicare, non condannare
Può forse un cieco guidare un altro cieco? Per comprendere meglio questa piccola parabola possiamo ricordare che per Gesù tutti sono malati e bisognosi di cura. In particolare la cecità è una condizione che descrive ogni uomo; ricordiamo la risposta ai farisei: siccome dite: noi vediamo, il vostro peccato rimane (Gv 9,41). Con l’immagine di chi guarda la pagliuzza nell’occhio del fratello il discorso di Gesù si fa ancora più stringente: qui non si tratta di parità, come nel caso di due ciechi, ma di maggior gravità della condizione di chi presume di correggere gli altri. Il confronto degli alberi dice che l’albero cattivo è l’uomo che confida nell’uomo, l’albero buono è l’uomo che confida nel Signore. Qui il contrasto è forte: o si è albero buono e allora il frutto sarà buono, o si è albero cattivo e il frutto sarà cattivo, ma sembra che non si spieghi come si fa ad essere albero buono. Tuttavia l’ultimo versetto, che fa riferimento ad un tesoro presente nel cuore e nella bocca, che parla dalla pienezza del cuore, suggerisce un’attenzione speciale al cuore dell’uomo, che non deve essere pieno di giudizi verso il prossimo. La sapienza cristiana è molto dubbiosa per non dire scettica circa la possibilità che l’uomo avrebbe di essere capace di «migliorare» i contenuti e i volti della sua vita. Ma è piena di speranza verso tutte le situazioni che sanno accogliere ogni aiuto che gli venga offerto; e verso chi non pretende di affermare ragioni e diritti si fa positivamente plasmare e condurre da tutto ciò che di buono riceve. In tal senso è molto più proficuo collocarsi nella situazione del cieco che ha bisogno di essere illuminato che in quella di chi pretende di vederci fino ad aiutare altri.
Essere, più che fare o dire
Si aiuta qualcuno non quando si pretende di poterlo salvare ma quando avendo bisogno di essere salvati gli si può dare un segnale di consegna e di affidamento al Maestro che solo può «ben prepararci». Si potrebbe quindi dire che, in questo orizzonte, l’essere è più prezioso del dire o del fare: ma con un’avvertenza irrinunciabile: che non si pensi a un essere nella vanità della propria autogiustificazione ma al desiderio profondo di essere tralci della vera vite e quindi frutti dell’unico albero buono, Gesù Cristo. Il gran segreto è tenersi sempre nel «cuore» dell’unico «Buono», nel «vaglio» del Vangelo, nella «fornace» del suo Spirito. Allora sarà eventualmente Lui, l’Uomo buono, a trarci dal tesoro del suo cuore come e quando vorrà.
PER IL CONFRONTO NEL GRUPPO
– Permetti che altri ti aiutino a migliorare?
– Che cosa hai di buono nella tua vita?
IN FAMIGLIA
Ognuno ha un suo carattere, e sappiamo che non tutto del nostro carattere è il meglio.
Per non lasciare che le nostre punte negative siano sempre in luce mettiamo in evidenza gli aspetti belli di ciascuno.
Facciamo in modo che ci sia una gara nel segnalare le realtà belle.
Dopo questo esercizio ci sentiremo tutti più capaci di regalare qualcosa di vero all’altro.
(tratto da: R. Paganelli – Vivere la domenica aprendoci alla Parola, anno C – Elledici 2015)